Marcello Gisondi  
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UN POPULISMO EUROPEISTA?


Uno sguardo sulle elezioni spagnole



Marcello Gisondi


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Dal 15M allo stallo politico

Il populismo, diceva il presidente ecuadoregno Rafael Correa in un'intervista di qualche anno fa, è la parola che usano le élite quando non capiscono cosa succede. A giudicare dalla reazione delle élite spagnole di fronte all'emergere di Podemos all'inizio del 2014, la provocatoria affermazione potrebbe considerarsi veritiera. Da quell'iniziale apparizione lo scacchiere politico spagnolo è cambiato rapidamente, e gli equilibri stabilitisi col patto costituente di transizione alla democrazia del 1978 si sono spezzati: nelle diverse tornate elettorali degli ultimi due anni il bipartitismo impuro formato dai popolari del PP e dai socialisti del PSOE, sorretto dalle mediazioni con i piccoli autonomismi baschi e catalani, non è stato più in grado di egemonizzare il discorso politico nazionale.

L'erosione del tradizionale consenso dei grandi partiti, iniziata col movimento degli Indignados il 15 maggio del 2011, ha indirizzato il senso comune collettivo su un asse politico diverso da quello destra/sinistra. Podemos ha abilmente sfruttato questo nuovo asse, nominandolo in vari modi: casta/gente, élite/popolo, potenti/maggioranza sociale. Così facendo è riuscito a raccogliere non solo i consensi dei disillusi di sinistra - sia radicali che moderati - e di persone precedentemente lontane dalla politica, ma inizialmente anche ad erodere il solido bacino elettorale della destra. Tuttavia su questo nuovo asse è stato presto affiancato da Ciudadanos (C's), partito liberista attivo in Catalogna dal 2006, ma salito nel 2015 alla ribalta nazionale. Approfittando del varco aperto dai primi successi elettorali di Podemos, C's è stato in grado di convogliare il consenso indignato moderato, raccogliendo poi l'appoggio di una parte delle élite spagnole e neutralizzando parzialmente il vento di cambiamento. La sua affermazione ha costretto Podemos a giocare su due fronti, contendendo il consenso di sinistra al PSOE e l'indignazione anti-casta proprio a C's.

Alle elezioni generali dello scorso 20 dicembre, la Spagna è arrivata dunque con un inedito quadripartitismo. Il voto si è frammentato lungo i due assi perpendicolari destra/sinistra e vecchi partiti/nuovi partiti. Le consultazioni hanno generato un parlamento definito da molti "all'italiana": seppur coinvolto in innumerevoli casi di corruzione strutturale, il PP del primo ministro uscente Mariano Rajoy ha ottenuto la maggioranza relativa dei seggi, tentando invano di formare un governo con l'appoggio dei socialisti; quest'ultimi, secondi per numero di seggi e guidati da Pedro Sánchez, hanno proposto invece un'alleanza a tre con C's e Podemos, resa impossibile dagli opposti programmi economici dei due partiti; C's, guidato da Albert Rivera, ha ottenuto il minor numero di seggi fra i quattro ed ha cercato invano di farsi mediatore fra PP e PSOE, auspicando un cambio di dirigenza nei popolari; le consultazioni di Podemos, terzo per numero di scranni, sono state condotte da Pablo Iglesias con uno spirito prima intransigente e poi conciliante, cercando di formare col PSOE un governo di maggioranza relativa appoggiato da alcuni partiti indipendentisti. Anche quest'ultimo tentativo è fallito e lo stallo istituzionale ha spinto alla convocazione di nuove elezioni il 26 giugno prossimo. 

 

