L’innovazione e i suoi processi (Minimum Fax) verrà presentato giovedì 20 ottobre alle 19.00 a Milano presso la libreria Gogol & Company
Ci sono voluti nove mesi per immaginare, costruire e lanciare la prima edizione di cheFare. Fin dalle prime ore dal lancio del bando ci siamo resi conto che l’avevamo fatta più grossa di quanto pensassimo.
«Ottanta progetti sarebbero già un bel risultato», ci eravamo detti. Ce ne hanno spediti cinquecento. «Se al voto online parteciperanno quattromila persone sarà un successo». Abbiamo ricevuto quarantaduemila voti.
Cecco e io avevamo passato buona parte del 2011 a cercare di capire come muoverci per sviluppare il «Progetto X», una piattaforma collaborativa per le comunità di attivismo digitale a Milano; avevamo provato diverse strade, ma ci eravamo incagliati in secche burocratiche e lentezze di ogni tipo.
Sentivamo che un grosso cambiamento era imminente, ma non riuscivamo a capire quale fosse il modo migliore di farne parte. Ed era evidente che la crisi economica non fosse solo un momento passeggero, e che i finanziamenti pubblici alla cultura non sarebbero aumentati per un bel po’ di tempo.
I giornali e gli altri mezzi di informazione culturale tradizionali erano percepiti sempre meno come punti di riferimento, e gli spazi istituzionali erano visti sempre più come rocche inespugnabili di autoreferenzialità.
Mentre l’auto-esilio all’estero dei più giovani cominciava ad assumere le caratteristiche e le proporzioni di un esodo, molti dei protagonisti dell’industria culturale italiana – legati a un’idea di contemporaneità ancora sostanzialmente novecentesca – non riuscivano a ragionare su nuovi paradigmi.
Eppure sapevamo che sotto la superficie visibile ribolliva un magma: un sottobosco fatto di esperimenti individuali e collettivi in cui si provava a ragionare su basi nuove, cercando, attraverso le pratiche collaborative, nuove forme di sostenibilità. Insiemi disomogenei che procedevano per prove ed errori, portando fuori dai computer i legami che si erano costruiti su forum e social network, immaginando nuovi spazi e creando nuovi luoghi.
Sapevamo, insomma, che stavano succedendo un sacco di cose interessanti, e che avremmo potuto imparare moltissimo. Il problema principale era come scovarle. Come costruire una mappatura plausibile? Come convincere tutte quelle strane creature a mostrarci quello che stavano facendo?
È stato verso la fine dell’anno, in una città in cui tutti cominciavano a prepararsi per le vacanze invernali, che una chiacchierata davanti a un caffè ha preso una piega imprevista.
«E se», mi ha chiesto Cecco, «mettessimo in ballo un premio da centomila euro per il miglior progetto culturale dal basso?»
Non ero assolutamente pronto a ragionare su quella scala. Perché non provarci? Sembrava una motivazione sufficiente per uscire allo scoperto.
Provarci ha segnato l’inizio vorticoso di una strada che stiamo percorrendo ancora oggi. In questi quattro anni abbiamo organizzato tre edizioni del premio, abbiamo girato l’Italia in lungo e in largo, incontrato migliaia di realtà diversissime tra loro in centinaia di incontri. cheFare è cresciuto, si è trasformato e probabilmente cambierà ancora. Non saprei dire se stiamo diventando grandi, ma sicuramente La cultura in trasformazione. L’innovazione e i suoi processi (Minimum Fax) è un passo importante, per noi come per chi ci ha accompagnato finora, per provare a ragionare su ciò che è stato e su ciò che potrà essere.
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