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Che i macroeconomisti del passato non abbiano riservato particolare attenzione al ruolo dei beni immobiliari nell'economia di deve probabilmente al fatto che questi sono diventati cruciali in ragione delle connessioni col sistema finanziario e al peso specifico che il settore ha assunto nelle economie nazionali. In realtà una teoria dei beni immobiliari è implicita nei loro trattati. Keynes, ad esempio, comprendendo appieno il rilievo dell'edilizia residenziale, sia relativamente alla sua portata economica che come indicatore dell'andamento del ciclo, spiegava: "Questa voce è importante e varia fortemente nel tempo; essa va certamente inclusa nell'investimento, e non nella spesa per consumi, perché si ritiene comunemente che le case siano acquistate con mezzi provenienti dal risparmio e non dal reddito, e sono spesso possedute da persone diverse da coloro che le abitano"(1) . Autori come Keynes, Kuznets e Fisher non possono nemmeno immaginare un paese in cui si costruisce solo sulla base di una promessa di valore.
In ogni caso sia Keynes che Fisher concordano nel considerare investimento solo quei beni il cui acquisto corrisponda all'acquisto di una rendita e venga effettuato utilizzando risparmio e non reddito corrente. L'investimento, in altri termini, è tale se non pregiudica la propensione al consumo e se aggiunge qualcosa alla base della ricchezza nazionale. Questo intendeva La Malfa, in un passo di impronta fortemente keynesiana, quando affermava che la spesa in un certo tipo di edilizia avrebbe dovuto più correttamente essere compresa nella categoria del consumo corrente invece che nell'investimento. Nella specifica realtà del nostro Paese il settore immobiliare può sì concorrere ad ingrossare il Pil, ma con altrettanta facilità può causarne il crollo in ragione dell'importanza che nel Pil è venuto assumendo, anche in considerazione della bassa propensione all'export del settore nel suo insieme(2) , che ne fanno un elemento di rigidità dell'intero sistema, con ricadute sociali davvero pesanti.
Ad esempio uno dei grandi problemi del nostro tempo è la riqualificazione delle periferie. Renzo Piano dice che bisogna rammendarle, ma questa formula, suggestiva dal punto di vista dell'urbanistica, è vuota sotto il profilo dell'approccio economico(3) . Se le case sono beni capitali, per quanto un po' speciali, ad esse, come per tutti i beni capitali, dovrebbero essere riservate quote di ammortamento per il mantenimento e per la loro sostituzione quando diverranno inutilizzabili. Proprio qui però la differenza tra un bene capitale vero e proprio, ad esempio un laminatoio, e una vecchio fabbricato abitato da immigrati che pagano un mutuo trentennale si fa critica.
Keynes si preoccupava che troppa prudenza nell'accantonamento per il mantenimento degli impianti e delle scorte potesse penalizzare il consumo e l'occupazione in quanto l'eccesso di prudenza comprime necessariamente il livello dell'investimento perché "quando gli accantonamenti finanziari superano la spesa effettiva per i mantenimenti correnti, non sempre se ne valutano i risultati pratici quanto agli effetti sull'occupazione. Infatti questa eccedenza non origina direttamente investimenti correnti, né è disponibile per venire spesa in consumi". Keynes fa proprio l'esempio della casa, al suo tempo il bene capitale per antonomasia: "Si consideri una casa che continua ad essere abitabile finché viene demolita o abbandonata. Se il suo valore viene depennato di una certa somma tratta dal fitto annuale pagato dagli inquilini, somma che il proprietario non spende in manutenzioni né considera come reddito netto disponibile per il consumo, questo accantonamento […] costituisce un ostacolo all'occupazione del lavoro per l'intera vita della casa, finché viene improvvisamente utilizzato in blocco quando la casa deve venire ricostruita."(4)
La preoccupazione di Keynes riguarda il mancato sincronismo tra risparmio e investimento perché è sempre possibile, come in questo caso, che i tempi del risparmio siano sfasati rispetto all'investimento.(5) Era nel giusto Keynes quando metteva in guardia contro un'eccessiva prudenza che avrebbe inevitabilmente ritardato i tempi di uscita dalla depressione, ma solo perché era del tutto impensabile un paese di proprietari .(6)
Noi ci troviamo dunque nella situazione opposta a quella implicitamente delineata da Keynes: nelle nostre periferie la proprietà della casa è per lo più di tipo ipotecario ed è diffusa in maniera molecolare, talché la compressione dei consumi viene esercitata su una moltitudine di individui che, dato l'alto livello di quella che impropriamente viene considerata rendita urbana(7) , sono costretti ad effettuare una buona dose di risparmio forzato non tanto per mantenere lo status proprietario, ma per avere un tetto sopra la testa. Dal momento che lo status può essere conservato solo a spese del consumo diffuso, si ricade tuttavia nella fattispecie delineata da Keynes, ma attraverso un percorso molto più doloroso. Se nel caso di Keynes l'eccesso di prudenza nell'accantonamento può sì avere effetti preoccupanti, ma pur sempre di natura temporanea e ciclica, nel caso delle nostre periferie l'effetto è strutturale, duraturo e soprattutto non prevede alcuna via d'uscita.
