|
|
Per mettere a fuoco la connessione fra democrazia e spazio delle alternative, cominciamo considerando alcuni tratti distintivi che caratterizzano le teorie della democrazia o le idee di democrazia come regime politico nei loro sviluppi, a partire dal secolo scorso. A me sembra che lo scopo principale del fare teoria della democrazia, per lunga parte del Novecento, sia consistito nella ricerca e nella individuazione degli elementi essenziali che consentono di distinguere fra un regime politico democratico e un regime politico non democratico. Su questo sfondo, il problema centrale è un problema di criteri per la demarcazione.
I diversi modelli di democrazia, da quello rappresentativo di Hans Kelsen a quello competitivo di Joseph A. Schumpeter, da quello poliarchico di Robert Dahl a quelli procedurali di Norberto Bobbio e Giovanni Sartori, mirano a rendere conto di un criterio di demarcazione fra forme di governo democratico e forme di governo autocratico o totalitario. E' così che la questione ottocentesca dell'opposizione fra democrazia e dispotismo alla Tocqueville, un classico cui mi riferirò più avanti, viene riformulata dai teorici della democrazia in una essenziale varietà di modi, che divergono quanto agli aspetti ritenuti rilevanti o al peso da assegnare a differenti tessere del mosaico democratico, ma condividono lo scopo essenziale del criterio o dei criteri di demarcazione.
Ora, sia che l'accento venga posto sul ruolo cruciale della rappresentanza pluralistica, sia che si sposti sulla competizione fra promesse di politiche miranti all'acquisizione di consenso, sia che investa il ruolo decisivo delle regole e delle procedure, sia che tocchi la dispersione pluralistica delle risorse di potere, in ogni caso un tratto distintivo del regime democratico è costituito dalla persistenza del disaccordo e dalla mutua compatibilità di interpretazioni alternative dell'interesse pubblico o dell'interesse di lungo termine della comunità politica. E' opportuno sottolineare il carattere persistente e strutturale, e non già congiunturale e contingente, delle visioni alternative e divergenti dell'interesse collettivo, perché sono convinto che questo tratto distintivo della forma di vita democratica abbia almeno due implicazioni importanti.
La prima riguarda la natura della libertà democratica par excellence. La seconda chiama in causa un'altra tessera del mosaico democratico e concerne lo spazio pubblico come spazio sociale, e non istituzionale, in cui di nuovo ci troviamo di fronte all'insorgenza o alla persistenza di alternative. Come cercherò di mostrare, la democrazia si avvale nel tempo della connessione, dell'interazione e dell'equilibrio instabile fra lo spazio delle alternative politiche e quello delle alternative sociali. La qualità stessa della rappresentanza politica delle sue istituzioni è coerente con la connessione fra i due spazi di alternative. Due spazi distinti, ma non indipendenti.
La natura della libertà democratica
Per gettar luce sulla natura della libertà democratica, può essere utile una breve digressione per mostrare come si possa essere indotti, nella teoria democratica, a introdurre i temi dell'identità collettiva e della varietà di cerchie di riconoscimento. Cominciamo allora mettendo in luce un fatto che a prima vista può sembrare singolare, cui ho fatto riferimento nel mio breve saggio, Un'idea di laicità. Il linguaggio della teoria democratica ha costantemente oscillato, nel ventesimo secolo, fra prestiti dal linguaggio dell'economia e prestiti dal linguaggio della religione. Per esempio, la teoria economica della democrazia ha incentrato la sua prospettiva sulla dimensione della scelta razionale del produttore di offerte politiche e del consumatore di politiche. E se ci dovessimo chiedere quale interpretazione della libertà democratica sia favorita in questa prospettiva, sarebbe facile rispondere che essa è costituita dalla tesi sulla sovranità del consumatore individuale di politiche, sulla sua libertà di scelta fra le offerte alternative che gli imprenditori politici presentano al demos, in competizione fra loro, almeno in parte nel senso della teoria competitiva.
