Peppino Caldarola  
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I MESSAGGI DI COSA NOSTRA ALLO STATO


Occorrono coraggio e intelligenza per combattere la mafia.



Peppino Caldarola


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Roberto Saviano, nella trasmissione di Fabio Fazio "Che tempo che fa", ha provato a decrittare le frasi che ha pronunciato in tv da Bruno Vespa il figlio di Totò Riina, Salvo. Saviano è un uomo molto intelligente  e coraggioso. Vi sono tanti, i più, che lo amano, e c'è anche chi invece detesta il suo protagonismo, in verità assai meno  riscontrabile negli ultimi tempi. Fra chi conosce le cose di mafia, e di tutte le organizzazioni criminali di tipo mafioso, Saviano è uno dei più competenti. Qui siamo in un campo, in verità, molto affollato. Come dice lo stesso Saviano, e lo ha detto da Fazio, il problema non sono "i professionisti dell'antimafia, ma i dilettanti dell'antimafia".

Fra i commentatori sono molti quelli che si cimentano con analisi sul fenomeno di ieri e di oggi, e tanti di più quelli che sono alla ricerca del punto cui mafia e Stato si incontrano fino a confondersi. Fra gli studiosi veri e propri emergono figure non mediatiche come il professor Salvatore Lupo, che sfugge ai canoni più tradizionali della lettura del fenomeno mafioso e il professor Rocco Sciarrone, che ne ha analizzato e scomposto il sistema di alleanze sociali. Cito solo questi due nomi di un nutrito elenco di persone che sanno perché studiano.

Vi sono poi anche alcuni studiosi che hanno praticato la politica e che, abbandonandola, si sono poi dedicati allo studio dei  fenomeni criminali, vorrei citare Enzo Ciconte, forse il maggior esperto di 'ndrangheta, e Isaia Sales autore di uno studio complessivo sulle mafie. Roberto Saviano si colloca in questi vertici alti.  A fargli compagnia ci sono pochi giornalisti veramente esperti, molti magistrati che operano sul campo e tanti uomini e donne delle forze dell'ordine che conosciamo solo in momenti tristi mentre invece dimentichiamo che quotidianamente ci difendono dalle piovre.

Saviano quando si è cimentato con il linguaggio e i messaggi del giovane Riina lo ha fatto da persona capace di leggere anche i silenzi. La sua tesi, esposta in modo didascalico in tv, è la seguente. Salvo Riina non è andato da Vespa a promuovere un suo libro, non cerca infatti pubblicità, è andato per lanciare i seguenti messaggi.

Il primo è che la famiglia è unita. La famiglia, però, è la vecchia famiglia non la genìa affaristica di Messina Denaro e dei nuovi mafiosi. Secondo:  la famiglia è intatta e non tradirà e non sopporterà tradimenti. Questo messaggio è rivolto all'organizzazione. Terzo, parlando alla pubblica opinione, Riina junior non mostra alcun sentimento verso le vittime del padre. E' come se dicesse, c'è una guerra, io rispetto tutti i morti, di una parte e dell'altra. Per di più ha derubricato il termine mafia secondo il canone di mafia, dicendo c'è mafia dappertutto, quindi se è tutta mafia non c'è la mafia.

Saviano ha aggiunto una considerazione molto acuta. Il mafioso, in questo senso, è modernissimo, si rifiuta di giudicare secondo canoni generali , e invita al rapporto personale, . Per dirla meglio: io conosco solo il bene e il male che viene fatto a me, l'influenza del cosiddetto male sulla società è tema da non affrontare perché quel male c'è, è diffuso e non è solo frutto dell'attività della Cosa nostra. Infine Riina junior rifiuta il termine mafia, è un termine che usano gli altri, i loro nomi, i nomi cha si danno sono diversi: Cosa nostra, famiglia ecc.

C'è poi la conclusione a cui arriva Saviano chiedendo a chi lo ha ascoltato anche di fare un salto logico e di fantasia. Dice Saviano: se Salvo Riina non è venuto in tv per fare abiure, se è venuto per dire che la vecchia mafia  mantiene la famiglia unita e non c'entra niente con i nuovi mafiosi, se l'azione violenta è figlia di una società tutta intera preda di irregolarità, a quale conclusione può giungere l'uomo d'onore nel rapporto con lo Stato? Allo Stato, dice Saviano, il figlio del capo dei capi chiede di trattare, una trattativa che ha due aspetti: alleggerire la posizione carceraria, ad esempio abolire  il 41 bis, infine lasciando mani più libere ai figli dei boss nell'amministrare un patrimonio che allo stato dei fatti non può emergere.

Saviano dice che questa "proposta" è la forma specifica di "dissociazione" che Cosa Nostra offre allo Stato.

