1 - Abbiamo concordato questo incontro con gli amici del Manifesto: loro, a Roma, hanno celebrato il centenario della nascita di Rossanda ad aprile, noi qui a Milano continuiamo la riflessione nel giorno in cui ricorre anche il quarto anniversario della scomparsa di Rossanda.
Due incontri, uno a Roma un altro a Milano, mentre a Venezia è stata allestita una mostra in ricordo di Rossanda, mostra che, per altro, verrà trasportata a Milano nei prossimi mesi.
Quando quattro anni fa ricordammo qui la scomparsa di Rossanda fummo colpiti dalla risonanza che ebbe l’iniziativa: 14 000 collegamenti in tempo reale solo su Facebook, indicatore di una partecipazione e di una emozione fuori dal comune. A distanza di quattro anni quell’effetto non si è disperso. Anzi, più passa il tempo più la figura di Rossanda emerge e si rafforza nell’immaginario pubblico: essa si sta trasformando in un’icona, l’icona della donna intellettuale e dirigente politico della sinistra del Novecento.
La sua figura sta assumendo contorni ben precisi: la donna intellettuale e dirigente che più di altri si distinse nel rapporto con il movimento degli studenti e, poi, che interloquì e divenne esponente di primissimo piano del movimento delle donne.
2 – La vicenda umana e politica di Rossanda è stata ricostruita brillantemente dal Manifesto nei mesi scorsi, soprattutto nell’inserto speciale che vi ha dedicato. Cosa altro possiamo aggiungere noi qui stasera?
Qualcosa in più possiamo dire probabilmente sul suo rapporto con il movimento delle donne, perché anche qui a Milano fu intensissimo: abbiamo alcune foto degli incontri con le donne che tenne in questa sala che destano stupore per l’affollamento. Erano altri tempi, tempi di grandi passioni e di partecipazione, ma gli affollamenti straordinari erano pur sempre, anche allora, segnali di una molla importante che scattava, di un richiamo particolare, di un dialogo particolarmente vivo e intenso.
E poi qui possiamo parlare con qualche orgoglio di un periodo della sua vita, dei dodici anni in cui ha diretto questo luogo, dal 1951 al 1963, della sua prima prova di direzione pubblica nella quale, giovanissima, dette prova di straordinaria capacità e autorevolezza.
Allora vi erano qui a Milano molti centri culturali, vi era confronto e competizione fra di loro: fra tutti la Casa della Cultura emerse come quello più autorevole. Divenne in città il luogo del dibattito pubblico per eccellenza. Con un tocco di prestigio in più. È proprio in quegli anni, durante la direzione della Rossanda, che la Casa della Cultura si avvolse di quell’aura di prestigio che gli ha poi garantito, pur tra alti e bassi, la sua lunga straordinaria durata.
Perché è stata così efficace la direzione della Rossanda? In cosa è consistito il quid particolare che essa ha messo nella direzione? Mi sembra che valga la pena ragionarci.
3 – Torniamo per un attimo al 1951. La Casa della Cultura era inattiva, chiusa, senza sede. Eppure c’era chi non si rassegnava a quella situazione. Troppo vivo era il ricordo, freschissimo, della sua prima straordinaria stagione, dal 1946 al 1949, in un luogo prestigioso messo a disposizione dai partigiani, il Club dei Nobili, dietro la Scala. La prima istituzione culturale che aprì i battenti a Milano dopo la guerra, tre mesi prima della riapertura della Scala, un anno prima del Piccolo Teatro. Una programmazione trionfale, animata da Banfi e dai suoi grandi allievi, e intrecciata con l’operazione di Vittorini, il Politecnico. Legami internazionali: vennero Sartre e Lukacs. Vengono presentate al pubblico nuove discipline come la psicanalisi. Si organizzano perfino mostre d’arte prestigiose. Su quel fervore – il rinnovamento culturale nel segno dell’antifascismo – si abbatterono il 48 e la guerra fredda. Sarà lo stesso Scelba a intervenire per chiudere quell’esperienza decretando lo sfratto della Casa della Cultura dal Club dei Nobili.
