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Nella sua introduzione, David Bidussa sottolinea come i testi qui raccolti (dimenticati o di ormai difficile reperibilità) consentano di ricostruire una storia delle fasi dell'interpretazione della Resistenza e della discussione pubblica sviluppatasi su di essa, soprattutto della genesi del libro di Pavone, Una guerra civile, che impronta dalla sua uscita, quindi da 25 anni, il dibattito su questi temi. Attraverso il dialogo a distanza (e poi anche diretto, nelle 16 lettere inedite che vengono riprodotte nella seconda parte e che chiariscono il senso di alcuni degli scritti raccolti) possiamo anche osservare, come scrive sempre con acutezza Bidussa, come due studiosi di discipline diverse, 'ciascuno con le tecniche, le capacità disciplinari, le sensibilità proprie, hanno provato a interrogarsi su ciò che ha significato vivere un'esperienza storica e poi ripensare e confrontarsi con essa '.
Bobbio e Pavone convergono su alcuni punti, primo tra tutti la convinzione che la Resistenza sia stata la sovrapposizione di tre guerre (patriottica, di classe, civile), rompendo così precocemente con la sua interpretazione come 'secondo Risorgimento ' e cogliendone gli ampi margini di ambiguità che, nel secondo dopoguerra, faceva sì che tale interpretazione potesse essere, ad es., adottata da un ampio schieramento che andava dai comunisti ai liberali, passando attraverso lo stesso mondo azionista (penso a un Garosci o a un Salvatorelli). Il che implica, sostanzialmente, un cambiamento di paradigma interpretativo, spostando l'attenzione dal 'chi si combatte ' a 'chi ha combattuto ', alle sue idee e alle sue motivazioni, ideali o meno.
Le giornate del luglio 1960 segnarono, da questo punto di vista, una rottura nella stessa memoria della Resistenza. E Bobbio lo colse nel primo testo che viene qui riprodotto, il discorso tenuto nel 1965 in occasione del ventennale della Resistenza in cui, con la chiarezza che gli è sempre stata riconosciuta (e in questo caso con un'insolita, per lui cultore del dubbio, nettezza), pone tutti i temi che abbiamo citato: 1) se le celebrazioni hanno un senso, lo hanno in quanto invito a un esame di coscienza e a una riflessione 2) quale che sia il giudizio che si dà sulla Resistenza, è certo che essa sta alla base dell'Italia contemporanea 3) per dare un giudizio su di essa, bisogna considerare i suoi vari aspetti e la sua complessità. Già in questo discorso del 1965 Bobbio utilizza quindi, in prima approssimazione, una tripartizione: il movimento resistenziale va analizzato come movimento italiano, europeo ed universale. Anche se non usa espressamente il termine 'guerra civile ' (come invece aveva fatto l'anno precedente un altro intellettuale che aveva combattuto la resistenza nelle file azioniste, Luigi Meneghello) scrive di una lotta combattuta contro un nemico esterno e un nemico interno e aggiunge che la Resistenza ha avuto almeno tre significati, di movimento patriottico, antifascista e di emancipazione sociale (non essendo marxista, non usa l'espressione 'lotta di classe '). Riconosce, infine, che è stata combattuta da una minoranza, ma aggiunge, giustamente, che la lotta di questa minoranza non sarebbe stata possibile senza il consenso di più ampi strati della popolazione. Insomma, troviamo già qui tutta una serie di risposte alla storiografia revisionista che si farà viva dieci anni dopo, compreso il senso dei limiti della Resistenza stessa. Scrive Bobbio: 'La Resistenza è stata una riscossa, non una rivoluzione; un risveglio da un cattivo sonno popolato da incubi, non una completa metamorfosi. Ha creato una macchina in gran parte nuova; ma il funzionamento di una macchina dipende dall'abilità e dall'audacia dei manovratori '.
