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Filippo Turati, nell'esilio parigino cui fu costretto dalla dittatura, definì Carlo Rosselli, Gaetano Salvemini e gli altri interventisti democratici 'i raggirati della storia ': avevano propugnato l'ingresso dell'Italia nella Prima guerra mondiale per completare l'unificazione nazionale e per abbattere i regimi autocratici degli Imperi centrali e si erano trovati a che fare con il fascismo (e con il comunismo). Ad essi è andato il pensiero leggendo, in questi mesi di celebrazione del centenario della prima guerra mondiale, vari interventi di Ernesto Galli della Loggia sul 'Corriere della sera ' (L'inganno della memoria cancellata cento anni dopo la Grande Guerra, 4 agosto 2014; Cattiva coscienza europea, 16 febbraio 2015). Il bagno di realismo cui l'autore ci invita è certamente salutare: la guerra è un fenomeno probabilmente ineliminabile nella vita degli uomini e degli Stati, e va studiato storicamente e non moralisticamente (anche se pure per i fautori della 'guerra giusta ' essa va condotta secondo determinati criteri). Il punto è però un altro: come scrive lo stesso Galli della Loggia le guerre hanno «quasi sempre il notevole effetto di cambiare il mondo». Ecco, come è cambiato il mondo dopo la Grande guerra? Oltre ai notevoli mutamenti dal punto di vista economico-sociale (il ruolo dello Stato nell'economia, la presenza delle donne in fabbrica, la modernizzazione tecnologica nel campo degli armamenti, l'accresciuto peso della propaganda), vi è stato un rapporto (e di che genere) con la persistente presenza del nazionalismo e del militarismo, con la crisi delle democrazie liberali e l'affermazione dei totalitarismi, con una sistemazione del Medio Oriente i cui effetti si scontano ancora al giorno d'oggi? Quando, con le guerre e la politica di potenza, si apre il vaso di Pandora della storia, pochi sanno cosa li attende. In fondo, lo riconobbe lo stesso Carlo Rosselli, scrivendo in morte di Turati: «La nuova generazione intellettuale, la nostra generazione, volle l'intervento dell'Italia in guerra o vi aderì fiduciosa; lo volle per una serie di motivi che non è possibile qui riassumere, nella convinzione profonda che si servisse in tal modo la causa della libertà e della pace e magari la causa della rivoluzione. La generazione di Turati si oppose. Per quanto sia ozioso disputare sul passato per sapere come le cose sarebbero andate se si fosse seguito un diverso avviso, si può , si deve ben riconoscere che non noi eravamo nel giusto, non noi interpretavamo la volontà delle masse, ma piuttosto Turati». © RIPRODUZIONE RISERVATA 15 MARZO 2015 |