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In oltre dieci anni di esperienza per così dire “militante” in processi di rigenerazione e riuso urbano con Fondazione Riusiamo l’Italia abbiamo avuto modo affinare modalità con cui affiorano, avvengono, si generano e si riproducono connessioni. In particolare: persone con altre persone, persone e cose, spazi e attività, luoghi e progetti. Ogni tanto questi flussi producono picchi di tensione che accelerano e aprono su convergenze, risonanze, disvelamenti. L’incontro avvenuto nel 2020 con la ricerca di Luciano Crespi (1) ha avuto questa intensità. Con la scoperta di affinità elettive che non solo risultano dai nostri rispettivi ambiti di formazione scientifica, ma che si sono rivelati dirompenti sul piano emotivo per il ricordo affettuoso del fratello Marino Crespi, prematuramente scomparso. Un ricordo risalente alla fine degli anni ’80, quando Marino era il punto di riferimento dei più importanti studi di architettura milanesi per la rappresentazione di progetti attraverso l’utilizzo della prospettiva eseguita manualmente e ciò appena prima dell’avvento della computer grafica. Abbiamo avuto così anche il piacere di riscoprire la maestria di Marino nei numerosi contributi grafici presenti nei progetti coordinati da Luciano che tanta parte hanno avuto nella messa a punto della sua filosofia sull’”avanzo” e il “non-finito”. Un approccio che per noi ha rappresentato anche un modo per riconciliarsi con la cultura politecnica, dopo che per tanti anni di ricerca empirica, la durezza della realtà nel campo del riuso a vocazione socio-culturale ci aveva spinti ai bordi di una pratica che in varie occasioni si configuravano come «esercizio di apparente regressione disciplinare», soprattutto quando alcuni paradigmi di intrinseca frugalità ne caratterizzavano la struttura progettuale profonda ed enigmatica. Il dialogo con Crespi e il suo entourage di ricerca ha poi assunto toni di continuità con varie occasioni e modalità nella didattica (2), nell’elaborazione scientifica(3), nella sperimentazione laboratoriale(4), nel networking(5).
Per entrare nel merito del libro – Design del non-finito. L’interior design della rigenerazione degli “avanzi” (Postmedia books, 2023) e per provare in modo un po’ “barbaro”(6) a dare un commento di sintesi prima ancora di organizzare i pensieri e le tante riflessioni che ha sollecitato, ci verrebbe da dire che se «l’architetto è un muratore che ha studiato il latino» secondo il celebre aforisma di Adolf Loos(7), allora oggi dopo oltre un secolo al «muratore che ha studiato il latino» servono “altre lingue” e il libro di Luciano Crespi ce ne indica diverse, rivelandosi come un prezioso manuale di “poliglottologia del progetto”. In tal senso ci sembra che si vada anche molto oltre la definizione di interior designer che l’autore tratteggia come «uno scenografo che ha studiato antropologia» (pag.16); ne da conto l’erudizione con cui vengono organizzati i contenuti nei capitoli da 1 a 8, che si concludono con un ricco repertorio di casi internazionali esposti nel nono e ultimo capitolo, rinsaldando in modo esaustivo la teoria con la pratica o la dissertazione dialettica con l’esempio. Ciò premesso le questioni che più ci hanno convinto e sulle quali troviamo utile fare qualche ragionamento sono quattro.
La prima riguarda la “transdisciplinarità” nell’accezione originale introdotta da Jean Piaget nel 1970, in un seminario internazionale in Francia: «ci auguriamo di vedere in futuro lo sviluppo delle relazioni interdisciplinari verso uno stadio superiore che potrebbe essere indicato come “transdisciplinare”» e che quindi rimane al riparo da successive rivisitazioni come quella del “trespassing” che per quanto intrigante, può facilmente portare a discutibili ambiguità di significato. Essa assume bene il suo valore fondativo quando l’autore espone la definizione di “design del non-finito” (pag. 14): «adottando un approccio transdisciplinare, si tratta di accogliere nel progetto come un “dono” gli elementi di degrado nell’opera esistente, per tradurli in vocaboli di una sintassi finalizzata darle una nuova identità. Dono – prosegue Crespi – nel senso che gli attribuisce Marcel Mauss nel suo celebre saggio, come qualcosa che si dà e che si deve ricambiare. E che, nelle società arcaiche, non rappresenta una pratica libera, ma un obbligo sociale. Il progetto di “avanzi” acquista in tal senso il valore più generale di sperimentazione di una disciplina di confine, collocata – secondo l’autore – tra design, interior design, arti, restauro, exhibition design, scenografia, cinema, antropologia, il cui obiettivo è di elaborare una estetica dell’avanzo. Meglio ancora – chiosa – si potrebbe parlare di “design del non finito”, come prospettiva per attribuire agli ambienti da rigenerare un “carattere” ospitale e al tempo stesso rappresentativo delle condizioni di provvisorietà, precarietà, transculturalità, proprie della contemporaneità, qualunque sia la funzione».