Una politica radicale ma maggioritaria

In vista del nuovo voto, Podemos ha provato a guadagnare terreno sul PP ricucendo lo strappo con le formazioni di sinistra con le quali aveva avuto, sin dalla sua fondazione, un rapporto di turbolenta affinità: molti dei podemiti provengono da esperienze interne o contigue alla sinistra radicale, della quale spesso condividevano le analisi ma criticavano le strategie. Podemos si è imposto con un approccio "radicale ma maggioritario", che implica una lotta per il senso comune collettivo combattuta fuori degli stilemi della sinistra tradizionale. Non a caso alle sue origini sta la creazione nel 2010 del canale televisivo La Tuerka: i membri fondatori del movimento - per lo più attiviste, ricercatrici e professori dell'Università Complutense di Madrid - vi si sono fatti le ossa trasponendo nei tempi e nei modi del linguaggio televisivo la profondità e la passione dei dibattiti accademici e militanti. Dopo qualche anno di praticantato televisivo e di espansione nei social media, gli attuali dirigenti hanno affrontato con successo i palcoscenici dei programmi generalisti nazionali. Così facendo hanno accumulando un "capitale mediatico" che ha fatto da traino allo sviluppo elettorale e territoriale del partito, ma che gli ha attirato molte antipatie da sinistra: molti militanti, ad esempio, criticarono la scelta di inserire sulla scheda elettorale per le elezioni europee del 2014 non il simbolo di Podemos, ma il volto di Pablo Iglesias; quest'ultimo, a sua volta, non ha in passato risparmiato frecciate ad una sinistra "triste, annoiata, amareggiata" colpevole di "disprezzare il paese". Tuttavia, in virtù anche degli ottimi rapporti fra Iglesias e il nuovo leader di Izquierda Unida, Alberto Garzón, le due formazioni hanno messo da parte i dissapori passati e trovato modo di convergere nella piattaforma Unidos Podemos. 

Alle elezioni dello scorso dicembre, pur con programmi simili, le due formazioni si erano presentate separatamente, uscendone penalizzate: nonostante quasi un milione di voti su scala nazionale, IU aveva ottenuto solo due deputati, che potrebbero ora diventare molti di più nella piattaforma comune. Sbaglieremmo se - guidati dalle fallimentari esperienze nostrane - leggessimo in questo raggruppamento una semplice coalizione di "sigle di sinistra": in quasi tutte le competizioni elettorali in cui si è presentato, Podemos ha fatto leva su coabitazioni con organizzazioni e partiti (Compromís, En Comú Podem, En Marea, Equo ed altri) in grado di esaltare la forza dei movimenti locali senza perdere compattezza d'intenti. Più complicata, ma non impossibile, sarà l'affermazione di una dialettica simile con IU. Maggiori tensioni si sono registrate invece fra il gruppo fondatore madrileno di Podemos e i circoli locali del movimento nati sull'onda dell'entusiasmo e a volte irreggimentati bruscamente. Queste tensioni non hanno però mai dato vita a rotture, essendo bilanciate da un costante ricorso a vivaci strumenti di democrazia interna: la stessa alleanza con IU è stata promossa dopo una votazione on-line delle militanti di entrambe le formazioni.

Secondo l'ultimo sondaggio pubblicato dal El Pais, domenica prossima Unidos Podemos potrebbe, pur rimanendo di poco alle spalle dei popolari, surclassare il PSOE. I sondaggi impongono cautela, e sebbene finora abbiano sempre sottostimato i risultati poi notevoli di Podemos, è ben possibile che ora li sovrastimino. I media spagnoli si interrogano però sui potenziali effetti del "sorpasso", che sembrerebbe garantire i numeri per un governo progressista: uscito vincitore dal dibattito elettorale a quattro, Iglesias ha ribadito che è intenzione di Unidos Podemos governare col PSOE, mentre Sánchez, che ha una leadership fragile in un partito attraversato da tensioni, continua a non esporsi. Dall'altro lato Rajoy ha affermato che tenterà nuovamente un governo di grande coalizione proprio con i socialisti, e Rivera ha sostenuto posizioni simili, seppur con sfumature di rinnovamento. Si intravede una sorta di fronte anti-Podemos, guidato dal PP, sostenuto da C's e teso verso il PSOE: la preoccupazione dichiarata di Rivera, che di questo fronte aspira ad essere il perno centrale, è quella di "frenare il populismo".

 

Quale populismo?

