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L'interesse a discutere del libro di Stefano Moroni, Libertà e innovazione nella città sostenibile (Carocci editore 2015), deriva dall'ampiezza del suo ragionamento e dal merito di aver considerato i molteplici fattori che concorrono a costruire le nostre città. Un tema su cui c'è urgente bisogno di tornare a riflettere se vogliamo guardare al futuro delle città oggi in grave difficoltà. Dalla metà dello scorso dicembre quelle della Pianura Padana e alcune delle più grandi città d'Italia - come Roma o Napoli - sono state bloccate dal devastante livello di inquinamento raggiunto. Conseguenza certo di una prolungata e anomala assenza di piogge, è tuttavia la causa strutturale che deve farci interrogare sul fallimento del modello di crescita delle città italiane, evidentemente incapaci di stare al passo con quelle europee che negli ultimi decenni hanno continuato a investire in sistemi di trasporto pubblico innovativo e non inquinante. L'Italia ha invece il triste primato del numero del parco automobili private: un indicatore evidente di arretratezza e insostenibilità che è anche un attentato alla salute dei cittadini.
Il libro di Moroni nelle Considerazioni finali indica dieci punti su cui far leva per recuperare la vivibilità delle città. Più in generale, l'autore pone lodevolmente un tema che considero fondamentale: ricostruire la bellezza perduta della città. È un obiettivo fondamentale non solo perché abbiamo il triste record delle periferie più brutte d'Europa, ma anche perché in alcuni recenti interventi di sostituzione urbana - come porta Garibaldi a Milano - la bruttezza della speculazione fondiaria ha trionfato innegabilmente. Parlare di bellezza impone di ragionare sulle caratteristiche della fase economica che stiamo vivendo. È noto che le città sono figlie dell'economia ed è stata sempre la classe dominante a plasmarle, e Moroni lo sottolinea quando parla del preciso rapporto tra il piano Beruto e la classe dirigente che attua quel piano rispettandone le regole. Il problema vero è che oggi non c'è più alcuno spazio per la pianificazione ed è la deroga ad imporre la sua casualità e dunque la sua bruttezza e il disordine.
Conviene, per esemplificare, partire da una constatazione oggettiva: che cosa impedisce al signor Ikea (al secolo Ingvar Kamprad), uno degli uomini più ricchi e influenti del mondo - invece di realizzare degli indecenti scatoloni di cemento uguali in ogni parte del mondo che, cosa ancor più grave, costringono migliaia di giovani lavoratori a vivere dieci ore al giorno senza avere mai il piacere di traguardare una finestra quando, per esempio, Adriano Olivetti impose ai suoi architetti di realizzare una grande vetrata nella nuova fabbrica di Bagnoli per permettere alle maestranze di guardare il mare - di cimentarsi con la sfida della bellezza? Insomma perché mai non si investe nella bellezza pur avendo i margini di ricchezza per poterlo fare?
Sono convinto che se non ragioniamo sui caratteri dominanti dell'economia neoliberista trionfante, e cioè sul dominio del segmento finanziario che deve reinvestire ogni guadagno nella giostra speculativa internazionale e non ha più alcun legame con i luoghi in cui quella ricchezza si produce, non riusciamo a guardare il futuro. L'autore invece non ne sembra convinto quando, per esempio, afferma che sia necessario farlo 'evitando però di scagliarsi contro fantocci astratti - senza alcun riscontro uniforme nelle pratiche - del cosiddetto 'neo-liberismo' (pag. 152). Esiste in materia, come noto, una bibliografia sterminata, almeno come quella - giustamente lodata da Marco Romano in un altro commento sul libro pubblicato in questa stessa rubrica - che compare nel volume di Moroni che ha ormai chiarito natura e caratteristiche del neoliberismo. Cito, tralasciando la scuola economica liberal degli Stati Uniti, soltanto il grande Luciano Gallino che è riuscito mirabilmente a chiarire i caratteri sconvolgenti dell'economia dominante.
Se non si parte da questa analisi dei caratteri dell'economia dominante rischiamo di confondere i piani del ragionamento continuando a mettere (ancora!) sul banco degli accusati la pianificazione urbanistica che ha tanti ritardi e tanti difetti ma che con il crollo della qualità urbana non c'entra proprio nulla. La crisi delle città non risiede tanto nell'eccesso di regole ma nella cancellazione di ogni regola di trasformazione: oggi la pianificazione è scomparsa, sostituita dalla cultura delle deroghe e dei diritti edificatori. In tal senso, il denso ragionamento di Moroni sui limiti attrattivi del sistema Italia verso gli investitori internazionali andrebbe focalizzato meglio sul porto delle nebbie che impera in tutte le città e non consente all'imprenditoria straniera di intervenire nei processi di costruzione delle città. L'unico spazio che rimane è l'acquisto da parte di fondi sovrani o grandi patrimoni di interi immobili a conclusione del percorso ma è assolutamente impossibile affacciarsi nella fase ideativa precedente: è la discrezionalità e non l'eccesso di regole che sta uccidendo le città. Come è noto, i 'piani casa' consentono di trasformare in abitazioni i capannoni che sono nati in ogni dove d'Italia. Le famiglie più modeste, quelle che avrebbero ancor più bisogno delle altre della città intesa come luogo solidale, sono condannate ad abitare in luoghi periurbani, isolati e spesso a diretto contatto con grandi infrastrutture stradali. Ripeto, la pianificazione ha molti difetti ma è la deregulation che ha cancellato la bellezza e sta distruggendo le città.