La forza di questo approccio consiste nella pretesa di far lavorare congiuntamente le grammatiche della descrizione e della prescrizione. E a ciò serve l'impiego della nozione di razionalità, al centro dell'approccio in termini di rational choice. Tuttavia, come hanno mostrato persuasivamente i critici di questo approccio, il resoconto in termini di interessi e scelta razionale non funziona. Esso è esposto ad una così vasta gamma di anomalie, di fatti non spiegati, di paradossi della razionalità che una sua difesa può, al massimo, farsi scudo con il riconoscimento della sua grave incompletezza. La teoria della scelta razionale, applicata alla realtà dei regimi politici democratici, oscilla fra il destino di spiegare praticamente tutto e quello di spiegare troppo poco.
Per questo, la mia congettura suggerisce di prendere l'altra strada e ricorrere ai prestiti dal linguaggio della religione. Quest'ultimo ci parla di identità, e non già di interessi. Così facendo, esso ci induce almeno a prendere sul serio una cosa importante: la priorità della definizione dell'identità sulla definizione degli interessi o valori. Nessuno di noi ha interessi o valori e, soprattutto, può definirli nel vuoto pneumatico. E nessuno di noi potrebbe neppure valutare i propri interessi indipendentemente dal giudizio di altri, entro una qualche cerchia di socialità. Adottando, con lieve infedeltà, la terminologia del grande sociologo Georg Simmel, chiamiamo questa cerchia, una cerchia di riconoscimento.
Possiamo dire allora che la logica dell'identità presuppone che le persone realizzino il progetto di sé, condividendo con altre persone il bene della cerchia di riconoscimento che le identifica collettivamente. Pensiamo al caso in cui il bene della cerchia identificante sia quello della salvezza o del nome di Dio. Diremo allora che l'identità del credente nella salvezza è prioritaria rispetto alla definizione dei suoi interessi. (E si consideri, in proposito, l'esperienza della conversione o della metanoia, Saulo di Tarso che sulla via di Damasco rinasce a nuova identità come Paolo.)
La logica dell'identità, prosegue la congettura, ci induce a considerare la natura distintiva della libertà democratica, come coincidente con la libertà per le persone di identificarsi e reidentificarsi collettivamente in cerchie di riconoscimento distinte e alternative fra loro nel tempo. Se guardiamo alla storia alle nostre spalle, riconosciamo che per un lungo tratto, alle origini dei sistemi pluralistici di rappresentanza delle democrazie, la logica della devozione politica presupponeva la libertà per i cittadini e le cittadine di identificarsi collettivamente in cerchie di valore politico fra loro alternative e confliggenti. Che cos'è una cerchia di valore politico? Essa non è altro che una comunità che assegna una certa interpretazione agli interessi collettivi di lungo termine della società. Una certa interpretazione dell'interesse pubblico di lungo termine, come ho detto.
La mia congettura può concludersi quindi così, al termine della breve digressione. La libertà democratica per eccellenza è la libertà delle persone di costituire e ricostituire cerchie di mutuo riconoscimento, religioso, politico, sociale, culturale, etico, selezionando fra un insieme di identità sociali possibili, vecchie e nuove a un tempo dato.
Potremmo reinterpretare il fortunato slogan di Karl Popper a proposito della società aperta, sostenendo che una forma di vita democratica realizza essenzialmente una società aperta, in quanto massimizza le opportunità di costituzione e ricostituzione di identità e cerchie di riconoscimento sociale nel tempo. Così, riferendoci alle nostre distinte grammatiche della libertà, potremmo anche dire che se l'interpretazione della libertà liberale pone l'accento sulla certezza costituzionale di un'area di indipendenza delle persone protetta da diritti fondamentali, sulla sua immunizzazione e indisponibilità rispetto ai contingenti esiti di maggioranza o degli esercizi di aggregazione degli interessi, l'interpretazione della libertà democratica mette a fuoco la natura dell'incertezza e del mutamento delle aspettative, dei bisogni, delle mutevoli identità collettive in gioco entro il paesaggio di società, sottoposte a incessanti trasformazioni.