Nel caso di Podemos il populismo non è però soltanto l'accusa che arriva da un establishment preoccupato, bensì una scelta consapevole, che affonda le radici nei movimenti progressisti sudamericani. Hanno tutti avuto esperienze di studio o collaborazione con governi 'bolivariani' i cinque fondatori del partito, Pablo Iglesias, Íñigo Errejón, Carolina Bescansa, Juan Carlos Monedero e Luis Alegre Zahonero. Gli studi del segretario politico Errejón, che ha analizzato la parabola politica del movimento di Evo Morales in Bolivia, si basano su una rilettura del lavoro di Ernesto Laclau e Chantal Mouffe. Intravedendo la crisi dei socialismi negli anni '80, i due studiosi hanno provato a ripensare l'emancipazione politica a partire dal concetto gramsciano di egemonia per arrivare ad un populismo di sinistra. Nella loro lettura, ogni società è attraversata da tensioni irrisolvibili, che possono compattarsi contro l'establishment quando quest'ultimo non è più in grado di soddisfare o disinnescare le numerose domande sociali che gli si contrappongono. Ma quest'aggregazione di forze contro-egemoniche (o "catena di equivalenze") può avvenire solo se una di esse, andando oltre la propria particolarità, si trasforma in un "significante vuoto" nel quale le altre possano riconoscersi. Solo così è possibile "costruire il popolo", che - come ogni identità politica - non preesiste alla propria articolazione: il populismo non è, secondo questa lettura, una semplice strategia di comunicazione, ma un processo di aggregazione di forze altrimenti inespresse che crea nuovi significanti politici. Secondo alcuni osservatori, la sovraesposizione mediatica di Iglesias è stato un consapevole e riuscito tentativo di fare del personaggio l'elemento coagulante delle forze politiche inespresse risvegliate dal 15M.

Fra gli interessi accademico-politici di Iglesias, d'altronde, i media hanno sempre avuto un ruolo fondamentale. Studente nella Bologna di fine anni '90, ha partecipato al movimento delle tute bianche, mettendo in luce nella sua tesi dottorale come il loro utilizzo della disobbedienza civile avesse innanzitutto la funzione di creare cortocircuiti mediatici per aprire crepe nell'ideologia dominante. Quest'ultima ha, nella lettura di Iglesias, lo stesso peso politico della nuda forza. Una simile concezione del potere rimanda naturalmente a Niccolò Machiavelli, il cui realismo immaginativo il podemita utilizza spessissimo, sia per spiegare i rapporti di forze dell'attualità politica, sia per analizzare film e serie televisive. Ed al segretario fiorentino Iglesias affianca uno dei suoi più raffinati interpreti, Antonio Gramsci. Il comunista sardo sembra essere l'autore che accomuna le diverse anime intellettuali di Podemos: ne sfoggia un adesivo sul computer Monedero, e lo cita estesamente il responsabile culturale Germán Cano. Monedero, consulente del governo venezuelano di Chávez, ha trascorso in Germania gli anni della dissoluzione della DDR, facendo di tale processo l'oggetto della sua tesi dottorale: estremamente critico con gli orrori del 'socialismo reale' e distante dall'approccio 'populista' di Laclau ed Errejón, resta forse l'anima più marxiana del gruppo fondatore, e pur essendo ora formalmente fuori della dirigenza è una delle voci più ascoltate dai militanti. Cano, attento studioso della cultura tedesca del '900, fa di Gramsci l'autore di riferimento e un testimone privilegiato per comprendere la crisi europea degli anni '20/'30, di cui mette anche in luce le numerose e preoccupanti analogie con l'attuale. 

Sfumature gramsciane sono presenti anche nei testi dei sociologi del lavoro Jorge Moruno, responsabile del discorso politico, e Jorge Lago, dell'area di cultura e formazione. Di flussi elettorali e degli strumenti di formazione del consenso si occupa invece la segretaria di analisi politica e sociale Bescansa, anch'ella collaboratrice del governo venezuelano. Più concentrato sul neo-municipalismo e sui diritti territoriali è il lavoro della segretaria alla plurinazionalità Gemma Ubasart, mentre il quinto membro fondatore, e segretario per la partecipazione, Alegre Zahonero ha costruito - assieme al suo mentore Carlos Fernández Liria - un percorso intellettuale che, recuperando nozioni kantiane e freudiane, prova fornire una lettura in chiave repubblicana del pensiero di Marx. Questa lettura è stata d'altronde criticata da Eduardo Maura, dell'area di cultura e formazione, che a sua volta ha proposto un'interessante reinterpretazione politicizzata del concetto di 'gente comune'. Come si evince da queste note, che rendono conto delle idee di solo di alcune delle studiose e degli studiosi della dirigenza di Podemos, la vita intellettuale del partito è estremamente viva e diversificata. L'intenso dibattito interno non è privo di tensioni e critiche ideologiche, e se Unidos Podemos dovesse assumere un ruolo chiave nella formazione del nuovo governo, sarà interessante vedere quali di queste istanze politico-intellettuali saranno in grado di guidare l'azione del partito.