La seconda attiene ad una tensione d’indagine tra un perimetro convenzionale di pertinenza dialettica dove l’”interno” degli spazi prevale sull’”esterno” e un altro molto più articolato dove questa gerarchia apparente –per fortuna, ci verrebbe da dire – si dissolve ricorrendo a moltissimi riferimenti di sparigliamento di scala. Attraverso il richiamo alle Lezioni di interior design di Pierluigi Nicolin (a cura di Gaia Piccarolo, Postmedia, 2020), si accenna all’esigenza di un «linguaggio per costruire cortocircuiti mentali» e si introduce la «nozione di interiorità (…), saltando da categorie di natura universale dello spazio -che scavano nella configurazione dei suoli, come il tema delle tracce, o della qualità dell’atmosfera, come il blurring(8), o attorno alla nozione di sopra e sotto- a temi molto circoscritti, come quello degli shelter(9)». E ancora citando Nicolas Bourriand (conosciuto principalmente per l'attività curatoriale al Palais de Tokyo di Parigi), quando afferma che «l’arte contemporanea va nella direzione di instaurare “rapporti sociali più corretti, modi di vita più densi… e non cerca più di figurare utopie, ma di costruire spazi concreti”, sottolineando come “questi dispositivo si potrebbero chiamare neotopie, per distinguerli appunto dai grandi scenari utopici. (…). Neotopie dunque come “fertilizzanti urbani”». Ne deriva una “quadratura” dove l’interno o l’interiorità acquista l’attributo di “immanenza” sul senso da dare ad un futuro dello spazio urbano dove il già configurato diventa sempre più pervasivo e lo sforzo per migliorarlo ci impone una lettura ontologica dell’agire progettuale. Non importa a questo punto se l’ancoraggio è quello dei 17 obiettivi dell’Onu, della casa comune della Laudato si’ di Papa Francesco, o dell’”esserci” heideggeriano(10) a cui l’idea di “quadratura” trae ispirazione.
Il terzo ambito che il libro affronta con provocazioni e punzecchiamenti multipli attiene alla sfera degli “strumenti” metodologici e operativi di trasformazione degli “avanzi”. Al di là dell’immancabile richiamo critico alla «rigidità delle normative esistenti», ci sembra che il tema di fondo sia quello riconducibile a un termine che non si è ancora semanticamente stabilizzato, ovvero quello della “retro-innovazione”. Con il sounding dell’ossimoro, esprime un concetto emerso originariamente nelle scienze del territorio(11) che via, via si sta diffondendo in altre discipline o prassi operative(12) e che a nostro avviso il libro di Luciano Crespi fa emergere potentemente come un grande ambito di ricerca empirica per i prossimi anni. Gli accenni e soprattutto gli esempi raccolti nel libro ci lasciano intendere che non si tratta solo e solamente di quell’ambito meramente funzionale denominato “retrofit o retrofitting”, ovvero di un "aggiornamento", "ammodernamento" che consiste nell'aggiungere nuove tecnologie o funzionalità ad un sistema vecchio, prolungandone così la vita utile o rendendolo adeguato a nuove normative vigenti. Si tratta piuttosto della rigenerazione di componenti di una filiera, che non può prescindere da una lettura “sistemica” di cicli o settori produttivi, dei pattern di competenze attivabili, così come dei contesti di sperimentazione e apprendimento che intorno ad alcuni reiterati problemi si possono spalancare. Ma di cosa stiamo parlando con precisione? È lo stesso Luciano Crespi che ci informa (in parte nel libro medesimo, in parte attraverso conversazioni di merito), con alcuni esempi: pavimenti in battuto di cemento da sottrarre ad un (in)utile “vespaio aerato”; serramenti in ferrofinestra da conservare o far convivere con altre modalità di nuovi diaframmi a “taglio termico”; equipaggiamenti per riscaldare o raffreddare in grado di adattarsi con garbo allo stato dei luoghi; inglobamento di lacerti, ferite o lacune come nuovi dispositivi poetici o di atmosfera. Per capire meglio fin dove ci si possa spingere, può essere utile richiamare il commento su “La Fabrica” l’ex cementificio casa studio di Ricardo Bofil a Barcellona: «troviamo qui già l’idea che lo spazio sia organizzato in base ad attività mentali e psicologiche, più che alle funzioni che sia un luogo – scrive Crespi – dove si incrociano estetiche diverse in grado di dare forma ad “un ambiente appropriato, per diversi stati d’animo”. Che sia come il suono, qualcosa che non tutti sanno percepire allo stesso modo»(13).
