|
|
Poche parole per motivare le ragioni di questo appuntamento interdisciplinare in cui si mescoleranno le voci di filosofi, sociologi, psicologi, scienziati e studiosi di innovazione: tutte voci autorevoli che ricorrono con frequenza in Casa della Cultura ma che questa volta cerchiamo di fare confrontare e interagire direttamente fra di loro.
Da tempo stiamo invitando a ragionare sulla "grande trasformazione" (così recita il titolo scelto quest'anno per la nostra "scuola di cultura politica"). Abbiamo anche dedicato cicli impegnativi a questioni come "Le nuove frontiere della scienza" o, ancora, "I mille volti dell'innovazione".
Insomma, ci siamo convinti che siamo in una fase di profondo, radicale cambiamento che coinvolge - e sempre di più coinvolgerà - tutti gli aspetti della vita umana. Il nostro primo compito è segnalare e mettere a fuoco la rilevanza di quanto sta accadendo. Magari anche dedicandovi una ricorrenza per noi importante come un anniversario della fondazione di questo centro culturale.
Il nostro primo problema - ed è anche la prima sollecitazione che rivolgiamo ai nostri interlocutori - è cercare di conoscere e di capire quanto sta accadendo. Probabilmente - o almeno questa è l'ipotesi che sottoponiamo a discussione - sono due i fattori di cambiamento che stanno sospingendo questa "grande trasformazione": la globalizzazione liberista e l'innovazione tecno - scientifica.
Questa globalizzazione sta provocando l'emersione economica e demografica di nuove parti del globo, sta, a quanto sembra, ridimensionando il ruolo dell'Occidente e sta disegnando nuovi equilibri geopolitici.
L'innovazione scientifica e tecnologica, dal canto suo, sta moltiplicando le conoscenze. Con alcuni rami scientifici - il digitale, le nanotecnologie, le biotecnologie, la robotica, le neuroscienze -che stanno avendo sviluppi esplosivi. All'orizzonte si cominciano ad intravedere anche le potenzialità dirompenti connesse all'ibridazione di queste ricerche e conquiste scientifiche. Per capire di cosa stiamo parlando basti pensare a quando, una decina di anni fa, Apple riuscì ad ibridare computer e telefonia cellulare: da allora nella comunicazione nulla è stato più come prima. Ora il digitale applicato alle scienze della vita ha reso possibile l'immissione sul mercato di un software a poco prezzo, il Crispr/ Cas 9 che permette di intervenire sul DNA di ogni essere vivente: è proprio il caso di parlare, senza timore di enfasi improprie, di scenari nuovi che si stanno aprendo. In realtà già ora protesi nuove, sempre più potenti e versatili, stanno entrando nel nostro immaginario e in parte nella nostra realtà, dalle auto senza pilota ai robot di uso quotidiano fino all'utilizzo di sempre nuovi materiali.
Notiamo bene: i due fenomeni, la globalizzazione e la nuova ondata di innovazioni tecnologiche, si intrecciano e si potenziano l'un l'altro. Le nuove tecnologie hanno reso possibile e sempre più pervasiva questa globalizzazione e, viceversa, è la stessa globalizzazione che moltiplica la produzione e la circolazione della conoscenza. È questo intreccio, probabilmente, che accelera e radicalizza i cambiamenti e che ci costringe a mettere a fuoco l'idea che ci troviamo sul limite di un passaggio epocale.
Alcune conseguenze di questi processi sono davvero dirompenti e problematiche: pensiamo al riscaldamento globale oppure, ancora, agli immensi movimenti di popolazione, due fenomeni che, sommati l'uno all'altro, stanno ridisegnando lo spazio globale.
Le conseguenze toccano però in profondità aspetti essenziali della vita di tutte le società e su questo davvero c'è bisogno di discutere con attenzione e di scavare in profondità. Pensiamo, per limitarci a qualche cenno, all'emersione di nuovi e giganteschi poteri - i nuovi poteri finanziari e i big data; a come si sta modificando il sistema produttivo e a come si sta ridisegnando e redistribuendo il lavoro; oppure ancora alla disintermediazione che sta riplasmando tante dinamiche sociali. Per non parlare dei cambiamenti che toccano e modificano la vita delle singole persone: pensiamo, fra tutti, a come si sta modificando la riproduzione stessa della vita umana.