In questi giorni passati c'è stata una piccola discussione attorno al caso di Bernardo Provenzano che per ragioni di salute vorrebbe, almeno così vorrebbero i suoi famigliari e avvocati, essere sottratto al duro regime del 41 bis. E' stata anche posta la "questione umanitaria":  il vecchio boss è quasi in stato vegetativo, quindi non è un pericolo e non c'è ragione che stia al carcere duro. Il ministro Orlando, col consenso dei magistrati, non ha ritenuto di accettare la richiesta e questa svolta "dura" ha un senso pedagogico preciso. Questo: dire agli uomini di Cosa Nostra non uscirete mai, morirete in carcere, senza il pentimento, una volta catturati, la vostra vita è finita. La vostra vita non  significa solo comando, relazioni, ricchezze, magari non ostentate, ma significa  rapporti familiari, solitudine, senso di impotenza.

Salvo Riina vuole scongiurare questo rischio per suo padre. Offre, secondo Saviano, la dissociazione ("Ho fatto quel che ho fatto, sconto la pena ma non  opero più e tanto meno c'entro con quelli che dicono di aver preso il mio posto"), ma tu Stato dammi una possibilità di tornare ad una vita accettabile.

Prima considerazione. C'è nella lettura di Saviano un fondamento oggettivo ed è anche interessante che il giornalista-scrittore abbia scelto una platea televisiva per dire la sua. Probabilmente anche Saviano non voleva solo parlare al grande pubblico ma a pezzi dello Stato per metterli in guardia.

Seconda considerazione. Nel merito, se si accetta l'interpretazione di Saviano, che cosa dobbiamo aspettarci? Come si sa sul tema "mafia" si scontrano diverse teorie, teorie non tesi. C'è chi di tanto in tanto ne annuncia la fine. C'è chi la vede sempre più potente. C'è chi la vede come un fenomeno criminale gravissimo reso forte da connivenze, complicità,  aree grigie nella società e nello Stato. C'è chi dice che la mafia è lo Stato, che i maggiori delitti sono stati commessi dagli uomini di Riina praticamente su commissione. Ci sarebbe cioè una trattativa a permanente. Non un atteggiamento investigativo che prevede l'incontro-scontro con uomini di mafia, ma un atteggiamento dello Stato che proviene da vecchi vizi democristiani e da nuovi vizi berlusconiani con connessi intrighi con mafiosi in camicia bianca o mafiosi analfabeti.

La realtà dice tante altre cose. Dice, ad esempio, che i fenomeni criminali nel mondo si sono arricchiti di tanti nuovi soggetti, che fra questi nuovi soggetti emergono organizzazioni terroristico-religiose mafiose in tutte le latitudini, che queste sono stabilmente insediate  in molti stati-canaglia, che l'Italia non è più il luogo fisico della malavita mondiale. In Italia le mafie sono sopravvissute. Quella 'ndranghetista è la più impenetrabile in quanto fondata su una struttura familistica e su un'attività finanziaria stupefacente, quella derivante dalla Cosa nostra siciliana ha dovuto fare  i conti con il fallimento dei Corleonesi, con gli arresti e sta cercando di navigare sott'acqua con una nuova classe dirigente. Quella camorristica resta una struttura priva di vertici unificati e rivela sempre più di essere un arcipelago di organizzazioni spesso in lotta fra di loro. I "sacristi" pugliesi si sono spostato dal Salento al Foggiano, perdono colpi, talvolta sono sopraffatti da una criminalità urbana più forte di loro, sono una quarta mafia priva di ambizioni ma non meno pericolosa.

Di fronte a questi fenomeni serve l'intelligenza che Saviano ha offerto da Fazio e un'attività investigativa  che si muova sulla grande tradizione che portò ai grandi arresti, ai grandi pentiti, alle sentenze di condanna.

Serve soprattutto un'altra opinione pubblica. Troppe volte negli ultimi tempi abbiamo visto come dietro la bandiera dell'antimafia si nascondessero affari e affaristi para-mafiosi. Troppi protagonisti dell'antimafia si sono rivelati cattivi interpreti del mondo che volevano rappresentare. Troppa retorica ha invaso giornali e tv. E soprattutto è prevalsa una tendenza che  avrebbe scandalizzato i grandi investigatori uccisi, da Terranova a Falcone: fare di tutta erba un fascio,  costringere il fenomeno mafioso in una dimensione statale che lo rende inintellegibile.

Saviano con la sua lectio magistralis sulle parole di Riina junior ha dato un'altra linea. Più seria e scientifica. Per combattere la mafia ci vuole coraggio ma soprattutto intelligenza. Poi viene la forza. Primum capire.  

 


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11 APRILE 2016