La natura dello spazio pubblico
E' propriamente la pluralità delle identificazioni, delle cerchie di riconoscimento e di valore politico, che è alla base della natura della libertà democratica, a generare quell'ingrediente essenziale della forma di vita democratica che è il suo spazio pubblico. Lo spazio pubblico è il luogo in cui idee, credenze e convinzioni differenti e a volte inconciliabili si confrontano fra loro, mirando a ottenere adesione e consenso. Esso è il luogo paradigmatico del parteggiare e del convertire e dell'associare. E presuppone il fatto del pluralismo e del disaccordo, che ho definito quali caratteristiche essenziali per un regime e un processo politico democratico. La libertà liberale dell'avere determinate credenze si converte nella libertà democratica, quando introduciamo l'interesse alla conversione, alla corroborazione o alla revisione delle credenze di altre persone. Nella prospettiva di una teoria democratica dovremmo naturalmente introdurre anche una clausola relativa alla simmetria e ai costi di accesso allo spazio pubblico, ma per ora vorrei lasciare questa clausola pur decisiva sullo sfondo.
Alessandro Pizzorno ha avanzato una illuminante proposta di indagine sulle trasformazioni dei regimi democratici e ha suggerito di guardare allo spazio pubblico come al 'luogo dell'operare di uno Stato alternativo '. Nel senso che lo spazio pubblico in un regime democratico include funzioni alternative a quelle dello Stato e delle istituzioni. Ciò che si manifesta nello spazio pubblico sono le potenzialità alternative della società. In esso viene in luce ciò che in una società si rivela come ancora irriducibile, o difficilmente riducibile, all'ordine costituito. Lo spazio pubblico diventa allora qualcosa come il laboratorio della non conformità a norme date e della varietà delle identità sociali. Gli attori che comunicano e muovono all'azione in questo spazio pubblico possono riferirsi alle realtà più varie: la terra e il suo destino ecologico; gli oppressi qua e là per il mondo; le lingue minacciate di sparizione; le specie animali e le risorse naturali in via di estinzione; le scelte di vita minoritarie e alternative; le preferenze sessuali di minoranza; i modi del comunicare e del costruire comunità virtuali; la conversione di altri a un diverso modo di intendere il senso della vita, un diverso modo religioso o etico o culturale; sogni e speranze di frazioni di popolazione esclusa che conosce vite di 'scarto '; pretese che mirano a essere riconosciute come diritti e diritti già riconosciuti, di cui si denuncia lo scippo; comunità immaginarie di una qualche utopia di vita buona e di fioritura umana. Lo spazio pubblico, potremmo dire, è il cantiere sempre in corso della diversità, delle alternative, degli esperimenti di vita e delle differenti mobilitazioni cognitive.
Si può allora avanzare l'idea che lo spazio pubblico sia il luogo dove emergono e portano alla luce le loro disparità le forze potenziali di una società. Lo spazio pubblico, cui è strettamente connessa la mia idea di libertà democratica, si conferma come il luogo in cui l'emergere di disfunzioni, bisogni, aspettative e contraddizioni viene accertato, constatato, definito, diffuso e discusso, in modo che a volte la consapevolezza delle insufficienze e dei deficit ad assicurare la società bene ordinata possa essere tradotta in azione collettiva, temporanea o durevole, in tensione con lo spazio delle istituzioni politiche.
Quindi, possiamo dire, il luogo sociale, e non istituzionale, del pluralismo entro una forma di vita democratica è costituito dal suo spazio pubblico. Uno spazio, sottoposto nel tempo a metamorfosi e cambiamenti, entro il quale si apprende non senza intoppi, conflitti, difficoltà e fatica a convivere nella diversità. E si generano domande o pretese o aspettative che aprono, se le cose hanno successo, un varco per prospettive, esperimenti di vita e possibilità alternative. Come ho detto, si tratta di una diversità intesa come carattere persistente, e non congiunturale della forma di vita democratica. Ma ora vorrei aggiungere: si tratta anche di una caratteristica che è il promemoria della congruenza fra forma di vita democratica e incompletezza, nel senso della rispondenza dei regimi e dei processi democratici al mutamento e all'innovazione o alla metamorfosi del paesaggio sociale.
