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Quando leggo François Jullien mi trovo frequentemente in convergenza col suo pensiero, riconoscendo comunque in lui l’invidiabile vantaggio di poter basare le proprie riflessioni su duemilacinquecento anni di pensiero cinese, nella sua fondamentale diversità dal nostro. L’assunto (wittgensteiniano) di base delle osservazioni di Jullien è che ciò che ci è troppo vicino, ciò che è alle basi stesse del nostro pensiero, ci sia per questo stesso motivo invisibile; ma che la sostanziale diversità del pensiero cinese (al di là del suo maggiore o minore valore rispetto al nostro, che non è in questione) ci può servire proprio come punto di vista esterno, dal quale vedere il nostro modo di pensare con maggiore chiarezza (e anche viceversa, ovviamente – però questo ci interessa di meno). Si tratta di un’operazione non così dissimile da quella che compiva a suo tempo Michel Foucault, cercando il proprio punto di appoggio in quell’altrove che sono le altre epoche storiche, ciascuna con il proprio episteme. Ma, proprio in questi termini, il punto di appoggio di Jullien si rivela più efficace di quello di Foucault, perché ci permette di cogliere la relatività culturale di nozioni che condividiamo con Platone e/o con Aristotele, al di là della (comunque presente) variazione storica che esse hanno subito.
Si tratta di un numero non piccolo di nozioni cruciali, e altrimenti difficilmente pensabili, perlomeno in termini filosofici, poiché rappresentano spesso proprio ciò che in Occidente è rimasto impensato da parte della ragione, a vantaggio delle nozioni che sono state poi effettivamente sviluppate. Queste nozioni di origine o ispirazione cinese si trovano argomentate nei numerosi libri che Jullien ha pubblicato negli ultimi vent’anni, ma anche molto utilmente raccolte nel suo ultimo: De l’Être au Vivre. Lexique euro-chinoise de la pensée (Gallimard 2015). Proprio perché si tratta di una sorta di lessico (filosofico), il libro è organizzato per coppie oppositive, dove a un termine sviluppato dal pensiero cinese si oppone quello che ha avuto successo in Occidente: propensione (vs causalità), potenziale di situazione (vs iniziativa del soggetto), disponibilità (vs libertà), affidabilità (vs sincerità) ecc.
Non è mia intenzione qui fare un rendiconto dei contenuti del volume, cosa che sarebbe davvero difficile, visto che si tratta a sua volta di una sorta di compendio di vent’anni di riflessioni in trenta altri volumi. Mi limiterò a concentrarmi su tre coppie oppositive, e sulle conseguenze che la loro presa in carico da parte del pensiero occidentale può avere sulla riflessione sul testo poetico e sulla critica che lo riguarda: influenza (vs persuasione), coerenza (vs senso), connivenza (vs conoscenza).
La struttura della lingua cinese non permette l’oggettivazione dell’essere. Il pensiero tradizionale cinese è quindi estraneo ai concetti di ente e di essenza che sono stati, da Aristotele in poi, alla base del pensiero filosofico e teologico occidentale (per una comparazione/contrapposizione tra Aristotele e il Tao vedi Si parler va sans dire. Du logos et d’autres ressources, Gallimard 2009, it. Parlare senza parole. Logos e Tao, Laterza 2008); ma è anche estraneo all’eidos platonico, insieme idea e visione, fondamento di una divisione tra immanenza e trascendenza, ma anche di una concezione razionale (ideale) della conoscenza (su questo vedi in particolare L’invention de l’idéal et le destin de l’Europe, Seuil 2009, it. L’invenzione dell’ideale e il destino dell’Europa, Medusa 2011). Il pensiero cinese è piuttosto un pensiero del processo e del mutamento, nei termini del quale i massimi sistemi non sono nemmeno concepibili, così come difficilmente concepibile risulta qualsiasi dimensione trascendente (compresa l’idea stessa di Dio). Questa antisistematicità di base, questa radicale aderenza al processo fa sì che il pensiero cinese possa apparirci inconcludente e incapace di arrivare al fondo delle cose; ma è proprio questo il punto sollevato da Jullien: l’idea che le cose abbiano un fondo, un fondamento, o possano essere sottoposte a una visione d’insieme è proprio ciò che caratterizza alla base il nostro pensiero, di cui possiamo scorgere sia la relatività storico-culturale sia, d’altro canto, il valore, proprio attraverso il confronto con una tradizione di pensiero estremamente raffinata, ma del tutto differente.
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