Mauro Bonazzi  
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FATTI ALTERNATIVI


Se le parole vengono usate per intossicare, non per chiarire



Mauro Bonazzi


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Pubblicato il 19 Febbraio 2017 su La Lettura n 273
Illustrazione di Ciaj Rocchi e Matteo Demonte

Accertare la verità di una circostanza è molto importante ma non sufficiente, notavano Pericle e Protagora, perché ogni evento si collega ad altri e la realtà è sempre plurale. Questo permette ai manipolatori di alimentare equivoci e diffondere falsi. L'unico antidoto è rafforzare l'istruzione.

Gli avvocati lo sanno per lavoro; gli altri lo capiscono quando reclamano giustizia in tribunale. I politici, anche se fingono di no, lo sanno benissimo. Agli Ateniesi invece lo aveva spiegato Pericle, che a sua volta lo aveva imparato dai sofisti. Si ripete sempre che nella realtà contano solo i fatti; che l'accertamento dei fatti basta per stabilire che cosa è giusto e che cosa è sbagliato. Ma non sempre è così. Il triangolo ha la somma degli angoli interni pari a 180 gradi, la Terra ruota intorno al Sole: questi sono fatti incontrovertibili, che nessuno può permettersi di negare. Nel mondo degli uomini, però, i fatti, da soli, non significano nulla.

Ad Atene si conservava memoria di quella volta in cui Pericle e Protagora avevano perso un'intera giornata in una discussione senza senso. Durante una gara un tizio aveva colpito un'altra persona, uccidendola. Cosa c'era da discutere? Tutti avevano visto, il fatto era certo. E invece loro erano stati lì, cercando di distinguere tra causa e responsabilità, valutando quello che era successo: era stata colpa di chi aveva lanciato il giavellotto o degli arbitri? O forse anche della persona che era morta? Avevano parlato persino del giavellotto. Chiacchiere inutili, pensavano gli Ateniesi sorridendo. Quando si trattava di affrontare Pericle, però, non ridevano più. "Ogni volta che riesco a buttarlo in terra lottando - aveva osservato uno dei suoi più accaniti avversari, Tucidide figlio di Melesia, da non confondere con lo storico - lui contesta di essere caduto, si fa aggiudicare la vittoria e convince persino coloro che lo hanno visto cadere". Ci sono i fatti, ovviamente. Ma - come nei tribunali così in politica - i fatti da soli non dicono niente: devono essere spiegati e valutati. Ci sono i fatti e le interpretazioni, insomma. Di questo parlavano Protagora e Pericle. Protagora lo aveva anche scritto, in un discorso dal titolo altisonante, Verità (in greco Aletheia). Affermava che la Verità al singolare non esiste: per ogni fatto, diceva, ci sono sempre due discorsi contrapposti. Lo avesse scritto oggi, lo avrebbe intitolato Post-verità.

Non sono tesi piacevoli da ascoltare, e ad Atene erano in molti a condividere le accuse di Aristofane, quando lamentava che la diffusione di queste idee avrebbe portato la città alla rovina. Ma Protagora non aveva tutti i torti. Accertare la verità di un fatto, vale sempre la pena di ripeterlo, è importantissimo. Ma non è sufficiente, perché nel mondo degli uomini i fatti non sono mai isolati. Tutto è in relazione con tutto, e il problema è appunto quello di dover gestire questa miriade di fatti, una rete di eventi e azioni che s'intrecciano e confondono, rendendo tutto ambiguo e complicato.

È un fatto che in questi ultimi tempi stiamo assistendo a fenomeni di migrazioni davvero imponenti. È un fatto, come spiegano geografi e storici, che queste migrazioni possono produrre conseguenze positive, ed è un fatto che sono causa di grandi problemi e disagi. È un fatto che in Italia la presenza di immigrati è inferiore rispetto a quella di molti altri Paesi europei; ed è un fatto che in Italia l'arrivo di questi migranti è stato più impetuoso che altrove. È un fatto la globalizzazione, ed è un fatto la crisi del lavoro… I fatti sono molteplici, così come lo sono i giudizi delle persone, tutti legittimi, che cercano di mettere ordine in questa complessità. Non esistono punti di vista privilegiati. La verità al singolare non esiste, spiegava Protagora, perché la realtà è plurale ed è sempre rifratta dalle esperienze degli uomini.

Così è la democrazia, e non sempre è facile. È come se improvvisamente fossimo entrati nella fase della maturità, finalmente autonomi, liberi dalle imposizioni esterne. Una sensazione inebriante all'inizio, di cui poi però si inizia ad avvertire il peso; e cresce magari il rimpianto del passato, quando tutto era più semplice e lineare, quando qualcuno (il padre, il re, Dio) garantiva per l'esistenza del bene e indicava la via da seguire. È a questo punto che le strade di Pericle e Protagora si separano da quelle dei politici della post-verità.