Il richiamo di metodo alla storicizzazione della Resistenza, all'analisi dei suoi vari aspetti e sfumature, è centrale anche in una breve, ma significativa (anche per l'anno in cui fu scritto, il 1968), lettera di Claudio Pavone, indirizzata a 'Resistenza GL ', intitolata I giovani e la Resistenza. Significativa oltre che per il contesto in cui si colloca, anche perché rende conto della successiva evoluzione dell'interpretazione di Pavone, concludendosi con un richiamo di carattere politico che, a quasi 50 anni di distanza, ci sentiamo di far nostro: 'Può essere spiacevole constatarlo, ma anche uomini che hanno partecipato alla Resistenza, anche su posizioni di sinistra, possono oggi comportarsi, e di fatto si comportano, da fascisti, pur continuando volentieri a parlare di 'eredità della Resistenza ', di 'lezione della Resistenza ' ecc. Non c'è provvidenza divina che offra al riguardo garanzie sicure '.
Così, 20 anni dopo, quando il mondo è cambiato, il revisionismo si è fatto strada anche a sinistra e il discorso pubblico si incentra sui temi della violenza e della guerra civile, Bobbio scrisse su 'La Stampa ' un articolo, ancora una volta mirabile per chiarezza, intitolato Le tre guerre, che anticipa le tesi del libro di Pavone, si conclude con una famosa citazione della Casa in collina di Pavese, ma anche, ancora una volta, con una notazione di metodo (e, direi, di buon senso): 'Troppo facile giudicare problemi di equilibrio tra etica e politica, tra le ragioni della coscienza e quelle dell'opportunità, o, se vogliamo dire parole grosse, tra etica della convinzione ed etica della responsabilità, da lontano e dal di fuori. Problemi troppo seri per essere buttati senza tanti riguardi nella battaglia politica quotidiana '.
Ma, forse, il contributo più compiuto di Bobbio è la lunga recensione (riportata in questo libro) che scrisse nel 1992 al libro di Pavone. Bobbio affronta subito il tema di quello che definisce lo 'sconcerto ' provocato dal libro che, come scrive sempre Bobbio 'ha obbedito più alle ragioni del cuore che a quelle della mente, perché tanto chi ha rifiutato il termine quanto chi l'ha accolto lo ha inteso nel suo significato emotivo prevalentemente negativo e nel suo significato tecnico emotivamente neutrale ' e d'altronde, aggiungo, difficilmente poteva essere diversamente. Bobbio tenta quindi, in punta di diritto e di teoria, di riportare la questione sul piano 'tecnico ': che cos'è una guerra civile? Come si svolge? Quali sono i suoi attori? Come mai sono aumentate di numero nel mondo contemporaneo? Soprattutto, perché questo tipo di guerre conoscono spesso un di più di violenza? La risposta di Bobbio (fondata anche sugli esempi tratti dal libro di Pavone) è semplice e terribile al tempo stesso e vale la pena di riportarla: 'Generalmente, una guerra civile è percepita da entrambe le parti come una guerra giusta, e proprio perché ognuno ritiene di combattere per una causa giusta ritiene di avere il diritto di vita e di morte senza limiti nei riguardi del nemico (…). Come ha messo bene in rilievo Carl Schmitt, il rischio maggiore che il partigiano assume rispetto a quello assunto dal soldato dipende dalla sregolatezza della guerra che egli combatte, che fa di lui un combattente irregolare proprio nel senso di non sottoposto né sottoponibile a regole, sia per quel che riguarda la propria azione nei riguardi dei nemici sia rispetto all'azione dei nemici verso di lui '.
Concludo con un'ultima citazione, tratta dalla lettera di Bobbio a Pavone del 12 novembre 2000 che mi sembra renda bene il senso di questo dialogo e il carattere dei due protagonisti e della loro opera. Scrive Bobbio a Pavone:
Di fronte al proprio senso di colpa la revisione serve per attenuare la negatività dell'evento (va di moda, il fascismo non era poi così male), la rimozione serve a dimenticarla, mettendola in un angolo così riposto della nostra coscienza da impedire di continuare a tormentarci. Quanto è difficile per gli storici di oggi evitare l'una e l'altra. Di qua l'incrociarsi, il sovrapporsi e l'opporsi delle interpretazioni, che ostacolano la collocazione della storia nell'albero del sapere
© RIPRODUZIONE RISERVATA 04 NOVEMBRE 2015 |