Umberto Curi  
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L'AMBIVALENZA COSTITUTIVA DELLO STRANIERO


Minaccia e dono che interpella ciascuno di noi



Umberto Curi


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1. 'Si deve distinguere incessantemente il problema dell'ospitalità in senso stretto dai problemi dell'immigrazione, dai controlli dei flussi migratori: non è la stessa dimensione, sebbene le due siano inseparabili ' . Mentre, infatti, l'ospitalità possiede, e deve conservare, un carattere 'incondizionale ', l'invenzione politica ha il compito di trovare la legislazione migliore, o se non altro la meno peggiore. Tenendo sempre presente che non esiste un 'criterio preventivo ', né una 'norma preliminare ', ma che si deve sempre inventare in una situazione concreta, 'affinchè l'ospitalità sia rispettata nella migliore maniera possibile '.

Altro è, insomma, l'ospitalità, in se stessa irriducibile ai condizionamenti della politica e perfino dell'etica . Altra cosa sono, invece, le politiche specifiche mediante le quali si possono affrontare le questioni storicamente determinate connesse col fenomeno dell'immigrazione. Con l'avvertenza fondamentale che questa imprescindibile distinzione non può far dimenticare l'indissolubile connessione che pure sussiste fra le due dimensioni. Se è vero, dunque, che la politica e il diritto non possono essere semplicemente 'dedotte ' dalle regole 'incondizionali ' dell'ospitalità, è altrettanto vero che esse non possono contraddirla, invocando semplicemente il vincolo delle 'condizioni '.

Paurosamente carente sull'uno e l'altro terreno è l'attuale dibattito politico-culturale riguardante i temi del rapporto con quell' 'altro ' che è lo straniero. Si decide intorno a questa figura, si varano provvedimenti normativi che pretendono di essere scolpiti nel marmo, e che invece sono al più scritti sulla sabbia, senza essersi presi la briga di chiarire preliminarmente quale sia il significato dei termini volta a volta impiegati per definire i destinatari di queste norme. Extracomunitari, migranti, immigrati, clandestini, stranieri - neppure nella scelta dei termini da impiegare si può cogliere quel rigore e quella consapevolezza che viceversa dovrebbero essere massimamente perseguiti, nel momento in cui ci si assuma il delicato onere della legiferazione. La mancanza di qualsiasi chiarezza dal punto di vista concettuale, si riflette inevitabilmente nella miseria dell'orizzonte culturale a cui le diverse norme si ispirano. Giungendo al paradosso di misure legislative sempre più dettagliate e restrittive, riferite a una figura definita in maniera sempre meno chiara e sempre meno univoca.

Denominatore comune alle modalità solo apparentemente differenti, con le quali la tematica generale dello straniero viene abitualmente affrontata soprattutto in Europa, è la paura. Rivolta originariamente verso coloro la cui diversità appariva già dal colore della pelle, e successivamente dislocata verso i provenienti da un altro continente, poi verso i transfughi da paesi appena al di là del mare, e infine verso i superstiti di quella immane tragedia storica che è stato il comunismo. 

Paura come sintomo inconfondibile della pregiudiziale indisponibilità a istituire un rapporto, come riflesso di una insicurezza invincibile, come testimonianza dell'incapacità di riconoscere un dato fondamentale, e cioè il fatto che la relazione con l'altro costituisce la condizione, senza la quale non è possibile il riconoscimento e l'affermazione della propria identità. 

Di questa paura occorre prendersi cura - non limitandosi semplicemente a censurarne le manifestazioni, né ancor meno ad alimentarla al solo scopo di trarne profitto in termini politici. Quella paura indica che, per quanto confusamente, si è colto un punto decisivo, nel senso che questo altro che mi si pone di fronte, ove esprima una reale alterità, e non sia solo una proiezione sbiadita della mia identità, mi obbliga a rimettermi in discussione, mi chiama ad un confronto a cui non posso sottrarmi. Se appropriatamente 'curata ', e non strumentalmente utilizzata, quella paura può diventare un elemento essenziale nella costruzione di una relazione di ospitalità, in quanto rende chiara fin dall'inizio la natura intrisecamente ambivalente di quella relazione.

Ciò perché l'hostis - originariamente, insieme ospite e nemico - non è mai portatore di una totale estraneità, né è espressione di una dissomiglianza talmente radicale, da potere essere considerata del tutto indipendente dalla nostra identità. Al contrario, egli è piuttosto il polo di una rapporto, l'altro termine di un binomio dal quale non posso prescindere. Nessuna compiuta identità può essere definita, nel senso preciso di ciò che possiede chiari confini, senza un nesso vitale con ciò che, essendo altro e diverso, concorre in maniera decisiva a stabilire l'identità specifica di ciascuno. Dell' hostis non possiamo fare a meno - non possiamo 'scegliere ' se accoglierlo o respingerlo, non più di quanto possiamo scegliere di essere quello che siamo. Egli è legato alla nostra identità non solo in quanto la fa essere, ma anche la fa - potenzialmente - non essere; non solo in quanto la determina positivamente, ma anche in quanto la minaccia dall'interno.

Se si ignora questo, e tutto ciò che in esso è implicato, dal punto di vista storico- culturale, si resta privi di quella consapevolezza elementare, senza la quale qualunque atto o comportamento risulterà inevitabilmente arbitrario, quali che siano le 'intenzioni ' che ne sono a fondamento. 

Nelle antiche carte geografiche, 'hic sunt leones ' (qui ci sono i leoni) era la denominazione con la quale venivano indicate le terre ignote o poco esplorate dell'Africa e dell'Asia, ancora avvolte dal mistero. Quella scritta, sopravvissuta fino a che l'esplorazione dell'Africa non fu portata a compimento, segnalava che quel territorio, benchè sconosciuto, conteneva una minaccia. Ma l'attrazione per le risorse e i tesori presenti in quelle zone del mondo indusse a non piegarsi alla paura, intraprendendo i viaggi che avrebbero condotto alla conoscenza dell'ignoto, e dunque alla cancellazione dalle carte di quella iscrizione. Si scoprì così che i doni connessi allo svelamento del mistero, ancorchè  indissolubili dalla minaccia, erano talmente preziosi, da risultare irrinunciabili.

2. Come è stato ormai definitivamente dimostrato, nelle lingue indoeuropee il termine che designa lo straniero contiene contemporaneamente in sè l'intero repertorio  delle accezioni semantiche dell'alterità, e cioè  il forestiero, l'estraneo, il nemico - ma anche lo strano, lo spaesante - in una parola tutto ciò che è altro da noi, anche se con noi viene comunque in rapporto. Questa indistinzione di significati risulta con particolare evidenza dai termini che ritroviamo in latino e greco, e che poi ricompaiono, sia pure con variazioni lessicali e semantiche significative,  anche in alcune lingue moderne...

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03 NOVEMBRE 2015

Chi è lo 'straniero '? Perché ci imbarazza e ci interroga? Perché ci spaventa e ci attrae? Possiamo continuare a illuderci che sia davvero 'altro ' rispetto a noi? Di fronte all'affascinante straordinarietà di questa figura, stiamo sprecando l'occasione per apprezzare la duplicità irriducibile di una presenza con la quale ognuno di noi sarà chiamato a confrontarsi?

Per un ulteriore sviluppo dei temi rinviamo a U. CURI, Straniero, Raffaello Cortina Editore, Milano 2010