È evidente che questo richiamo alle regole deve tener necessariamente conto di errori e sovrabbondanza di inutili norme che pure hanno caratterizzato l'azione di molte amministrazioni pubbliche - in tal senso condivido appieno il richiamo dell'autore a ragionare se sia ancora necessaria l'azione delle Regioni che abbiamo fin qui conosciuto - ma la questione urgente è la ricostruzione di un sistema di regole che renda possibile il controllo delle trasformazioni delle nostre città. E qui si innesta un altro segmento di ragionamento sul rischio della vera e propria scomparsa della città pubblica. Gli attacchi di questi anni non hanno portato soltanto al taglio della spesa pubblica per le città - quando è noto che le città diventano belle e vivibili solo con ingenti investimenti pubblici - ma hanno anche provato a colpire il pilastro culturale che ha consentito di costruire la rete dei servizi pubblici. Maurizio Lupi, per esempio, - prima come parlamentare e poi nel ruolo di ministro - ha più volte tentato di far approvare una legge irresponsabile che avrebbe cancellato il decreto ministeriale sugli standard urbanistici. Ripeto, sul banco degli accusati dobbiamo mettere la follia neoliberista che vuole cancellare la stessa nozione di città.
Un ultimo punto importante di discussione. Sono convinto con l'autore che l'economia liberale abbia molti meriti. Sono ad esempio un grande estimatore di Luigi Luzzatti, economista, banchiere e ministro, che nel 1903 presentò e fece approvare la legge istitutiva degli istituti per le case popolari. Liberale della corrente conservatrice, scrisse in accompagnamento della legge parole di fuoco contro la speculazione fondiaria ed edilizia perché il pensiero liberale sapeva distinguere tra attività produttive e speculazione. L'involuzione del pensiero liberale del primo dopoguerra, invece, portò come noto quel partito a presentare e far approvare l'emendamento che prorogò di un anno l'entrata in vigore della cosiddetta 'legge ponte' con gravi conseguenze sul territorio e il paesaggio italiani. Occorre dunque distinguere e solo discutendo a partire da contributi come quello di Moroni potremo contribuire a ricostruire il futuro delle nostre città.
Paolo Berdini
Paolo Berdini (Roma, 1948), urbanista ed editorialista de 'il manifesto', è stato segretario generale dell'Istituto Nazionale di Urbanistica. Tra le sue opere recenti: La città in vendita. Centri storici e mercato senza regole (Donzelli, 2008), Breve storia dell'abuso edilizio (Donzelli, 2010) e infine Le città fallite. I grandi comuni italiani e la crisi del welfare urbano (Donzelli, 2014) di cui si è discusso alla Casa della Cultura nella scorsa edizione di Città Bene Comune e di cui abbiamo letto la scorsa settimana la prefazione di Paolo Maddalena.
Come ricorda l'autore nel testo, del libro oggetto di questo contributo critico - Stefano Moroni, Libertà e innovazione nella città sostenibile. Ridurre lo spreco di energie umane, Carocci editore, Roma 2015 - lo scorso dicembre è stato pubblicato in questa stessa rubrica un commento di Marco Romano intitolato: Urbanistica: 'ingiustificata protervia'.
RR
© RIPRODUZIONE RISERVATA 22 GENNAIO 2016 |
CITTÀ BENE COMUNE
Ambito di dibattito sulla città, il territorio e la cultura del progetto urbano e territoriale
a cura di Renzo Riboldazzi cittabenecomune@casadellacultura.it
Gli incontri
- 2016: programma /presentazione
- 2015: programma /presentazione
- 2014: programma /presentazione
- 2013: programma /presentazione
Interventi, commenti, letture
- R.Riboldazzi, Perchè essere 'pro' e non 'contro' l'Urbanistica, commento a F.La Cecla, Contro l'urbanistica (Einaudi, 2015)
- P. Maddalena, Addio regole. E addio diritti e bellezza delle città, prefazione a: P. Berdini, Le città fallite (Donzelli, 2014)
- S. Settis, Beni comuni fra diritto alla città e azione popolare, introduzione a: P. Maddalena, Il territorio bene comune degli italiani (Donzelli, 2014)
- L. Meneghetti, Casa, lavoro cittadinanza. Il nodo irrisolto dell'immigrazione nelle città italiane
- M. Romano, Urbanistica: 'ingiustificata protervia', recensione a: S. Moroni, Libertà e innovazione nella città sostenibile (Carocci, 2015)
- P. Pileri, Laudato si': una sfida (anche) per l'urbanistica, commento all'enciclica di Papa Francesco (2015)
- P. Maddalena, La bellezza della casa comune, bene supremo. Commento alla Laudato si' di Papa Francesco (2015)
- S. Settis, Cieca invettiva o manifesto per una nuova urbanistica? Recensione a: F. La Cecla, Contro l'urbanistica (Einaudi, 2015)
- V. Gregotti, Città/cittadinanza: binomio inscindibile, Recensione a: L. Mazza, Spazio e cittadinanza (Donzelli, 2015)
- F. Indovina, Si può essere 'contro' l'urbanistica? Recensione a: F. La Cecla, Contro l'urbanistica (Einaudi, 2015)
- R. Riboldazzi, Città: e se ricominciassimo dall'uomo (e dai suoi rifiuti)? Recensione a: R. Pavia, Il passo della città (Donzelli 2015)
- R. Riboldazzi, Suolo: tanti buoni motivi per preservarlo, recensione a: P. Pileri, Che cosa c'è sotto (Altreconomia, 2015)
- L. Mazza, intervento all'incontro con P. Maddalena su Il territorio bene comune degli italiani (Donzelli, 2014)
- L. Meneghetti, Dov'è la bellezza di Milano? , commento sui temi dell'incontro con P. Berdini su Le città fallite(Donzelli, 2014)
- J. Muzio, intervento all'incontro con T. Montanari su Le pietre e il popolo(mimum fax, 2013)
- P. Panza, segnalazione (sul Corriere della Sera dell'11.05.2014)
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