Ogni volta che mi accosto a Orhan Pamuk so che devo prepararmi a un un viaggio bellissimo e impegnativo, anche sentimentalmente. Questa volta venivo dalla lettura dell'ultimo libro di Javier Cercas, "Il sovrano delle ombre", che mi aveva un po' lasciato l'amaro in bocca perché è un libro che promette di più di quel che dà.
Non sono un lettore di romanzi specializzato, sono uno che più semplicemente legge romanzi neppure tanto spesso perché preferisco saggi di politica, ahimè! Però leggo romanzi. Che cosa non mi aveva convinto nel libro di Cercas? Cercas è geniale nella ricostruzione di eventi della storia passati a un setaccio prima documentale poi sentimentale che ti fanno capire la Spagna franchista e post franchista ma parlano anche a noi, soprattutto perché introduce il tema del mondo dei vinti, anche se in Spagna ci sono voluti decenni per trasformare i torturatori in vinti. Cercas è uno storico moderno che scrive romanzi, è uno storico delle piccole cose, delle piccole persone che racconta minuziosamente dentro lo sfondo della vita della nazione. Poi c'è stata l'apoteosi dell'' "Anatomia di un istante" in cui il film del golpe di Tejero era assai più bello nella lettura di quanto potesse essere su pellicola o sul materiale in cui si imprimono le immagini oggi.
Questo ultimo libro è la ricerca della storia minima di uno zio franchista, morto dalla parte sbagliata e avrebbe potuto parlare a molti di noi, ormai in età, che hanno avuto parenti che hanno combattuto dalla parte sbagliata. L'operazione di Cercas questa volta non riuscita. Non sempre si riesce a scrivere un capolavoro.
Orhan Pamuk, invece, ci andato molto vicino. Non racconto la storia perché nel finale riserva una sorpresa, peraltro prevedibile, ma che non voglio togliere al lettore. Siamo però di fronte a uno di quei capolavori di scrittura che ti danno la misura della grande letteratura. Cominciamo, infatti, dalla scrittura. Pamuk ci ha abituato a una scrittura quasi didascalica in cui sentimenti, storie intricate trovano uno sbocco nell'uso magico della lingua. Qui il racconto traccia una vita intera, anzi la vita di più d'uno, salta da una parte della Turchia ad una altra, introduce a diversi periodi storici. Però il racconto ha un tono basso come una corda tesa nell'ultimo aggancio senza saltare il quale non vai da nessuna parte.
Cem, il protagonista, lo troviamo ragazzo, figlio di un farmacista comunista che lascia lui e sua madre talvolta perché incarcerato e altre volte perché innamorato di compagne di partito. Cem sceglie di andare con uno cavafossi su una collina non lontana da Istanbul per guadagnare denaro, guardare le stelle la notte e trovare un padre visto la fuga di quello naturale.
Scavare pozzi per cercare acqua è un'impresa feroce, fondata sulla fortuna ma anche sull'intuito di chi sa che l'acqua è proprio lì dove si bucherà la terra per decine di metri. Poi accade qualcosa e Cem lo ritroviamo adulto sposato e imprenditore edile che si riavvicina a quel pozzo dove scavando era successa una tragedia. La sua vita è segnata dall'incontro con una attrice rivoluzionaria, la donna dai capelli rossi del titolo, che diventerà da amante segreta di una notte, presenza decisiva nella parte finale della sua vita. Mi fermo qui.
Il tema è però quello del rapporto padre-figlio sia nella versione raccontata da Sofocle sia nel racconto rovesciato della tradizione orientale dove Rostam, eroe della mitologia persiana, uccide il figlio Sohrab.
Cem e sua moglie, senza figli e ricchissimi per via di riuscite speculazione immobiliari, vanno in giro per il mondo a cercare edizioni del "Libro dei re" scritto nel X secolo dal poeta Ferdowsi perché la storia di Rostan e Sohrab li rimanda sempre a quella di Edipo.
Questo viaggio fra cultura greca e persiana, è il tratto di maggiore eleganza e bellezza del libro anche perché viene calato non artificiosamente nella storia ma è un pezzo della storia, come vedrà il lettore nel finale sconvolgente.
La Turchia di Pamuk è un paese vicino a noi pur essendo così diverso, il dialogo con quella cultura dà l'idea di una Europa che ha accettato in secoli di storia le differenze anche abissali che ci dividono.
Non è la Turchia delle cronache politiche odierne. Già in "Neve" Pamuk aveva raccontato lo scontro irrisolvibile fra occidentalismo e tradizione. Qui, ne La donna dai capelli rossi, siamo di fronte a una fusione incredibilmente ben riuscita fra romanzo che traduce la storia profonda di un popolo, le altre radici letterarie e, infine, ma non meno importante il carattere universale delle grandi storie di amore. Pamuk aveva raggiunto il massimo con il Museo dell'innocenza dove la sofferenza d'amore era portata fino alla follia, qui la sofferenza d'amore si ammanta di realismo, persino di opportunismo ma sconvolge la vita umana soprattutto quando l'amore per una donna cede il passo al rapporto complesso con un figlio.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 24 MAGGIO 2017 |