«Quando il vecchio è morto e il nuovo non può ancora nascere,
nell’interregno si manifesta una quantità di sintomi morbosi.»
A. Gramsci, Quaderni del carcere(1)
I
Dal fordismo al capitalismo della conoscenza,dei servizi e dei beni comuni
Nel corso degli ultimi trent’anni del secolo scorso il capitalismo si è trasformato. È aumentato l’apporto della conoscenza nel capitale e nello sviluppo delle imprese e il contributo dei servizi nell’economia. La produzione di servizi ha acquisito nuovo peso nella composizione del reddito(2) e, insieme all’uso della conoscenza nella catena industriale, ha contribuito a definire le condizioni di un capitalismo “post-fordista”(3). I servizi hanno promosso e accompagnato una nuova organizzazione nella filiera della produzione industriale, ma sono stati anche chiamati a offrire risposte alla diversa, imprevista, compagine sociale che si va configurando.
La frammentazione sociale che si è determinata e, soprattutto, l’inadeguatezza interpretativa e propositiva del paradigma economico dominante, rendono evidente la necessità di forgiare nuove categorie aderenti alle trasformazioni in corso, che spieghino la dinamica delle relazioni tra i nuovi soggetti e consentano di impostare su quella base politiche adeguate. L’economia della conoscenza ha prodotto rivolgimenti sociali tali che, insieme al ripetersi delle crisi finanziarie ed economiche, ha generato incertezza e una percezione del rischio generalizzata e fatto crescere l’esigenza di far fronte a domande di protezione sociale e di servizi collettivi con risposte partecipative, nuove soluzioni e istituzioni inclusive.
La concezione di “bene comune” si presenta come uno strumento utile per definire un percorso volto a superare il paradigma dell’utilitarismo individualistico ancora prevalente. Infatti, da un lato la visione di bene comune apre uno spiraglio nella disciplina economica per superare i modelli che dal secondo dopoguerra agli anni ’70 del secolo scorso hanno affidato esclusivamente allo Stato la responsabilità di rispondere ai bisogni collettivi della popolazione; dall’altro, offre un’impostazione concettuale per superare anche la crisi, meno riconosciuta, dei modelli che successivamente hanno voluto riportare quelle stesse domande di cittadinanza e servizi collettivi nell’alveo delle leggi del mercato, prescindendo dal ruolo delle istituzioni nell’evoluzione del processo. La concezione di bene comune trova dunque spazio nel tragitto lungo il quale ci si propone di accompagnare il lettore in questo capitolo.
Il ragionamento è condotto in tre passaggi conseguenti. Identificati per brevi cenni gli aspetti rilevanti nello scenario del cambiamento, con particolare riferimento alla difficoltà delle istituzioni pubbliche ad accompagnare la grande trasformazione in corso e le nuove domande sociali, nel paragrafo successivo sono richiamate le sequenze teoriche con le quali le concezioni di beni pubblici, beni di merito e beni comuni sono state inserite nella disciplina economica.
Da questa carrellata emergono le potenzialità concettuali per introdurre elementi di rottura nei confronti del paradigma economico dominante, ancora incentrato sulla sovranità del consumatore individuale e sulla soggezione alle regole di mercato, nonostante gli evidenti fallimenti interpretativi e normativi che hanno caratterizzato i decenni trascorsi. È, questa, una visione che si contrappone ai tentativi interni al paradigma utilitarista, volti ad apportare correzioni teoriche per superare le “imperfezioni del mercato” e includervi relazioni e comportamenti sociali che a quelle leggi del mercato non sono affatto riconducibili(49. Da ultimo, infine, sono proposti tre esempi paradigmatici per mettere a fuoco la pluralità di problemi che la concezione di beni comuni pone sul tappeto.
Il paradosso della conoscenza mostra il confine e i trade off di un bene comune (a rendimenti crescenti) tra l’accesso aperto al bene e la protezione dei diritti di proprietà intellettuale. L’inquinamento atmosferico mostra le difficoltà che si incontrano nella gestione di un bene pubblico globale, che richiede istituzioni sovranazionali adeguate per condurre politiche globali di riduzione delle emissioni antropogeniche nell’atmosfera. Da ultimo, con una leggera forzatura, un esempio di “bene comune europeo” come si può declinare l’Energy Union di recente definizione, dà conto delle difficoltà e degli sviluppi promettenti insiti nel tentativo di applicare il concetto di bene comune a politiche effettive.
Continua la lettura qui BENI COMUNI, BENI PUBBLICI. OLTRE LA DICOTOMIA STATO-MERCATO
© RIPRODUZIONE RISERVATA 13 APRILE 2016 |