Infine il quarto campo di riflessioni, il più ricco e il più aperto ad un’attività di public engagement, siano essi policy makers o stakeholders nei vasti settori delle responsabilità sociali o politiche, ovvero il tema del rinnovamento della cultura di progetto e del ruolo dell’architetto nella sua alta vocazione all’impegno civile. È lo stesso autore che attrezza la riflessione con queste parole che arrivano subito dopo la “definizione” già precedentemente introdotta: «non si tratta di un compito banale, significa avvicinarsi al progetto di questi spazi bordeggiando, mettendosi in una posizione scomoda. (…). Eppure è proprio lungo questi bordi che possono accadere le cose più impensate, capaci di sovvertire “l’ordine del discorso”». Una felice espressione che ci riporta all’esigenza di rinnovare la cultura del progetto con la forza, l’apertura mentale, l’instancabile curiosità, miscelando propensione alla generatività e buona applicazione delle scienze cognitive e senza mai dimenticare che è l’esistenza stessa «il non finito per antonomasia», come ricorda l’autore citando un Argan esistenzialista nel districarsi tra Leonardo e Michelangelo (pag.127).
Questo ricondurre al senso della vita lo troviamo in un recente lavoro di Gabriele Pasqui(14) sulla possibilità e le forme operative dell'azione di pianificazione e sul ruolo delle politiche pubbliche: «Nei discorsi comuni per dirla con Illich, il saperci fare conta più del problem solving. Come scriveva Levi-Strauss, il bricolage funziona meglio dell’ingegnerizzazione, perché il saper fare del bricoleur si assembla più direttamente con la “vita quotidiana”, si fa carico degli effetti concreti, pratici delle scelte e delle azioni. (…). Si tratta sempre – sostiene Pasqui – di osservare gli effetti, non le intenzioni, le modificazioni del campo, non la coerenza astratta del disegno. Si tratta in altre parole, di pensare le politiche e i programmi che vengono promossi come “grumi di pratiche”. Pratiche cognitive e tecnologiche, istituzionali e politiche, interattive e sociali, che definiscono le condizioni entro le quali prende corpo quel che facciamo, progettiamo e programmiamo».
Il climax che ne deriva merita una sommaria trattazione comparativa con alcune analoghe riflessioni sul tema del nuovo orizzonte multidisciplinare per i professionisti e per nuovi professionisti di riuso, rigenerazione, riconversione e sostenibilità. Un campo dove non è sufficiente introdurre una nuova tassonomia(15) di professioni per quanto plausibili o addirittura auspicabili.
Più organico – secondo Mosè Ricci – il ragionamento sul «senso dell’architettura dopo la modernità (…). Quando il futuro previsto per la città non arriva mai e l’esistente sembra l’ultimo contesto di intervento possibile per l’architettura e la città (…). Se una delle principali questioni teoriche della modernità era – sostiene Ricci – quella della migliore sintesi spaziale tra funzione e forma, l’esistente è il Nuovo Patrimonio nelle città e non può essere cancellato. Se negli anni Ottanta la storia diventava serbatoio di immagini e proiezioni, il presente oggi propone un tempo fermo e un’immensa eredità di spazi vuoti ai quali l’architettura può dare significato e nuova bellezza»(16).
