Roberto Limonta  
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LA FEDE FILOSOFICA DI ANTONIO BANFI


Gli anni della formazione nel libro di Gisondi



Roberto Limonta


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Antonio Banfi protagonista della filosofia italiana del Novecento è stato l'intellettuale che ha contribuito in maniera decisiva, nel ventennio tra le due guerre e fino agli anni Cinquanta, a rinnovare l'ambiente culturale italiano ridefinendone i punti di riferimento. A lui si deve infatti l'apertura alle correnti più vivaci del pensiero novecentesco, dal vitalismo di Simmel alle tradizioni spiritualiste francesi (Bergson in testa) fino a Kierkegaard e all'esistenzialismo, e in particolare l'approdo in Italia del pensiero di Husserl e della fenomenologia. Alla sua formazione è dedicato il volume di Marcello Gisondi, Una fede filosofica, uscito recentemente per le Edizioni di Storia e Letteratura. Il testo si presenta come un prezioso strumento di indagine - biografica e storiografica insieme - su anni ancora poco esplorati della vita intellettuale di Banfi, grazie soprattutto a una minuziosa analisi di materiale in larga parte inedito (appunti, lettere, messaggi,  scritti d'occasione etc.).

Maurizio Viroli, nella  prefazione, definisce a ragione lo studio di Gisondi un 'saggio di storia intellettuale '; ed è importante, per rendere giustizia alla ricostruzione dell'autore , spiegare in che senso l'espressione vada intesa. Il libro restituisce infatti con rigore uno spaccato prezioso del clima culturale italiano del Novecento, con i suoi retaggi risorgimentali e l'eredità hegeliana che faticosamente cominciava a confrontarsi - quantomeno in Banfi - con le domande e i problemi posti dalle correnti filosofiche più recenti. Luoghi comuni e  formule stereotipate hanno spesso accompagnato il giudizio sul filosofo italiano, come la controversia tra una lettura unitaria e continuista dell'attività intellettuale di Banfi - visto al contempo come filosofo, politico e  militante di partito - e la linea di chi ha sottolineato la presunta spaccatura tra due aspetti, il sostenitore dogmatico del marxismo e l'acuto fenomenologo della cultura. Sono formule con le quali si è cercato di interpretare un autore poliedrico e dinamico, che rischiano di mettere in ombra la continuità di un'ideale, intellettuale ed etico al contempo, di vita. Banfi stesso parla di una 'fede nella vita ' che ha coinvolto tutte le sue scelte politiche e intellettuali, oltre che personali. Basta l'elenco di coloro che a diverso titolo possono dirsi discepoli di Banfi per comprendere la profondità e la persistenza del suo esempio e dei suoi insegnamenti: da Paci a Preti, da Cantoni a Formaggio e Papi, e, fuori dalla cerchia dei filosofi, Monicelli, Antonia Pozzi, Sereni, Nino Rota, Alberto Mondadori e Maria Corti.

Il volume ricostruendo il percorso formativo e la crescita intellettuale è molto più che una  biografia di Banfi. A partire dalle origini -una famiglia di possidenti brianzoli di tradizione liberale e cattolica - il periodo di formazione mostra un Banfi quasi precocemente maturo e autonomo, molto presto capace  di uno sguardo critico e distaccato nei confronti della tradizione familiare. Non stupisce dunque che la fase successiva, a Milano, comporti non solo la scoperta della filosofia come passione profonda e impegno morale, ma anche l'incontro con il socialismo di Turati e di Critica sociale. Un socialismo verso il quale Banfi mantiene lo stesso atteggiamento di critico distacco tenuto nei confronti della tradizione di famiglia. È un passaggio cruciale, perché è in questi anni che il filosofo italiano, convinto  dalla  dall'urgenza del recupero di una dimensione spirituale contro la cultura positivista e la  pressione di una  forma meccanica dell'esistenza, scopre il pensiero hegeliano, che lo accompagnerà per tutto il periodo della sua formazione e nella svolta decisiva verso il marxismo. 'Lo leggevo con furia feroce ' scrive con enfasi 'cercando di squarciarne la ferrea corazza: le notti intere mi fuggivano in quello sforzo senza pari '. Nell'idealismo hegeliano Banfi intravedeva quell'approccio spirituale che andava cercando, capace di costruire una prospettiva filosofica dove teoria e prassi costituissero un tutt'uno. Gisondi lo definisce come una forma originale di 'idealismo individualista ', non troppo lontano peraltro dai toni di intellettuali come Prezzolini, Croce o Papini.

Nella capitale milanese l'incontro decisivo avviene nel 1909 con Piero Martinetti, a cui lo lega l'impronta etica del pensiero: a differenza di Croce e Hegel, Banfi cerca di praticare un idealismo dove l'universale non annulli il particolare, ma si misuri con l'esperienza nella forma di una razionalità pratica dove l'individuale ha il compito di portare alla luce l'universale etico. Una posizione, quasi un 'idealismo dal basso ', che va definendosi in opposizione a ogni sistema metafisico - compreso quello hegeliano - così come alle forme di empirismo e pragmatismo spiccio.

