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Dopo sette anni dall'esplosione della più grave crisi economica del dopoguerra è finalmente sancito che il sistema bancario italiano non sta molto bene: 350 miliardi di prestiti che difficilmente rientreranno, crediti deteriorati, e tra questi oltre 200 considerati sofferenze, cioè peggio che difficilmente esigibili. Chi non sta restituendo alle banche il denaro preso in prestito? Non è una domanda banale, perché si tratta di comprendere se a non pagare sono soprattutto cittadini o imprese, come sono stati impiegati quei soldi e dove è finita quella montagna di risorse. Come detto i dati non sono proprio di facilissima reperibilità, ma a cercare bene qualcosa si trova. Agli analisti interessano poco, un po' per la solita ragione che i numeri sono numeri e i soldi sempre soldi, chiunque li abbia presi; un po' perché nei momenti difficili si guarda soprattutto ai grandi aggregati; un po' perché forse è meglio non andare troppo a fondo. I commenti e le statistiche più diffuse solitamente riferiscono di crediti alle imprese, senza specificare se l'imprenditore che non restituisce i prestiti produce meccanica di precisione o inaugura cantieri per poi lasciare grandi buche a cielo aperto. C'è però un dato particolarmente interessante, che ormai comincia a preoccupare anche chi fino ad oggi ha fatto spallucce: il 40% delle sofferenze bancarie viene dal settore immobiliare e delle costruzioni e in questa particolare classifica l'immobiliare ha ormai distanziato la manifattura. Del resto, e questo ci fa la capire che la rimozione viene da lontano, è solo dal 2013 che le statistiche della Banca d'Italia sui crediti deteriorati riportano il dato relativo alle sofferenze provenienti dal settore immobiliare. (1)
L'attenzione da qualche tempo è tuttavia crescente tanto che nel marzo dello scorso anno la stessa Banca d'Italia ha pubblicato un Occasional papers dedicato all'argomento (2). Vediamo qualche dato: l'intera filiera settore immobiliare contribuisce per il 20% alla formazione del Pil: è senza dubbio molto, si dovrebbe dire troppo in relazione al principio di fragilità di cui il settore è portatore, anche perché il 50% di questo 20% è il contributo che apportano direttamente le imprese di costruzione; il 40% concerne i servizi immobiliari; solo il 10% riguarda le imprese dell'indotto. Sono dati da tener presenti quando si dice con imperdonabile superficialità che "quando riparte l'immobiliare riparte tutta l'economia". in generale accade piuttosto il contrario: sono i tassi bassi e il credito facile a gonfiare il settore che, più che essere fattore di stimolo alla produzione nel suo insieme, costituisce una trincea di drenaggio delle risorse.
L'intera filiera (il termine è insopportabile, ma così viene definito l'aggregato) assorbe più del 34% dei finanziamenti al settore privato. Le imprese infine sono caratterizzate da un livello di indebitamento particolarmente elevato. Il Papers riconosce fin dal sommario che la lunga crisi iniziata nel 2008 ha avuto ripercussioni molto negative non solo sulle imprese della catena immobiliare ma anche sulle banche che le hanno finanziate e che "è molto cresciuta la quota di imprese con problemi nel rimborso dei prestiti, in particolare tra quelle di maggiori dimensioni e tra quelle che avevano un leverage elevato".
In sostanza a non rimborsare i prestiti non sono tanto le famiglie, nemmeno quelle cui rimane da pagare una quota di mutuo superiore all'intero valore dell'alloggio, ma prevalentemente le imprese del settore e, tra queste, sono soprattutto quelle di dimensioni maggiori a creare voragini nei bilanci delle banche. Che quasi la metà del credito immobiliare provenisse, già nel 2007, dagli istituti dei primi cinque gruppi bancari, è un buon indizio del carattere strutturale dell'intreccio tra il settore e l'alta finanza, ma non deve indurre a ritenere che le banche di territorio siano esenti da rischio, come è del resto emerso recentemente in occasione della risoluzione delle quattro banche (3) del centro Italia.