Il degrado in cui versano le periferie di molte città italiane si deve, più che all'incuranza delle amministrazioni locali, a un particolare processo di natura economica che da un lato trova conveniente trattare le case come beni di investimento, ma dall'altro pretende di legarne la proprietà, con tutte le relative incombenze, a coloro che non sono in grado di assicurarne una normale sopravvivenza attraverso l'usuale procedura dell'accantonamento.
La recente trovata della casa in leasing rafforza questa pericolosa tendenza, anche se questo era implicito nel provvedimento dell'ottobre del 2013 col quale, strappando gli ultimi veli che ne dissimulavano la natura di merce deperibile, le case costruite per la vendita venivano detassate, né più né meno come tutte le merci di magazzino. Purtroppo però, a differenza delle automobili e i computer, le case non finiscono nella raccolta differenziata.
Note
1) J. M. Keynes, Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta, UTET, Torino, 1971, pag. 581.
2) Le case non si possono esportare e l'esportazione è limitata ad alcuni comparti dell'indotto, quali piastrelle, infissi, ecc.
3) Infatti il lavoro in cui è impegnato Renzo Piano con la collaborazione di giovani architetti, consiste nella semplice riprogettazione esemplificativa di specifici ambiti urbani.
4) J. M. Keynes, Op. cit., pag. 285.
5) Nel Trattato sulla moneta e nella Teoria generale il rapporto tra risparmio e investimento non viene trattato esattamente nello stesso modo, per ammissione dello stesso Keynes. Secondo R. F. Harrod nel Trattato "si avverte ancora l'esigenza di concetti di risparmio e investimento che non siano necessariamente eguali". Secondo questa interpretazione sarebbe compito delle autorità monetarie regolare l'offerta di liquidità, attraverso il saggio di interesse, in modo da mantenere il più possibile costante l'equivalenza tra risparmio e investimento stabilizzando il ciclo ed evitando tanto la depressione quanto l'eccessiva euforia. R. F. Harrod, Sguardo retrospettivo su Keynes (1963), in R. Lekachman (a cura di), Il sistema keynesiano, trent'anni di discussioni, Franco Angeli, Milano, 1966, pagg. 163 e segg.
6) "Non tutti proletari, ma tutti proprietari" era il programma della Democrazia Cristiana fin dalla Costituente. Vedi S. Rodotà, Il sistema costituzionale della proprietà, in Il terribile diritto. Studi sulla proprietà privata, il Mulino, Bologna, 1990, pag. 296.
7) Oggi consideriamo improprio parlare di rendita urbana in senso tradizionale. Molti urbanisti attribuiscono all'eccessivo livello raggiunto dalla rendita urbana la responsabilità del malessere accumulato nelle città italiane, in particolare nelle periferie. Questa interpretazione trascura il fatto che la rendita urbana in senso tradizionale ormai non esiste più da tempo. Di rendita si potrebbe ancora parlare in maniera marginale in riferimento a quegli istituti, banche, compagnie assicuratrici, enti di beneficenza, che posseggono un certo patrimonio immobiliare affidato in locazione, non certo riguardo a società immobiliari che costruiscono unicamente per vendere, incassare e tornare a costruire. Vero è che, in senso lato, si tratta di rendita capitalizzata, ma quello che va rimarcato è che la capitalizzazione della rendita, essendo ormai la norma, ne aggrava radicalmente la natura e gli effetti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 05 FEBBRAIO 2016 |