Così come l’analisi di Elena Granata sull’«attitudine è saper trasmutare una buona idea in un progetto vivo che trasforma un luogo” ha portato all’introduzione della figura del “Placemaker. Dal politico-pedagogista, all'imprenditore-artista, dall'informatico-ambientalista all'architetto-giardiniere: gli innovatori dirompenti per pensare la nuova città.(…). Ciascuno di loro – secondo Granata – è capace di incursioni al di fuori del proprio campo, senza perdere di vista l'obiettivo iniziale. Un pugno di innovatori urbani sta operando nelle città, ripensando la relazione tra città e natura, tra spazi pieni e vuoti, sui servizi, le reti, la mobilità. Sono professionisti ibridi, capaci di conciliare bisogni con immaginazione, creatività quotidiana con la salute del corpo sociale che vive la città. Sono mossi da una curiosità libera e creativa e per questo trovano le soluzioni più adatte. Osano pensare di poter fare qualcosa che non è mai stato fatto prima e soprattutto lo fanno» (17).
Questa breve traiettoria non può che portarci ancora alla definizione di “practioner” che Lesley Lokko curatrice della 18° Mostra Internazionale di Architettura della Biennale Architettura 2023: «tutti i partecipanti – ci ha detto – esprimono la posizione di chi abita più di un’identità, parla di una lingua e viene da luoghi fuori dal centro. Li abbiamo chiamati “praticanti”, invece che architetti o urbanisti, designer, paesaggisti perché – ha proseguito Lesley Lokko – riteniamo che le condizioni complesse di un mondo in rapida ibridazione richiedano una comprensione più ampia e diversificata del termine architetto”. Al posto dell’architettura con la A maiuscola, un pulviscolo di pratiche di progetto, una miriade di piccoli interventi riparatori di situazioni locali, una punteggiatura di situazioni particolari che comprendono il riuso del patrimonio […], la salvaguardia di ambienti e produzioni minacciate dal progresso industriale, la memoria di identità cancellate dalla storia e ora rivendicate come forma di riscatto. […]. Sono i “practitioners” di cui parla la curatrice: praticanti che navigano con disinvoltura tra paesaggio e ingegneria, accademia e design, progettazione e urbanistica; rappresentanti di una società fluida e in rapida ibridazione, dove transculturalismo, transgenderismo (ma anche trasformismo) definiscono una condizione generale tipica delle ultime generazioni. Sono gli “indisciplinati”, cioè quelli che rifiutano di accettare l’idea di architettura come limite in favore del potere dell’immaginazione e si dichiarano in grado di negoziare dentro e oltre i confini della disciplina»(18).
E anche per quanto attiene al panorama nazionale del padiglione italiano curato dal collettivo Fosbury Architecture, emerge secondo Gabriele Neri: «un palinsesto visivamente scarno, da leggere come parte evocativa di azioni concrete sul territorio. Il vuoto e la riduzione rispecchiano anche una condizione generazionale: i Fosbury (che sono under 40) e molti colleghi sono infatti millenials, allevati al culto delle archistar ma poi confrontatisi con che ne hanno ridimensionati i sogni di gloria. La frustrazione, se c’è stata, si è trasformata in un nuovo approccio alla professione: alla dimensione produttiva ed epica dell’architettura si è affiancata quella curativa, per cui progettare è lenire, rimediare, rigenerare, proteggere, riappacificare, liberare, ascoltare. Talvolta senza disegnare. Certo – chiosa Neri – è una visione parziale dell’architettura, ma per questo spiccatamente politica, che talvolta – tra partecipazione, “animazione”, performance, multisciplinarietà e accenti su ritualità e dintorni- richiama le pratiche degli anni settanta. Se le differenze da allora sono immani, si sente l’eco di una rinnovata tensione etica, verso il ripensamento di obiettivi e gerarchie dell’architettura»(19).