È dentro questo scenario che si stanno ridisegnando la composizione sociale e le relazioni fra i gruppi e le classi sociali: dappertutto si segnalano la crescita delle disuguaglianze e nuove dinamiche nella vita pubblica e nella stessa lotta politica. Da questo punto di vista l'emersione dei populismi può essere letta, probabilmente, come il segnale di una riorganizzazione del campo stesso della politica. E, notiamo bene, essi non riguardano solo gli Stati Uniti di Trump e i paesi della vecchia Europa. È un populista anche Modi che governa in India per non parlare dell'indecente Duterte che imperversa nelle Filippine. Insomma, sembrerebbe possibile tracciare una linea diretta fra i populismi nazionalisti - xenofobi - mediatici e questi sommovimenti: quello che stiamo vivendo, con ogni probabilità, è un fenomeno non di breve durata, un riassetto profondo delle modalità della lotta politica.
Veniamo allora alla questione essenziale su cui ragionare e discutere: questa "grande trasformazione" sembra aprire opportunità inedite, ma porta con sé anche tanta incertezza e insicurezza. Come possiamo orientarci in essa? Di certo è ormai alle spalle la facile euforia degli anni Novanta, quella alla Fukuyama per intenderci, che cantava le nuove "magnifiche sorti e progressive". Quel pensiero, in quel momento talmente potente e pervasivo da apparire "unico", con la sua ingenua fiducia nelle forze impersonali del mercato, sembra oggi lontanissimo. Davanti a noi c'è uno scenario aspro, incerto, contraddittorio. Sembrano tornare quelle alternative, semplici e radicali, che Umberto Eco, ragionando sull'incipiente modernizzazione del paese, aveva brillantemente sintetizzato nell'alternativa tra apocalittici e integrati.
A noi, più semplicemente, sembrerebbe opportuno mettere l'accento sullo sguardo critico: per evitare l'alternativa paralizzante tra l'apologia o la demonizzazione del cambiamento si tratta di imboccare con tenacia la strada del pensiero critico. Con in mano - questo dovrebbe essere il nostro compito - la bussola di un umanesimo illuministico. Un anno fa, in occasione del nostro Settantesimo, avevamo proposto questa espressione - umanesimo illuministico - presa di peso da un testo di Antonio Banfi. La riprendiamo anche ora perché ci sembra di cogliere nel razionalismo critico banfiano qualcosa di ancora vivo e pulsante: la sua proposta di "uomo copernicano" può aiutare ad orientarci in mezzo a tutte queste innovazioni. Essa ci offre una traccia per spostare l'accento dalla ineluttabilità, dalla necessità, dalla passività alla scelta libera e responsabile.
Un ultimissimo spunto prima di dare la parola ai nostri interlocutori: nel titolo di questo incontro abbiamo evocato il concetto di futuro. È una scelta non scontata: essa segnala il bisogno di staccarsi dall'immersione nel presente assoluto, di tornare a guardare in avanti, non come qualcosa che accade inesorabilmente e di cui possiamo solo prendere atto, ma come una scelta, un possibile progetto. Un progetto, vorrei aggiungere (ultima riflessione) che non è gestibile da una singola persona, da un individuo isolato. Il tema stesso del futuro evoca di per sua natura una cooperazione solidale: le grandi questioni della giustizia e dell'uguaglianza si riaffacciano inesorabilmente alla nostra riflessione.
Il nostro compito, alla fin fine, è fare circolare idee, tentare anche di connetterle tra di loro, provare - come ci piace dire - a tessere un filo delle idee. Per ricostruire almeno i presupposti di una nuova narrazione.
In mezzo a tanti cambiamenti in questi anni sembra essersi dissolto ogni ragionamento sui fini, detto altrimenti: sul dove indirizzare il nostro cammino e i nostri sforzi. Un buon uso del pensiero critico potrebbe aiutarci proprio a ricostruire l'idea di un percorso per il quale valga la pena di rinnovare il nostro impegno razionale e la nostra passione civile. © RIPRODUZIONE RISERVATA 18 MARZO 2017 |