E' nello spazio pubblico così inteso che si genera una varietà di versioni condivise entro alcune cerchie di riconoscimento, e non in altre fra loro differenti, dei fini di lungo termine della convivenza. E' nello spazio pubblico che ci mettiamo alla prova con il fatto del pluralismo e della varietà di dottrine comprensive, per usare il gergo delle lezioni di Political Liberalism di John Rawls. Del resto, le dottrine comprensive sono strettamente connesse alla (e dipendenti dalla) interpretazione della natura della libertà democratica. E alla politica, nelle circostanze ordinarie, sarà ascritto il ruolo di rispondere con i suoi mezzi e i suoi provvedimenti al mutamento sociale, che è esemplificato dalle trasformazioni delle aspettative e delle identità collettive vecchie e nuove che rispondono, a loro volta, alla metamorfosi di interessi, ideali, bisogni e pretese confliggenti.
Ora, se il terminus a quo di una democrazia politica non è negoziabile e deve essere preservato nel tempo, è naturale chiedersi se trasformazioni e mutamenti - economici, culturali, tecnologici, religiosi, sociali - non possano finire per distorcere e deformare i tratti distintivi di una forma di vita democratica, quei tratti su cui ha lavorato a lungo la teoria politica alla ricerca di criteri di demarcazione. Sappiamo che non c'è valore che non sia esposto al rischio della sua perdita e dissipazione. Tuttavia, possiamo rispondere così alla domanda naturale: salvo che nei casi di perdita e regressione, che implicano l'alterazione dei vincoli propri del terminus a quo, regimi democratici mutati nel tempo dovranno soddisfare almeno la clausola della loro reidentificabilità sulla base di alcuni punti fissi e della loro preservazione nella durata. Tra i punti fissi, che devono essere preservati nel mutamento, possiamo indicare prioritariamente tanto l'esercizio della libertà democratica quanto lo spazio pubblico della controversia e della diversità. Lo spazio delle alternative come luogo dei possibili transiti fra politica e società democratica. Alternative politiche e sociali, in tensione, in interazione, in equilibrio instabile fra loro.
Le virtù della distinzione e della condivisione
Il cenno alle lezioni di Political Liberalism di Rawls mi induce a sottolineare un punto importante che ha a che vedere con i confini dello spazio delle alternative politiche e sociali. I confini del processo democratico di deliberazione e di competizione fra interpretazioni divergenti dell'interesse pubblico sono naturalmente presidiati dalla cornice costituzionale. Rawls ha proposto, in una prospettiva filosofica, l'idea di overlapping consensus per rendere conto della condivisione e della convergenza sui costituzionali essenziali, senza la quale il processo e la controversia democratica generano effetti perversi. Se prendiamo sul serio il fatto del pluralismo, generato dall'esercizio della libertà democratica, siamo indotti a pensare a una varietà di ragioni differenti che sostengono o possono sostenere l'adesione convergente ai costituzionali essenziali.
Interpretazioni alternative e divergenti dell'interesse pubblico sono e restano l'esito della virtù democratica della distinzione se e solo se poggiano sulla condivisione e sull'adesione convergente ai principi della Costituzione. Così, virtù della distinzione e virtù della condivisione costituzionale vanno in tandem. E si perimetrano i limiti dello spazio istituzionale e dello spazio sociale delle alternative e del persistente disaccordo. Si osservi, infine, che l'incertezza del processo democratico è virtuosa se e solo se esso si svolge entro i confini e i limiti della certezza costituzionale. Il che rende conto dell'onerosità di qualsiasi riforma costituzionale. Come dire: questa è la democrazia costituzionale, bellezza!
La qualità della democrazia e la crisi nella democrazia
Negli ultimi decenni l'interesse di chi fa teoria della democrazia si è concentrato, per un verso, sui processi e le circostanze di insorgenza di regimi democratici sulle ceneri di ancien régime autocratici e, per altro verso, sui criteri di valutazione della variabile qualità delle democrazie consolidate. Nell'epoca della solitudine normativa della democrazia, sullo sfondo dei processi di trasformazione dell'equilibrio geopolitico della Guerra fredda e dell'avvio dei processi di globalizzazione, ai tempi delle incerte transizioni fra costellazione nazionale e costellazione postnazionale, come ci ha suggerito Juergen Habermas, questa duplice direzione d'indagine nella teoria politica è dopo tutto naturale.