Due anni di incertezze. Si girava a vuoto. Fino al grande gesto di Ignazio Usiglio e di Grazia Curiel che decisero di regalare un loro scantinato alla Casa della Cultura. La sede a quel punto c’è. Ed ecco allora il gesto coraggioso di scegliere come nuova segretaria della Casa la giovanissima allieva di Banfi, la ventisettenne Rossanda.
4 – Rossanda ha dinanzi a sé un compito difficilissimo: bisogna trasformare uno scantinato, con i topi che vi scorazzano, in una sede accogliente. Soprattutto bisogna metterci un’anima, un progetto culturale.
Il 46, con le sue belle speranze, è lontanissimo: siamo nel 1951 nel momento più acuto della guerra fredda, in piena guerra di Corea. In un clima oscurantista oggi difficile perfino da immaginare: i “senza Dio” sono indicati al pubblico disprezzo. La prima urgenza è recuperare i valori di tolleranza e libertà, difendere lo stato di diritto.
La tempesta della Guerra Fredda ha colpito lo stesso mondo che animava la Casa della Cultura: l’ortodossia staliniana aveva disperso il gruppo del Politecnico e aveva provocato addirittura la chiusura della Rivista di Banfi, Studi Filosofici.
Bisogna ripartire con un progetto nuovo. Esso si delinea rapidamente con due obiettivi fondamentali: rompere l’isolamento e riattivare le antiche radici dell’illuminismo che costituiscono l’humus più profondo del mondo culturale milanese.
5 - Rompere l’isolamento: Rossanda porterà in porto rapidamente operazioni brillantissime: riporta in Casa della Cultura i socialisti Fortini, Arnaudi, Musatti, stringe i rapporti con Antonicelli e gli uomini di Comunità, aggancia gli architetti del movimento moderno, Rogers, Banfi e Peressutti, quelli che avevano progettato la Torre Velasca, recupera un trotskista, il grande musicologo Rognoni, apre le porte a scienziati come Rollier. Insomma, in poco tempo tutta la sinistra e i laici cominciarono a scendere le scale di via Borgogna. Mancavano solo i cattolici: la Curia erge uno sbarramento insormontabile alle relazioni con i “miscredenti”, si può solo lavorare sotto traccia con i padri di Largo Corsia dei Servi che avevano partecipato alla Resistenza.
Con queste energie bisogna riattivare le radici illuministe della cultura milanese: rianimarle, rimetterle in circolazione. A Milano si mette in moto un intenso lavorio culturale con questa finalità: la nuova Casa della Cultura diventa il tassello fondamentale di questa operazione. Ecco qui in sede la proiezione dei film censurati, la battaglia contro la legge truffa con Calamandrei, Crisafulli, Mortati, il rapporto con il Centro di prevenzione e di giustizia sociale, il confronto con le nuove scienze sociali.
Un lavoro effervescente che poteva andare in frantumi nella stretta micidiale dell’autunno 1956, quando i carri armati russi stroncarono l’insurrezione di Budapest. La Casa della Cultura passò indenne da quella bufera perché non si sottrasse, ma propose e organizzò la discussione pubblica su quanto stava accadendo. Confronto acceso, passioni al diapason ma vennero evitate rotture irrecuperabili. Anzi, la Casa della Cultura, con il suo profilo plurale, si dimostrò accogliente verso gli intellettuali che andavano elaborando la critica allo stalinismo.
6 – Superata la bufera del 56 si cominciano ad avvertire i segni di un clima che stava cambiando. Nel 60, dopo le sommosse contro Tambroni, si poterono organizzare le celebri lezioni sul fascismo, con i protagonisti dell’antifascismo e della Costituente: una folla strabocchevole, fino al punto che si dovette ricorrere al teatro Lirico. E quando, poco dopo, qui in questa sala cominciarono a fare le prime prove i ragazzi del Nuovo Canzoniere Italiano possiamo dire che si era entrati in un’altra stagione.
Rossanda aveva brillantemente portato a termine la missione che le era stata affidata: poteva lasciare la Casa della Cultura per i nuovi incarichi in Parlamento e in direzione del PCI.
