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In una segnalazione di titoli per l’infanzia pubblicata un po’ di tempo fa, avevo suggerito la lettura di un autore, Sauro Marianelli, la cui opera, pubblicata da Fabbri, Mondadori e Einaudi, era spesso adottata nelle scuole negli anni Settanta e Ottanta. Purtroppo da allora i libri di Sauro non sono stati più ristampati. Dopo quella segnalazione sono riuscito a contattare Sauro Marianelli, che ha già superato gli ottant’anni, e gli ho proposto un’intervista per il Lavoro culturale, pubblicata di seguito, con una testimonianza su scuola, storia e lettura. (E sembra anche che una casa editrice sia interessata a ripubblicare qualche sua opera).
Alberto Prunetti: La prima domanda che vorrei porti ha a che fare con la storia e le storie. Del tuo lavoro di narratore io conosco solo tre libri, “Il compagno proibito”, “Una storia nella storia” e “La mia resistenza”. In ognuno di questi tre libri vedo delle ricorrenze: l’adolescenza come rito di passaggio, una tensione verso l’amore ideale, una forte attenzione allo scenario storico dell’epoca in cui sono ambientate le vicende che racconti. Vorrei che tu mi parlassi di quest’ultimo punto: l’attenzione verso la storia, l’aderenza ai fatti storici che emerge in questi tuoi romanzi.
Sauro Marinelli: Quando a cinquant’anni Mark Twain scrisse il suo libro più famoso, si rifece alla sua infanzia per raccontare le avventure del protagonista, Tom Sawyer, e i ragazzi che lo lessero, ritrovarono se stessi, perché i costumi, cioè la storia, erano cambiati così poco in mezzo secolo da non avvertire le differenze. Quando è capitato a me con qualche libro di rifarmi alla mia infanzia, i costumi erano cambiati così tanto, che i piccoli lettori mi hanno creduto vissuto millenni addietro. Ne ebbi la prova in un incontro presso una scuola elementare di Verona, i cui alunni avevano letto il mio libro “Una storia nella Storia”, che narra in prima persona l’educazione severa del piccolo Claudio, futuro imperatore, ricevuta da sua nonna Giulia, moglie di Augusto. Per ambientarlo, lessi i maggiori studiosi della vita quotidiana di allora e mi accorsi che per tanti aspetti i costumi non erano diversi da quelli della mia infanzia, specialmente riguardo ai giochi. Anche Claudio da bambino giocava con le palline di terra cotta colorata, come giocavo io negli anni prima dell’industrializzazione. Perciò spiegai ai ragazzi che mi era stato facile ambientare il libro all’epoca della Roma antica. Quando poi si passò alle loro domande, un ragazzo mi chiese: “Ti picchiava tua nonna Giulia?” Ebbene, se qualche volta mi è presa la voglia di scrivere qualcosa di attuale, non mi è stato possibile. Il panta rei di Eraclito ha preso un andazzo tale nella nostra società che io, che per scrivere un romanzo impiego non meno di cinque anni, quando l’ho pronto per la stampa, è ineluttabilmente storico. Come potrebbe essere altrimenti, se oggi con internet sono “storici” gli stessi giornali?
A. P.: Sei stato a scuola da studente e poi da maestro, hai vissuto dentro alla scuola per un lungo periodo della tua esistenza. Mi interesserebbe ricostruire quegli anni dal tuo punto di vista, così diversi dal nostro presente…
S. M.: Frequentavo le elementari statali durante la dittatura fascista in una classe di una trentina di alunni. Ogni mattina, prima di farci sedere ai banchi, la maestra, ligia alle disposizioni del direttore, come tutte le altre maestre della scuola del nostro paese – non c’erano maestri -, ci metteva in fila e a uno a uno ci somministrava una cucchiaiata di olio di fegato di merluzzo che, stando alle sue parole, ci avrebbe fatto diventare “sani e robusti soldati del Duce”. Io non sopportavo quella sostanza appiccicosa dopo colazione e mi opponevo con tutte le forze che avevo a disposizione a quell’età: stringevo le labbra, strillavo, scappavo… ma la maestra non rinunciava al suo proposito. Mi chiedeva severa, con tono accusatorio per svergognarmi di fronte a tutti: “Tu non vuoi diventare un sano e robusto soldato del Duce?” Me ne indicava il ritratto che era appeso alla parete subito dietro la cattedra. “Sì, voglio diventare,” rispondevo io con gli occhi lassù, perché ero affascinato da quell’uomo che tutti, timorosi o plagiati dalla propaganda di partito, osannavano. “E allora,” ribatteva lei, “ devi bere l’olio di fegato di merluzzo che fa tanto bene.” Una mattina mi prese a forza e, usando il cucchiaio come leva, riuscì a farsi un varco tra le mie labbra. Appena quella sostanza appiccicosa mi arrivò alla gola, tutta la colazione di poco prima, come per vendicarmi, risalì dallo stomaco e mi uscì di bocca con una violenza così improvvisa, che la maestra, sebbene avesse fatto un balzo indietro altrettanto repentino, non poté evitarla del tutto. Mentre si puliva alla meglio, mi lanciò un’invettiva che si rivelò profetica: “Tu non diventerai mai un sano e robusto soldato del Duce!”
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