Questa riflessione non può che concludersi con l’interessante trasposizione del “vademecum” di Luciano Crespi ad «alto grado di arbitrarietà» che viene proposto attraverso l’ironia di chi si appresta a riconoscere un “melone maturo” (pagg.142–143), un “decalogo”– in altre parole – per identificare e processare un “avanzo”:
1. un’opera che è stata precedentemente un “avanzo” cioè un’architettura dismessa;
2. non aver perso i caratteri, i segni del tempo, le rughe da cui è contraddistinta nello stato di “avanzo”;
3. essere destinata a nuove funzioni rispetto a quelle avute in precedenza;
4. essere stata adeguata alle nuove modalità d’uso attraverso provvedimenti di tipo allestitivo, provvisori, reversibili (e non con interventi di ristrutturazione edilizia finalizzati alla lunga durata)
5. essere stata messa a disposizione del territorio con l’uso di poche, giudiziose risorse, anche economiche;
6. essere stata messa a disposizione con molto, rigoroso, colto pensiero progettuale, non con operazioni tattiche;
7. affrontare (quando ricorre) il tema delle prestazioni energetiche adottando soluzioni non convenzionali;
8. mettere in discussione i regolamenti, in ragione del carattere speciale che questi luoghi presentano;
9. essere disponibile a cambiare nuovamente, anche in tempi brevi, la propria funzione e il nuovo status appena conquistato;
10. introdurre un nuovo codice estetico negli ambienti, interni ed esterni, rappresentativo del carattere del tempo in cui stiamo vivendo (20).
Roberto Tognetti
Note
1) Luciano Crespi, Manifesto del design del non-finito, Postmedia Books, Milano, 2018.
2) Roberto Tognetti, “Riusare il costruito tra innovazione e progetto”, contributo didattico per Scuola di design del Politecnico di Milano, 17 novembre 2020.
3) Roberto Tognetti, “For a Softlaw of contemporary project: food for thought and a manifesto”, in Design of the Unfinished. A New Way of Designing Leftovers Regeneration, a cura di Luciano Crespi, Springer, Cham, Switzerland, 2021.
4) Laboratorio progettuale per Palazzo Lateranense a Mortara, con esposizione in corrispondenza del convegno / Tappa della Carovana dei Beni comuni Palazzo Lateranense da "avanzo" a bene comune, organizzato da Contrada La Torre, Rete Communia e Comune di Mortara, Mortara, 12 novembre 2022.
5) Gruppo RED (Regeneration Design Team): Luciano Crespi, Sonia Pagnacco, Francesca Porfiri, Roberto Tognetti, Marco Zanini.
6) Alessandro Baricco, I barbari. Saggio sulla mutazione, Feltrinelli, Milano, 2008
7) Adolf Loos, Parole nel vuoto, trad. di Sonia Gessner, Adelphi, Milano 1972, pp. 217-229. Parole nel vuoto (in tedesco Ornament und Verbrechen, letteralmente "Ornamento e delitto") è stato scritto nel 1908.
8) Sfocatura, offuscamento.
9) Riparo, rifugio.
10) Martin Heidegger, “Costruire abitare pensare”, in Saggi e discorsi (a cura di Gianni Vattimo), Mursia, Milano, 1976.
11) Marian Stuiver, “Highlighting the retro side of innovation and its potential for regime change in agricolture”, in: Between the Local and the Global: Confrtontin Complexity in the Contemporary Agri-Food Sector Research, Rural Sociolgu and Development, volume 12, 2006, citato in : A. Magnaghi (a cura di), La regola e il progetto. Un approccio bioregionalista alla pianificazione territoriale, Firenze University Press, 2014.
12) Un esempio è costituito da New Craft una mostra curata e ideata da Stefano Micelli e allestita nel 2016 alla Fabbrica del Vapore per la XXI Esposizione Internazionale della Triennale di Milano. Un esperimento che ha cercato di rendere visibile l’incontro virtuoso fra innovazione tecnologica e manifattura d’eccellenza, dove in moliti casi era proprio il recupero di macchine o tecniche del passato il punto qualificante del prodotto o del servizio.
13) Il ragionamento presenta qualche assonanza con: Roberto Tognetti, Riuso creativo e sciamanesimo contemporaneo, 14 Ottobre 2019, https://www.labsus.org/2019/10/riuso-creativo-e-sciamanesimo-contemporaneo/.