Eppure le tracce di quel lavoro sono rimaste. Chi ne era stato coinvolto ne era rimasto affascinato, al punto di parlare di quella stagione come di un “capolavoro”. Così più volte me ne parlò Fulvio Papi, che dal 49 aveva seguito passo passo quella vicenda.
Un capolavoro. Che ha lasciato tracce. Ma cosa vuol dire? In che senso? Ancora poche parole per spiegare il senso di queste affermazioni.
7 – Innanzitutto Rossanda ha dimostrato che in un centro culturale si può discutere seriamente. L’espressione è sua: l’unico centro in cui si “discuteva seriamente”. Le questioni venivano sviscerate, messe a confronto, in un pubblico dibattito. Il significato, l’importanza di questa affermazione è perfino autoevidente se si pensa alle Fondazioni ad personam dilagate in questo paese.
In secondo luogo per discutere seriamente un centro culturale deve avere una direzione autonoma, ovvero non sottostare a interferenze o direzioni esterne. “Nessuno della Federazione – scrive Rossanda – ha mai interferito con la direzione della Casa della Cultura”. Autonomia della direzione culturale, quindi. Il che non significa autoreferenzialità: significa ricerca libera senza preoccupazioni di ortodossia. E Rossanda ha saputo imporlo in tempi in cui vi erano ancora refoli di stalinismo in circolazione.
E veniamo al terzo punto: seriamente, con autonomia, ma con una salda direzione. Ovvero con un preciso punto di vista. In caso contrario il tutto si perde in un generico e inconcludente chiacchericcio.
Rossanda avrà modo di esplicitare il punto di vista con cui guidò la Casa della Cultura in un celebre articolo su Rinascita del 1965. In esso contrappose l’ispirazione milanese, banfiana, basata sul razionalismo critico e problematico, protesa al dialogo con la grande cultura critica europea, allo storicismo che guidava la cultura nazionale del PCI. Lo storicismo, ecco il punto decisivo del ragionamento di Rossanda, tendeva a giustificare tutti i processi della storia, compreso lo stalinismo, i suoi arbitri, le sue degenerazioni, mentre l’opzione razionalista e critica rifugge da questa visione teleologica, edificante della storia.
Quando lessi per la prima volta quell’articolo ne fui affascinato al punto che ne feci il perno teorico attorno a cui feci ruotare la mia tesa di laurea. Riletto oggi, a distanza di sessant’anni dalla sua stesura, quell’argomentare mi appare un po’ ingeneroso verso il PCI e la sua politica culturale. Alla fin fine lo storicismo del PCI era alimentato dal pensiero di Gramsci e Gramsci è stato il vero grande antidoto che ha permesso la progressiva evoluzione antistaliniana dei comunisti italiani.
Oggi tendo a leggere l’opzione di Rossanda e della Casa della Cultura di quegli anni come un tassello, uno dei più preziosi e originali, di quella particolarissima composizione polifonica che fu il PCI. Nella quale tante voci confluivano per fare vivere e dare forza, giorno per giorno, al movimento operaio e ai suoi ideali di emancipazione.
7 – Ecco l’esemplarità della direzione di Rossanda della Casa della Cultura. Essa riuscì a tenere assieme queste tre questioni. Ecco perché, quando mi è stato proposto di dirigere questa istituzione, ebbi modo di dichiarare che bisognava avere come riferimento il modello di direzione di Rossanda.
Ho avuto modo di incontrare di persona Rossanda una sola volta, nel 2005, quando venne qui a presentare il suo libro. In quell’occasione mi dedicò una copia del suo libro con queste parole: “abbi cura della ex - mia casa”. Sono passati altri vent’anni dalla presentazione del suo libro: nevicava e questa sala era stracolma di affetto e di calore. A me sembra che anche ora, nel mezzo di cambiamenti tumultuosi, la “ ex – mia casa” continua a pulsare vita.
VIDEO integrale dell'incontro Casa della Cultura 20 settembre 2024
Rossana Rossanda, protagonista della vita pubblica a Milano e in Italia
In occasione del centenario della nascita
Intervengono:
Giulia Albanese, Ferruccio Capelli, Lidia Campagnano, Luciana Castellina, Carmen Leccardi