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La cosa era nell'aria da qualche tempo, ma l'avvicinarsi della data del referendum ha fatto maturare nei promotori la convinzione che fosse giunto il momento di passare dalle ipotesi al lancio di un'iniziativa politica. In un primo tempo si era parlato solo di un incontro a Bologna il 19 dicembre, cui avrebbero preso parte Virginio Merola, sindaco di Bologna, Giuliano Pisapia, ex sindaco di Milano, Massimo Zedda, sindaco di Cagliari e Gianni Cuperlo. Tra i nomi dei possibili aderenti sono circolati quelli di Giuseppe Sala, il successore di Pisapia a Palazzo Marino, e di Antonio Decaro, sindaco di Bari e attuale presidente dell'ANCI. Nella concitazione degli ultimi giorni dello scontro sul referendum la notizia è passata inosservata. All'indomani del risultato, e della sonora sconfitta del "sì", due dei promotori sono tornati a farsi vivi. Prima Merola, rilasciando un'intervista molto critica sul modo in cui Renzi ha gestito la campagna referendaria. Poi Pisapia, con un'altra intervista, meno polemica nei confronti dell'attuale segretario del PD e Presidente del Consiglio dimissionario, da cui si apprende che ci sarà anche un altro incontro, a Roma il 18 dicembre. Le ragioni dei promotori, che sono stati tutti sostenitori del "sì" al referendum, vengono spiegate dall'ex sindaco di Milano: "serve un'alleanza aperta, diamole un nome: Campo Progressista, che riunisca le forze di sinistra in grado di assumersi una responsabilità di governo. Non per motivi di potere ma per fare le cose di sinistra. Intendiamoci: anche questo governo ha fatto cose di sinistra, penso alle unioni civili, ma ha dovuto fare anche altre cose che nascevano dalla necessità di arrivare a un compromesso con un partito di centro-destra. Questo non va più bene". La prospettiva è quella delle prossime elezioni politiche, nelle quali, afferma Pisapia, il PD dovrà scegliere tra un'alleanza con forze di centrodestra, come ha fatto il Governo Renzi nei mesi scorsi, oppure guardare a sinistra. Tuttavia, perché uno schieramento vincente di centrosinistra sia possibile, bisogna farsi trovare pronti. Di qui l'idea che alcuni esponenti del "sì" civico e progressista esterno al PD siano le persone più adatte a rammendare lo strappo a sinistra provocato dai toni accesi usati da entrambe le parti nella campagna referendaria.
Le prime reazioni alla proposta del Campo Progressista non sono state incoraggianti. Se all'interno del PD c'è interesse e qualche cauta apertura, dalla sinistra schierata per il "no" sono venute soprattutto bocciature senza appello. Verrebbe da pensare che la violenza - per fortuna solo verbale, ma sarebbe meglio darsi una calmata al più presto tutti - dello scontro sul referendum abbia esacerbato gli animi, e che non sia facile, quando le accuse reciproche fioccano, cambiare improvvisamente registro e cominciare a dialogare. Una spiegazione plausibile, ma forse c'è qualcosa di più del risentimento a motivare le reazioni negative. Per alcuni, infatti, potrebbe esserci la speranza - che a me pare illusoria - che il grande consenso del "no" sia il punto di partenza per costruire una qualche forma di alleanza "antagonista" per opporsi al PD renziano. Per altri, più banalmente, potrebbe avere un peso il fastidio provato per un'iniziativa che rimescolerebbe inevitabilmente le carte a sinistra del PD. Con il conseguente effetto di alterare equilibri, mettere in discussione posizioni, anche personali, di primazia, all'interno di un'area che in verità appare piuttosto disorientata. Queste preoccupazioni potrebbero diventare ancora più forti se - come è possibile - il progetto del campo progressista aggregasse anche altri esponenti di spicco di quella sinistra riformista che non condivide del tutto stile e sostanza della mutazione che Matteo Renzi ha tentato di imporre al PD da quando ne è diventato segretario. Anche tra i Democratici ci sono voci critiche, e di peso, come quella di Enrico Rossi, presidente del Consiglio regionale della Toscana. Vale la pena di ricordare, infine, che lo stesso Sala, del cui interesse per il progetto si è detto, sarebbe una presenza ingombrante per quella parte, in verità minoritaria, della sinistra milanese che scelse di non votarlo.
Pisapia e gli altri faranno un buco nell'acqua dunque? Luca Sofri, sia pure a malincuore, arriva a questa conclusione: "L'idea che ci possa essere una sinistra di sinistra, felice, unita e vincente, è come incontrare dopo tanti anni la fidanzata del liceo: prima che tu possa ragionare, qualcosa ti travolge di nuovo. Se sei solido e sereno abbastanza, dura il tempo di un abbraccio affettuoso, e poi ragioni; se no, fai pure delle cazzate imbarazzanti". Io sarei meno pessimista. Molto dipende da come andranno le prime assemblee, se ci sarà una partecipazione significativa, e l'attenzione che riceveranno dalla stampa e dai social media. Se la cosa decolla, potrebbe rafforzarsi e diventare un polo di attrazione per chi non condivide il progetto (forse dovrei dire l'istinto) neocentrista di Renzi. Specie se il sistema con cui andremo a votare dovesse premiare le alleanze.
Non c'è dubbio che una sinistra riformista e di governo diventerebbe un interlocutore più interessante per i Democratici rispetto a aggregazioni di centrodestra della cui affidabilità c'è più di una ragione per dubitare. Potrebbe anzi innescarsi una concorrenza virtuosa tra sinistra e PD sui temi dell'economia, del lavoro e del welfare, e una cooperazione fruttuosa su quelli dei diritti civili. Anche Renzi avrebbe il suo vantaggio, perché un campo progressista solido potrebbe rendere meno drammatica una separazione dall'attuale minoranza interna.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 09 DICEMBRE 2016 |