14) Gabriele Pasqui, Gli irregolari. Suggestioni da Ivan Illich, Albert Hirschman e Charles Lindblom per la pianificazione a venire, Franco Angeli, Milano, 2022.
15) Secondo Giorgio Tacconi emergono nuove figure professionali di servizio del riuso, quali: Agente del riuso; Attivatore e gestore di riuso; Situazionista e cooperante del riuso; Tecnico comunale del riuso, ved. www.teknoring.com/guide/guide-edilizia-e-urbanistica/il-riuso-degli-spazi-pubblici-abbandonati-una-guida-per-orientarsi/.
16) Mosè Ricci, Habitat 5.0. L’architettura del Lungo Presente, Skira, Milano 2019, pp. 61-63.
17) Elena Granata, Placemaker. Gli inventori dei luoghi che abiteremo, Einaudi, Torino, 2021.
18) Intervista e commento di Fulvio Irace, Un archivio di idee costruisce il futuro, “Il Sole 24 Ore”, 21.05.23.
19) Gabriele Neri, Al padiglione Italia l’assenza diventa cura e promessa, “Il Sole 24 Ore”, 21.05.23.
20) L’inserimento della numerazione da 1 a 10 punti è nostra ed è animata dalla stessa ironia applicabile al riconoscimento di un melone maturo.
N.d.C. – Roberto Tognetti, architetto, si laurea con lode al Politecnico di Milano nel 1986 (relatore: Franca Helg). Nel 1987 segue il corso di specializzazione in 'Museografia e Museologia'. Nel periodo 1987-1988 ha insegnato presso il Dipartimento di Architettura d'Interni dell'Istituto Europeo del Design di Milano. Dopo varie esperienze presso studi e società d'ingegneria milanesi (Austin Italia Spa, Studio G14 Progettazione), fonda a Novara nel 1990 lo Studio associato architetti FGMT che sarà attivo fino al 2000. Svolge attività sia di progettazione architettonica e urbana che di pianificazione e programmazione territoriale. Tra i suoi lavori la casa dello scrittore Sebastiano Vassalli nella pianura novarese e innumerevoli progetti di sviluppo locale nei territori di varie regioni italiane. Nel 2008 fonda il network “iperPIANO Ecosistema di soluzioni e innovazioni per il governo del territorio e della città”. Dal 2010 è presidente del Comitato d’Amore per Casa Bossi, che intorno al monumento antonelliano "Casa Bossi" di Novara ha promosso una delle più originali operazioni di rigenerazione di un edificio storico da parte di un gruppo di cittadini attivi. È coautore con Giovanni Campagnoli del libro Riusiamo l'Italia. Da spazi vuoti a start up culturali e sociali edito nel 2014 da Gruppo 24 Ore. È direttore della Fondazione Riusiamo l’Italia.
Sul libro oggetto di questo commento, v. anche: Manlio Brusatin, Parlare al non finito & altro (15 giugno 2023).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 06 OTTOBRE 2023 |
CITTÀ BENE COMUNE
Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, l'ambiente, il paesaggio e le relative culture progettuali
ideato e diretto da Renzo Riboldazzi
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V. De Lucia, Natura? La distruzione continua..., commento a: A. Cederna, La distruzione della natura in Italia (Castelvecchi, 2023)
P. C. Palermo, Urbanistica? Necessaria e irrilevante, commento a: A. Clementi, Alla conquista della modernità (Carocci, 2020)
C. Merlini, L'insegnamento di un controesempio, commento a: A. Di Giovanni, J. Leveratto, Un quartiere mondo (Quodlibet, 2022)
I. Mariotti, Pandemie? Una questione anche geografica, commento a: E. Casti, F. Adobati, I. Negri (a cura di), Mapping the Epidemic (Elsevier, 2021)
A. di Campli, Prepararsi all'imprevedibile, commento a: S. Armondi, A. Balducci, M. Bovo, B. Galimberti (a cura di), Cities Learning from a Pandemic (Routledge, 2023)