 

Prospettive europee

Di sicuro sono infondate le paure di coloro che individuano in Podemos un nemico dell'Europa. La sfida che il partito sta lanciando al proprio paese e all'Unione Europea è quella di reinterpretare in chiave solidale e progressista istituzioni ed istanze politiche che al momento svolgono una funzione di statica reazione. Sono da leggere in questo senso il recupero del concetto di 'patria' che Podemos propone ed il suo radicale europeismo. La 'patria della gente' viene definita recuperando la memoria dei momenti migliori della storia spagnola (la II Repubblica e l'internazionalismo antifascista), difendendo le conquiste dello stato sociale minacciate dalle privatizzazioni (sanità, educazione, sistema pensionistico), creando una casa comune per esaltare le diverse nazionalità interne (basca, catalana, galiziana, ecc.) ed accogliere quelle straniere (come dimostra la rete di solidarietà 'municipale' per i rifugiati siriani che sta organizzando la sindaca di Barcellona Ada Colau). In modo simile, Podemos struttura il proprio discorso europeista, sottolineando le terrificanti discrepanze fra il sogno di Altiero Spinelli e la distopia dell'Unione attuale. Il radicalismo e il pessimismo dell'analisi, però, restano ancorati al realismo e all'ottimismo pratico dell'azione: è da leggere in questo senso la presenza del responsabile delle relazioni internazionali Pablo Bustinduy a Manchester, per la campagna referendaria in favore della permanenza del Regno Unito nell'UE. Proprio il risultato nefasto del referendum britannico sembra suggerire che laddove i popoli sono impoveriti ed abbandonati alla mercantilizzazione della vita, valori e politiche retrive prendono il sopravvento: "costruire il popolo", come Podemos sta cercando di fare in Spagna, può dunque essere un'operazione complessa e rischiosa, ma forse ogni giorno più necessaria in Europa.

È altresì vero che i governi progressisti sudamericani, a cui Podemos in parte si ispira, mostrano ora segni di cedimento: le politiche redistributive che negli ultimi quindici anni hanno contrastato i dettami economici neo-liberisti e favorito grandi progressi per le fasce più povere del continente, non hanno però potuto eradicare la corruzione, né hanno saputo immaginare un nuovo modello produttivo diverso dallo sfruttamento massivo delle risorse naturali. Il piano di Unidos Podemos sembra da questo punto di vista mostrare un potenziale vantaggio. Puntando su una radicale riconversione energetica sostenibile di un paese già avanzato, Podemos spera di ottenere diversi risultati: recuperare i posti di lavoro persi dopo l'esplosione della bolla speculativa immobiliare, diminuire i costi dell'energia, quindi combattere gli oligopoli energetici nazionali e garantire una maggiore autonomia nei confronti dei rifornimenti stranieri. Un simile piano implica ovviamente politiche neo-keynesiane di forti investimenti pubblici. Ma il debito pubblico spagnolo - cresciuto oltremisura nel quinquennio di Rajoy e per nulla arrestato dai tagli al settore pubblico - rende il paese vulnerabile nei confronti delle politiche di austerità dell'Unione Europea. Iglesias ha affermato in campagna elettorale che un attacco simile a quello subito dal governo greco non può dirigersi alla "quarta economia della zona euro", ma non è forse un caso se Tsipras e l'esperienza di Syriza siano, dal giugno passato, quasi scomparsi dai discorsi elettorali di Podemos.

Se il risultato delle elezioni di domenica permettesse a Podemos di imporsi come forza di governo, questi saranno solo alcuni dei numerosi problemi che dovrà affrontare: la crisi politica e morale dell'Europa contemporanea non può essere risolta in un solo paese, né tantomeno possono esserlo i disastri ambientali ed economici del capitalismo neo-liberista. Ma la storia europea dimostra, nel bene e nel male, che spesso l'esempio di un paese d'avanguardia favorisce il risveglio di forze dormienti nelle nazioni vicine. Non si può che salutare con speranza e partecipazione l'apparizione ed il rafforzamento di un movimento che rimette al centro dell'agenda politica le persone, le comunità e - per spaventoso che possa sembrare - il popolo.

 


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25 GIUGNO 2016