Peppino Caldarola  
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LA MEMORIA DELL'ACQUA


In ogni goccia felicità e drammi. El botón de nácar di Guzmàn



Peppino Caldarola


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L'assillo di alcuni leader politici occidentali è il rifiuto della memoria. Qualunque cosa venga dal passato è rifiutata, ma soprattutto viene gettata in un unico contenitore che toglie qualità e differenze fra le cose che il passato cerca di riproporci. L'aspetto singolare di questa cultura politica, di cui peraltro non voglio qui occuparmi, è che essa contraddice con le basi elementari della conoscenza e soprattutto della conoscenza fra diversi sia al mondo d'oggi sia nel mondo di ieri.

Un matematico gesuita, Matteo Ricci, all'inizio del Seicento, in uno dei suoi numerosi viaggi alla scoperta della civiltà cinese, insegnò a mandarini e intellettuali come costruire Palazzi della memoria, nella propria mente, per incasellare e rendere durevoli le conoscenze. L'intera storia intellettuale dell'umanità è costruita sul continuo ripercorrere del passato come fonte anche di conoscenza dell'oggi. Queste procedure si sono tradotte nella scrittura e nell'arte e hanno conosciuto sviluppi di civiltà fin dalle prime invenzioni che riproducevano la memoria attraverso la stampa e poi la foto, il cinema, la TV e oggi la Rete. Tutte, però, hanno sempre guardato a un aspetto immateriale della memoria.

Patricio Guzmàn, intellettuale e documentarista cileno, invece presentò nel 2015 al Festival di Berlino, e oggi nelle sale italiane, una sconvolgente e appassionante lezione sulla "memoria dell'acqua"(ndr La memoria dell'acqua. El botón de nácar). Guzmàn apre il suo film documentario con immagini della Patagonia che lasciano senza fiato. Oceani, fiumi, piccoli corsi d'acqua, viaggiano inseguendo dosi e producendo suoni che un antropologo intervistato da Guzmam cerca persino di riprodurre. L'acqua è l'elemento naturale delle popolazioni indigene, figlie del nomadismo sui fiumi, popolo di pescatori e mai cacciatori, alcuni di loro spintisi con piccole imbarcazioni fino a capo Horn e tranquillissimi nel raccontare un viaggio che avrebbe spaventato chiunque. L'acqua ha memoria perché la goccia d'acqua che Guzmàn ci mostra prigioniera di una pietra millenaria racconta la storia delle origini, ma anche i suoi drammi. È l'acqua ad avere memoria dello sterminio e della emarginazioni di tante popolazioni native che tuttora conservano un loro linguaggio. Un linguaggio in cui non c'è la parola "polizia" perché la loro organizzazione sociale era ed è interamente solidale ma non conosceva, ricorda una anziana "nativa", la parola "dio". In quel passato d'acqua dio non c'è. Sono popoli che, invece oltre l'acqua conoscono il cielo fino a dipingerselo addosso con un alternarsi di macchie bianche e di buchi neri a rappresentare il Cosmo.

Ma la memoria dell'acqua non rimanda a ricordi di felicità neppure nei giorni a noi più vicini. Guzmàn racconta di quando Salvatore Allende volle restituire le terre a chi secoli prima era stato espropriato e racconta il colpo militare contro il presidente socialista. Sarà l'acqua dell'oceano a conservare la memoria delle migliaia di cileni e di cilene gettati dagli elicotteri in mare, spesso ancora vivi ma legati ad un trancio di ferro, un binario di un paio di metri, che avrebbe dovuto aiutare gli aguzzini a far dimenticare le povere vittime. Ma sarà proprio l'acqua, racconta Guzmàn, a conservare la memoria di quei corpi quando, tornata la democrazia, quei tranci di ferro verranno tirati fuori dal mare senza i corpi ormai liquefatti ma spesso con bottoni ancora attaccati a quel ferro che avrebbe dovuto cancellare la memoria dei democratici cileni. La memoria dell'acqua, quindi, non è' solo una proprietà chimica ma la capacità di riassorbire e di restituire storie.

Il film di Guzmàn è molto bello ma soprattutto ci dice che dobbiamo pensare, che è la natura che non ci vuole immemori e senza storia. Anche una goccia d'acqua parla di noi.

 


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03 MAGGIO 2016