Le tendenze espresse dal settore, anche se in genere sono semplicemente registrate nei bollettini statistici, non sono mai casuali e la loro comprensione non è un esercizio inutile. Ad esempio il fatto che solo dal 2012 i prezzi delle case hanno cominciato a calare, con quattro/cinque anni di ritardo rispetto al trend delle vendite, non ha origini metafisiche, ma si deve al fatto che costruttori, immobiliaristi e istituti di credito ritenevano conveniente aspettare, invece di deprezzare i crediti e i beni sottostanti, sperando nella ripresa del mercato. Esattamente come nel corso della crisi di fine ottocento. Invece che arrendersi alla tendenza deflazionistica tutto il sistema ha scommesso sulla ripresa, giocando pesante e perdendo infine la partita.
Questa chiave di lettura consente anche di dar ragione del modo in cui il governo ha affrontato l'intera faccenda del recepimento della direttiva europea sulla regolamentazione delle crisi bancarie, quella che prevede l'ormai noto bail in, il salvataggio delle banche col coinvolgimento di creditori e correntisti. Infatti i termini per il recepimento del provvedimento scadevano col 2014 e l'Italia dall'inizio del 2015 è entrata in procedura d'infrazione, andando affannosamente in approvazione solo il 16 novembre. Non è stato per cattiva volontà o per dimenticanza che si è tardato così tanto a recepire una norma la cui approvazione era inevitabile, alla cui stesura aveva contribuito l'Italia stessa e senza la quale il nostro Paese sarebbe precipitato in un pericoloso vuoto legislativo a partire dal primo giorno del 2016. Si è cercata disperatamente una via d'uscita che evitasse, grazie forse a qualche artificio di ingegneria finanziaria, di squadernare la realtà di un sistema bancario pesantemente compromesso dalle sofferenze e soprattutto dalle sofferenze in un settore considerato particolarmente critico. Forse è stata anche coltivata l'idea di anticipare lo scontro con Bruxelles, sollevando polvere che impedisse di veder chiaro. O forse entrambe le cose (4). Ma questo fa parte della cronaca e dell'alchimia politica. Rimane la realtà di un Paese che ostinatamente continua a credere nel mattone e che da 150 anni periodicamente ricade negli stessi errori.
Note
1) Nella categoria crediti deteriorati sono compresi tutti i prestiti difficilmente esigibili. In Italia fino al 2015 i crediti deteriorati venivano a loro volta classificati in sofferenze, incagli, crediti ristrutturati, scaduti/sconfinamenti. Dal 2015 è stata introdotta per uniformità con i paesi dell'UE una nuova classificazione: sofferenze, inadempienze probabili, scaduti/sconfinamenti.
2) Cristina Fabrizi, Raffaella Pico, Luca Casolaro, Mariano Graziano, Elisabetta Manzoli, Sonia Soncin, Luciano Esposito, Giuseppe Saporito, Tiziana Sodano, Mercato immobiliare, imprese della filiera e credito: una valutazione degli effetti della lunga recessione, Occasional Papers, Questioni di Economia e Finanza, Banca d'Italia, marzo 2015.
3) Il governo con un decreto approvato in apposita seduta convocata nel tardo pomeriggio di domenica 22 novembre ha azzerato il capitale di quattro banche in dissesto. Il contenuto del decreto, con le relative polemiche che hanno coinvolto in particolare Banca Etruria, è ampiamente noto.
4) Non si comprende altrimenti l'atteggiamento del governo che più volte è caduto in procedura d'infrazione europea senza batter ciglio (sono quasi un centinaio le procedure aperte nei confronti dell'Italia), mentre in altre occasioni dichiara di non poter fare altrimenti per non incorrervi. In questo caso il recepimento della normativa è stato inspiegabilmente ritardato fino al 16 novembre quando il governo è stato convocato d'urgenza una domenica sera solo per adottare la procedura e consentire di approvare, nemmeno una settimana dopo, il 22 novembre, la risoluzione delle quattro banche. Forse c'è anche un'altra spiegazione: in quei giorni l'UE ha respinto la procedura di salvataggio messa in atto nei confronti della Cassa di Teramo (Tercas) attraverso il Fondo interbancario. Quella modalità di salvataggio probabilmente è stata utilizzata per avviare senza clamore la tattica del braccio di ferro con l'UE, che poi il governo ha dovuto precipitosamente abbandonare. © RIPRODUZIONE RISERVATA 14 FEBBRAIO 2016 |