Perché quello che fanno i cattivi politici è solleticare questi rimpianti, promettendo il ritorno a un mondo in cui non è possibile ritornare. Rifiutando di riconoscere la complessità, evocano una semplicità che nella realtà non esiste. Usano le parole per nascondere i fatti, costruendo un discorso pieno di rimozioni ed esclusioni. La questione, di cui tanto si discute oggi, quella dei "fatti alternativi" nasce qui. È così che una consigliera del nuovo presidente degli Stati Uniti ha definito quelle che agli altri erano apparse, più banalmente, menzogne, ad esempio la pretesa che alla cerimonia d'insediamento di Donald Trump ci fossero più persone di quante non ci fossero state per Barack Obama. Ci sono fatti che non rientrano nel discorso semplificato di questi politici, perché rivelano che la situazione è più complicata: e per questo devono essere esclusi, sostituiti con altri "fatti" che invece si accordano con quel discorso semplificato. Se Trump è il presidente del popolo, il popolo è accorso in massa alla sua cerimonia d'insediamento. Potrebbe essere altrimenti?

È ovvio che questi "fatti alternativi" sono in molti casi falsi belli e buoni, che in quanto tali devono essere denunciati. Ma l'errore da evitare è quello di concentrarsi esclusivamente su questi "fatti alternativi", pensando che rivelarne la falsità sia sufficiente a far trionfare il bene. Pretenderlo rivelerebbe ancora una volta l'incapacità di riconoscere legittimità alle ragioni degli altri - non di Trump magari, ma di chi lo ha votato, e sono stati comunque tanti. Esprimono un punto di vista anche loro, no? Negarlo tradirebbe ancora una volta la convinzione manichea che esistono i buoni e i cattivi. La realtà è troppo complicata per essere ingabbiata in una formula o in uno slogan, quali che siano. Vale per chi si presenta come il salvatore, e vale per chi denuncia quel salvatore come la causa di tutti i mali. In fondo è una storia nota, per chi ha vissuto in Italia al tempo di Silvio Berlusconi. Un singolo fatto non spiegherà mai l'intero, la parte non sta per il tutto. Quello che importa è il disegno d'insieme. Se si è convinti che non funziona, bisogna mostrarlo.

Si obietterà: dire che il buon politico è chi fa il contrario - promuovere il confronto, tenendo conto di tutti i punti di vista, e proporre soluzioni concrete - è banale e irrealistico. Forse. Di certo, sarebbe meno irrealistico se ci si occupasse di più di ciò che davvero conta, l'istruzione e l'educazione. L'unica alternativa ai "fatti alternativi" è coltivare la capacità di ragionare e giudicare. Platone non conosceva Trump, ma il problema gli era chiaro. Ogni giorno siamo inondati da un profluvio di parole, idee, teorie, che puntano a orientare le nostre decisioni, condizionando i nostri giudizi; e quando non bastano le notizie vere se ne inventano di false. È un meccanismo perverso, perché nel momento stesso in cui si decidesse di denunciarlo, non si farebbe altro che aggiungere la propria voce al rumore di fondo, aumentando la confusione. Da una situazione così si può uscire in un modo soltanto: dotando le persone di strumenti che permettano di giudicare quello che viene loro propinato. Nel mondo delle opinioni, in cui volenti o nolenti ci troviamo, il confronto è obbligato: dopo non resta che lo scontro violento. E il confronto passa per la capacità di valutare le opinioni: ci sono le opinioni motivate, e quelle campate per aria. Viviamo in un mondo incerto, ma le opinioni non sono tutte uguali. Per questo l'istruzione è così importante: perché ci insegna a usare correttamente le parole, e dunque a ragionare - che poi altro non significa che imparare ad affrontare la complessità. Occorrono pazienza e fiducia, e anche questo può sembrare ingenuo. Se s'investisse un po' di più nell'istruzione lo sarebbe di meno, molto di meno. Converrebbe a tutti.

I fatti, da soli, significano tutto e il contrario di tutto. Certo. Ma non per questo li si può trascurare, come se con le parole potessimo fare quello che vogliamo. Perché le parole, scriveva Gorgia, sono come un farmaco. Se usate bene sono utili: aiutano a costruire un rapporto vantaggioso con le cose e con gli altri. Ma se usate male intossicano. E le parole si usano male quando vengono impiegate per scappare dalla realtà. Con il rischio di finire nella stessa situazione in cui si era ritrovato colui che forse è stato il più grande esperto di comunicazione. Era il 31 marzo 1945: Berlino era ormai assediata dalle armate sovietiche, mentre il fronte occidentale era crollato su pressione delle truppe anglo-americane. Joseph Goebbels, il potentissimo Ministro della propaganda, aveva avuto un lungo colloquio con Adolf Hitler, l'uomo della provvidenza, la guida infallibile, che gli aveva spiegato ancora una volta il suo disegno, assicurando che la situazione si sarebbe presto risollevata. "Sì, hai ragione. È tutto giusto quello che dici. - Goebbels aveva scritto sul suo diario - Ma i fatti dove sono?".

 

 

 


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19 MAGGIO 2017