Ora, le ricerche sugli indicatori plurali di qualità di una democrazia, come quelle intraprese da tempo da Leonardo Morlino, si sono intrecciate con un'ampia gamma di interpretazioni delle recenti trasformazioni delle democrazie che hanno spesso indotto a individuare, in vari modi, esperienze di crisi e dissipazione dei fondamentali della forma di vita democratica. Come è del resto accaduto nella sua recente storia, si sono così generati discorsi a proposito della crisi della democrazia. E sono state, in alcuni casi, prospettate alternative considerate come soluzioni della crisi. Si pensi alle prospettive epistemiche o tecnocratiche del 'platonismo democratico ', alle prospettive populiste incentrate sulla costruzione di una comunità omogenea che si identifica con i leader, alle prospettive plebiscitarie che in tempi mutati trasformano i cittadini in spettatori e recettori passivi del discorso politico dei leader della democrazia del pubblico di Bernard Manin. In altri casi, l'analisi stessa delle soluzioni proposte per la crisi ne ha mostrato il carattere di problema piuttosto che di soluzione, come ha sostenuto Nadia Urbinati nel suo Democrazia sfigurata. Indagini più radicali hanno indotto a descrivere regimi ormai postdemocratici nel senso di Colin Crouch, o a mettere a fuoco la tensione esiziale fra paesaggio sociale e procedure democratiche, come ha sostenuto Pierre Rosanvallon nel suo ultimo libro, La société des egaux. Altre ricerche hanno ascritto la crisi della democrazia al vistoso venir meno dell'eguaglianza politica, uno dei pilastri e dei tratti distintivi della teoria della democrazia.
Ora, noi possiamo certamente parlare di crisi della democrazia quando i suoi tratti distintivi, i suoi invarianti sono sottoposti a pressione sino a far collassare i criteri di identificazione, e reidentificazione nel tempo, di un regime come regime democratico. Ma, prendendo sul serio l'incompletezza essenziale della democrazia e la sua capacità adattativa al mutamento sociale, la sua resilienza nel tempo, sono convinto sia più plausibile parlare di deficit e di crisi nella o entro la democrazia. Di ciò, del resto, abbiamo discusso alla Casa della Cultura il 3 marzo, in un interessante confronto con Gianfranco Pasquino. E mi propongo, in conclusione, di abbozzare una congettura su alcune delle circostanze che generano dilemmi e crisi nella democrazia, entro la nostra forma di vita democratica. La congettura si avvale, ancora una volta, della connessione fra democrazia e duplice spazio delle alternative. Non senza evocare, come avevo accennato, il classico Tocqueville.
Il teorema Tocqueville
Osservatore e partecipante di un'età di transizioni fra ancien régime e modernità politica, Alexis de Tocqueville adotta una logica di sistema nella sua celebre Democrazia in America e mette a fuoco la connessione fra l'état social e le istituzioni fondamentali della recente democrazia americana. L'assetto sociale, com'è noto, è caratterizzato dalla egalité des conditions di cittadinanza. Si osservi che l'eguaglianza delle condizioni è un'eguaglianza 'immaginaria ' e coincide con la credenza diffusa nell'eguaglianza di status, in contrasto con il paesaggio sociale delle gerarchie ascrittive d'ancien régime. Essa ha quindi a che vedere con i modi sociali del mutuo riconoscimento fra persone, riguarda le basi sociali del rispetto democratico, in contrasto con la deferenza d'ancien régime. E l'eguale rispetto, proprio dell'assetto sociale democratico, rimpiazza i legami durevoli nel tempo del maitre e del serviteur delle società cetuali in virtù di una mutualità di riconoscimenti che inducono all'esercizio della libera arte di associarsi. E' facile vedere che affiorano, nella magistrale analisi di Tocqueville, i temi della libertà democratica e dello spazio pubblico, cui ho fatto riferimento a proposito della connessione fra la democrazia e il duplice spazio, politico e sociale, delle alternative. Quanto mi interessa sottolineare è la logica di sistema con cui Tocqueville mette a fuoco assetto sociale e istituzioni e procedure per rendere conto della democrazia come complesso artefatto politico, incentrato sulla connessione e l'interazione fra fatti sociali e norme (un insieme di questioni indagate con finezza da Giulia Oskian nel suo bel saggio, Tocqueville e le basi giuridiche della democrazia). Perché la mia congettura sulla crisi nella democrazia, o su alcuni suoi aspetti, è incentrata sulla sconnessione fra spazio sociale e spazio politico. Sulla dissipazione dei transiti fra spazio sociale e spazio politico, sulla lacerazione del legame sociale e, quindi, sullo scollamento fra cerchie sociali e cerchie della rappresentanza e della deliberazione politica. I luoghi della dissipazione, della lacerazione e dello scollamento sono quelli in cui si generano i fenomeni di revoca di fiducia, apatia e cinismo nella polis. In parole povere, uno degli aspetti essenziali della crisi nella democrazia è quello connesso alla nuova questione sociale. O, meglio, ai suoi effetti sulla crisi nella democrazia.
