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I corpi delle numerose e incolpevoli vittime degli attentati di Parigi sono ancora caldi, ma già si scatenano le varie propagande. Una riflessione meno emotiva e più razionale, pur nell'assurdità della situazione, invece s'imporrebbe.
Dopo l'11 settembre 2001 si è avuta un'excalation di imprese militaresche più o meno sgangherate o del tutto sciagurate che hanno portato gradualmente al buco nero dell'attuale caos mediorientale. Non tanto in Afghanistan, paese che in buona sostanza non è mai riuscito a controllare nessuno, quanto più a ovest di esso, fino al dissolvimento dell'Iraq e della Siria, non a caso antiche sedi del primo califfato (di Damasco e di Baghdad) e dove oggi si appalesa il 'monstrum' dell'Isis. La gravità di quanto è accaduto nella capitale francese, unita alle legittime preoccupazioni derivanti dall'attivismo russo nell'area - che molto deve alla lunga inerzia occidentale - fanno supporre un probabile upgrade di interventismo armato euro-americano. Possibili soluzioni politiche, finora poco effettivamente ricercate, sbiadiscono ancor di più all'orizzonte. Un simile e reiterato dilettantismo risponde forse a esigenze elettorali di varie parti in causa, ma una vera gestione della crisi che possa riportare stabilità in paesi a noi tanto vicini e per noi così importanti, non può certo avvalersi di mere esibizioni muscolari. Tanto più che queste ultime non avrebbero altro esito, nell'immediato, che l'aumento di distruzioni e l'annientamento di innumerevoli vite innocenti. Ci rendiamo conto che la contabilità dei morti ha ben diverso peso quando il colore delle loro pelle (o la lingua che parlano e la religione che professano) sono un po' esotiche, ma nel mondo globalizzato simili ragionamenti ormai non funzionano più, non tanto per sempiterne ragioni morali, ma almeno per calcoli di convenienza che non dovrebbero essere oscuri più a nessuno.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 16 NOVEMBRE 2015 |