L. Nucci, Roma, la città delle istituzioni, commento a: (a cura di) A. Bruschi, P. V. Dell'Aira, Roma città delle istituzioni (Quodlibet, 2022)
G. Azzoni, Per un'etica della forma architettonica, commento a: M. A. Crippa, Antoni Gaudì / Eladio Dieste. Semi di creatività nei sistemi geometrici (Torri del vento, 2022)
S. Spanu, Sociologia del territorio: quale contributo?, commento a: A. Mela, E. Battaglini (a cura di), Concetti chiave e innovazioni teoriche della sociologia dell’ambiente e del territorio del dopo Covid-19 ("Sociologia urbana e rurale", n. mon. 127/2022)
F. Camerin, La dissoluzione dell'urbanistica spagnola, commento a: M. Fernandez Maroto, Urbanismo y evolución urbana de Valladolid (Universidad de Valladolid, 2021)
M.Bernardi, Il futuro è nel glocalismo, commento a: P.Perulli, Nel 2050. Passaggio al nuovo mondo (il Mulino, 2021)
F.Ventura, Edifici, città e paesaggi biodegradabili, commento a: V. De Lucia, L’Italia era bellissima (DeriveApprodi, 2022)
M. Ruzzenenti, La natura? Un'invenzione dei tempi moderni, commento a: B. Charbonneau, Il Giardino di Babilonia (Edizioni degli animali, 2022)
G. Nuvolati, Il design è nei territori, commento a: A. Galli, P. Masini, I luoghi del design in Italia (Baldini & Castoldi, 2023)
C.Olmo, Un'urbanistica della materialità e del silenzio, commento a:C. Bianchetti, Le mura di Troia (Donzelli, 2023)
E. Scandurra, Dalle aree interne un'inedita modernità, commento a: L. Decandia,Territori in trasformazione (Donzelli, 2022)
M. Brusatin, Parlare al non-finito & altro, commento a: L. Crespi, Design del non-finito (Postmedia, 2023)
H. Porfyriou, L'urbanistica tra igiene, salute e potere, commento a: G. Zucconi, La città degli igienisti (Carocci, 2022)
G. Strappa, Ogni ricostruzione è progetto, note a partire a: E. Bordogna, T. Brighenti, Terremoti e strategie di ricostruzione (LetteraVentidue, 2022)
L. Bifulco, Essere preparati: città, disastri, futuro, commento a: S. Armondi, A. Balducci, M. Bovo, B. Galimberti (a cura di), Cities Learning from a Pandemic: Towards Preparedness (Routledge, 2022)
A. Bruzzese, Una piazza per ogni scuola, commento a: P. Pileri, C. Renzoni, P. Savoldi, Piazze scolastiche (Corraini, 2022)
C. Sini, Più che l'ingegnere, ci vuole il bricoleur, commento a: G. Pasqui, Gli irregolari (FrancoAngeli, 2022)
G. De Luca, L'urbanistica tra politica e comorbilità, commento a: M. Carta, Futuro (Rubbettino, 2019)
F. Erbani, Una linea rossa per il consumo di suolo, commento a: V. De Lucia, L’Italia era bellissima (DeriveApprodi, 2022)
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C. Olmo, La memoria come progetto, commento a: L. Parola, Giù i monumenti? (Einaudi, 2022); B. Pedretti, Il culto dell’autore (Quodlibet, 2022); F. Barbera, D. Cersosimo, A. De Rossi (a cura di), Contro i borghi (Donzelli, 2022)
A. Calafati, La costruzione sociale di un disastro, commento a: A. Horowitz, Katrina. A History, 1915-2015 (Harvard University Press, 2020)
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F. Indovina, La città è un desiderio, commento a: G. Amendola, Desideri di città (Progedit, 2022)
A. Mazzette, La cura come principio regolatore, F. C. Nigrelli (a cura di), Come cambieranno le città e i territori dopo il Covid-19 (Quodlibet Studio, 2021)
P. Pileri, La sostenibilità tradita ancora, commento a: L. Casanova, Ombre sulla neve. Milano-Cortina 2026 (Altreconomia, 2022)
A. Muntoni, L'urbanistica, sociologia che si fa forma, commento a: V. Lupo, Marcello Vittorini, ingegnere urbanista (Gangemi, 2020)
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