Luciano Brancaccio  
  casa-della-cultura-milano      
   
 

LO STATO DELLA CITTÀ E LA CAMORRA DEI MERCATI


Una riflessione su Napoli al riparo da stereotipi e semplificazioni



Luciano Brancaccio


altri contributi:



  napoli-camorra-dei-mercati-luciano-brancaccio.jpg




 

Pubblichiamo alcuni brani di La camorra dei mercati, in Lo stato della città. Napoli e la sua area metropolitana, a cura di Luca Rossomando (Monitor Edizioni)

Il tema delle attività d’impresa riconducibili a circuiti camorristi – o mafiosi in generale – è da tempo presente nelle analisi, nel dibattito e, di recente con maggiore ricorrenza, nelle cronache. Basta dare una scorsa alle notizie per verificare la frequenza di inchieste giudiziarie che puntano l’attenzione non solo sul livello criminale violento, ma su vasti intrecci affaristici in cui compaiono, in vario modo combinate, anche la componente imprenditoriale, quella politico-burocratica e a volte quella delle professioni.

In genere, queste attività affaristico-criminali vengono presentate come se costituissero una trasformazione recente del fenomeno mafioso, la sua epigone attuale e “degenerata” (secondo una nota – e altrettanto ingenua – contrapposizione tra un passato mitico di principi etici e un presente ordinario di corruzione). Il mafioso sarebbe, secondo questa visione di senso comune, un capo violento che costruisce la sua reputazione, e quindi la sua leadership, all’interno della propria cerchia comunitaria (parentela, vicinato, compagnia dei pari), in genere collocata nei ceti sociali svantaggiati, e poi, in un secondo momento (o in una seconda fase storica), utilizzerebbe il suo potere intimidatorio per varcare la soglia della “società che conta” penetrando nella sfera dell’economia e dei mercati ufficiali. Un mondo nascosto e primitivo che – inquietante mutazione della modernità – tenderebbe a espandersi improntando di sé, e inquinandola, la parte visibile del mondo economico e le cerchie sociali superiori. Si può dire che la “narrazione ufficiale” del fenomeno mafioso sia tutta ricompresa entro questa dialettica tra underworld e upperworld.

Nella criminalità organizzata campana, l’attitudine imprenditoriale di singoli, gruppi, reti di alleanze tra soggetti diversi è particolarmente evidente. Rispetto alle altre mafie italiane, infatti, i gruppi di camorra, fin dalle loro prime manifestazioni storiche, agiscono su territori più densamente popolati, caratterizzati da mercati vivaci (per quanto marginali e periferici se considerati in un orizzonte più ampio di economia internazionale), di carattere legale (i principali riguardano prodotti della terra, trasporti, edilizia, magliareria e abbigliamento, agroalimentare, distribuzione commerciale, scommesse) o illegale (contrabbando, droga, prostituzione, gioco clandestino, ricettazione, usura). Si tratta di mercati di una certa dimensione, capaci di generare flussi considerevoli di valore e caratterizzati da sistemi di regole non univoci. Regole derivanti in parte dalla normativa statale e in parte da accordi informali, pratiche di violazione o elusione della legge, vincoli di affiliazione e di sopraffazione, codici di comportamento legati al rispetto di gerarchie sociali. È all’interno di questo complesso quadro di scambi economici e di regole sociali che si affermano, in varie epoche storiche, i gruppi che, per la capacità di uso specializzato della violenza e l’attitudine al controllo sociale e del territorio, definiamo camorristi.

In altri termini, dobbiamo considerare il clan di camorra, nella sua versione abituale (per intenderci, quella sancita e sanzionata dall’art. 416 bis), come il punto di arrivo, non di partenza, di un processo sociale di formazione. Dunque, non una variabile esogena che emerge da un mondo oscuro penetrando il mondo economico. Ma il frutto, il risultato dell’operare congiunto di fattori di ordine storico che favoriscono la trasformazione di un’attività imprenditoriale in attività mafiosa.

Continua la lettura su il lavoro culturale


© RIPRODUZIONE RISERVATA

18 GIUGNO 2016

 

 

 

 

Lavoro culturale nasce nei corridoi e nelle aule dell'Università di Siena

E' organizzato e interamente gestito da precari della ricerca e dei lavori cognitivi

E' uno spazio aperto per l'elaborazione critica delle opinioni