È lo spiritualismo francese a costituire un passaggio quasi naturale in questa fase della ricerca banfiana. Banfi si avvicina infatti alla filosofia di Boutroux, Renouvier e soprattutto  Bergson. L'idea di una realtà che si dà dialetticamente nel rapporto tra soggetto e oggetto all'interno della coscienza individuale, la concezione della coscienza stessa come movimento dinamico che diventa progressivamente cosciente di sé: tutto ciò ebbe l'effetto di scuotere le fondamenta dell'hegelismo di Banfi e la sua fiducia in un sistema filosofico capace di ricondurre il reale nelle categorie astratte e universali dell'ideale. Influenzato dallo spiritualismo, nel 1910 Banfi è a Berlino, dove rimarrà sino al marzo 1911 per seguire le lezioni di Georg Simmel. Il vitalismo simmeliano appare quasi un approdo naturale del percorso del filosofo italiano. In Simmel, infatti, da una parte egli ritrova un principio unitario al di là delle dicotomie tra sapere ed esperienza, ideale e reale, soggetto e oggetto, e che a lungo aveva ricercato nel pensiero hegeliano; dall'altra parte  la filosofia simmeliana si apre a una spiritualità capace di tenere insieme in modo non formale la vita e i principi ideali in nome della categoria, concreta , di responsabilità, in un intreccio tra vitalismo e razionalità che sarà una delle cifre distintive del pensiero di Banfi. Per il filosofo italiano si fa strada in maniera sempre più chiara l'idea che l'etica, fulcro della propria concezione della filosofia, non nasca solo dalla ragione ma anche dalla relazione, dalla storia e anche dalla vita e dalle esperienze personali che danno sostanza e realtà alle tensioni ideali: 'occorre restituire al pensiero ' scrive 'la sua propria libertà e la propria concretezza di vita '.In questo contesto si fanno evidenti i primi segnali di un avvicinamento alla politica con il manifesto alle 'anime elette ' per una 'religione dello spirito ', scritto insieme all'amico Andrea Caffi.

Dopo il ritorno in Italia gli anni tra il 1913 e il 1920, nella bibliografia banfiana, sono sempre apparsi come un periodo di transizione, dal momento che non registrano pubblicazioni. In realtà -sottolinea Gisondi- in questo periodo Banfi scrive moltissimo : soprattutto il saggio sulla Logica, che è indicativo del modo con cui il giovane filosofo concepisce in termini unitari la realtà. Il pensiero filosofico - scrive Banfi - deve risolvere i rapporti metafisici in rapporti logici, per poi assolvere al compito extralogico del rinnovamento sociale, in un continuo passaggio tra logica, etica, metafisica così come tra sapere ed esperienza. A questa fede personale nel valore della filosofia, dalle coloriture a tratti quasi messianiche, si aggiunge dal 1914 l'incontro decisivo con il pensiero di Marx e con alcuni principi fondamentali del marxismo, come il rifiuto della cultura borghese e la diffidenza verso l'umanitarismo intellettuale delle 'anime belle ', motivi che accompagneranno costantemente il filosofo italiano.

Gli anni del primo dopoguerra sono segnati dalla simpatia per il movimento socialista, dall'interesse per Ordine Nuovo e per la Rivoluzione d'Ottobre: tutto ora viene ripensato alla luce delle categorie di un marxismo filtrato attraverso le categorie dell'idealismo etico tipicamente banfiano. Gisondi indica la simbiosi tra vita e filosofia come la chiave di lettura per intendere al contempo le scelte di vita e gli orientamenti di pensiero: essa spiega sia l'entusiasmo con cui il giovane filosofo si dedica all'attività di Direttore della Biblioteca-Museo di Alessandria, sia una generale ostilità al fascismo (Banfi sarà uno dei firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti promosso da Croce nel 1925). È questo un aspetto che tuttavia non sarà immune da  contraddizioni, una su tutte il giuramento di fedeltà al fascismo (1931). Sono comunque anni di intenso lavoro teorico, che sfocerà poi nella pubblicazione di due testi decisivi, La filosofia e la vita spirituale (1922) e i Principi di una teoria della ragione (1926). Agli stessi anni risale la scoperta del pensiero di Husserl, con il quale Banfi stabilisce un duraturo rapporto a partire dal 1923, e l'introduzione in Italia del pensiero fenomenologico. 

L'apertura della cultura italiana alle correnti più importanti e vitali del dibattito filosofico contemporaneo costituisce uno dei risultati più duraturi dell'azione intellettuale di Banfi.

 


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27 OTTOBRE 2015

 

 

 

Marcello Gisondi

Una fede filosofica

Antonio Banfi negli anni della sua formazione

Edizioni di Storia e Letteratura 2015)