Ho esaminato nei miei ultimi scritti i differenti effetti che la crisi sistemica e persistente, in cui siamo intrappolati, ha generato e genera in differenti ambiti della nostra convivenza democratica. Ne ho discusso più volte nelle lezioni della Scuola di cultura politica della Casa della Cultura e nel mio pamphlet, 'Non c'è alternativa. ' Falso! Qui mi basta sottolineare, sul piano dell'état social di Tocqueville, l'indebolimento quando non la rottura del legame sociale, la distruzione del sociale messa a fuoco da Alain Touraine, sotto la pressione di crescenti ineguaglianze, il blocco della mobilità sociale, la frammentazione della società stessa in ghetti o caste o ceti, che evocano lo spettro delle gerarchie di un ancien régime postmoderno. Il venir meno dell'egalité des conditions e, ironicamente, della stessa 'comunità illusoria ', con cui Marx identificava nello scritto giovanile, Sulla questione ebraica, la società democratica fra l'eguaglianza del citoyen nel cielo dei diritti e la diseguaglianza dei vantaggi e degli svantaggi sulla terra del bourgeois. Si erode così la credenza condivisa secondo cui siamo tutti nella stessa barca, quale che siano il nostro ruolo e la nostra posizione a bordo. E non trovo espressione più efficace in proposito, di quella evocata dalla storiella dei due contadini che emigrano sul bastimento che affonda di Piero Calamandrei nella sua straordinaria lezione sulla Costituzione del 26 gennaio 1955 alla Società Umanitaria di Milano. 'Uno di questi contadini dormiva nella stiva e l'altro stava sul ponte e si accorgeva che c'era una gran burrasca con delle onde altissime e il piroscafo oscillava. E allora questo contadino impaurito domanda a un marinaio: 'Ma siamo in pericolo?' e questo dice: 'Se continua questo mare, il bastimento fra mezz'ora affonda'. Allora lui corre nella stiva a svegliare il compagno e dice: 'Beppe, Beppe, Beppe, se continua questo mare, fra mezz'ora il bastimento affonda!' Quello dice: 'Che me ne importa, non è mica mio!' '
La storiella di Calamandrei ci dice cose importanti a proposito dello spazio delle alternative sociali. Ci parla della sua sconnessione o del suo disallineamento con lo spazio delle alternative politiche della rappresentanza e della deliberazione. D'altra parte un resoconto meno incompleto di aspetti della crisi nella democrazia dovrebbe indagare sulla contrazione delle alternative e sui vincoli esterni alle alternative nello spazio politico delle democrazie, nella costellazione nazionale delle nostre parti europee. E sul disallineamento fra livelli di governo e accountability democratica. In entrambi i casi, quello della sconnessione fra spazio sociale e spazio politico delle alternative e quello del disallineamento fra democrazie nazionali e Unione europea, casi distinti ma non indipendenti, vale la massima secondo cui la crisi entro la democrazia chiede più democrazia, sia al livello della costellazione nazionale sia al livello della costellazione postnazionale. Come si dice, democrazia e Unione Europea simul stabunt simul cadent. E il miglior test, in questo caso, sarà la risposta del Gino della storiella di Piero Calamandrei al suo amico, nella navigazione difficile, in tempi molto difficili, della barca Europa.
Una barca che assomiglia alla leggendaria barca di Otto Neurath, il grande filosofo del Circolo di Vienna: una barca che i marinai devono riparare costantemente in navigazione, senza poter contare sul rifugio in cantieri ospitali.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 31 MARZO 2015 |