Il lavoro è, in prima accezione, ‘applicazione di energia per il conseguimento di un fine’. Questa definizione abbraccia sia di ‘lavoro umano’, sia il ‘lavoro di una macchina’. Ma, allo stesso tempo, il lavoro è, per noi donne e uomini, una imprescindibile parte costitutiva della nostra vita. Il lavoro è piacere, manifestazione di sé, costruzione del mondo.
Fino ad un recente passato questo doppio senso del lavoro era riconciliato dal fatto che qualsiasi tipo di lavoro comportava necessariamente l’attiva presenza umana. Ciò non è più vero. Ogni tipo di ‘lavoro umano’, si afferma, può essere sostituito dal ‘lavoro’ di una macchina. Dobbiamo considerare quindi un nuovo scenario, nel quale è possibile -e secondo alcuni attori sociali auspicabile- un ‘lavoro senza l’uomo’. Non solo: dobbiamo prepararci a un possibile futuro nel quale macchine lavoreranno autonomamente, autoregolandosi in modo del tutto indipendente dall’uomo.
Spinti, o costretti da derive tecnologiche, economiche, finanziarie, ideologiche, abbiamo l’opportunità di guardare con sguardo libero da pregiudizi al presente ed al futuro. Non serve chiedersi cosa resti di un ‘lavoro umano’ inteso così come lo conoscevamo. Si tratta piuttosto di chiederci ‘cosa sta diventando, come sarà il lavoro umano’.
29 settembre, ore 18-20
1. Il lavoro come affermazione di sé
Il lavoro è manifestazione irripetibile della persona: è quindi segnato da genere e differenze. Il lavoro è affettività, dono, frutto di un atteggiamento etico, manifestazione di pulsioni, autocreazione.
Possiamo assumere che l’essere umano desidera impegnarsi nel lavoro. Ma dobbiamo chiederci come possa il lavoratore mettere in campo sé stesso in un presenza di tecnologie che impongono distanza e separazione tra il lavoratore e l’oggetto del lavoro.
Dobbiamo chiederci dove sta l’essenza del lavoro umano, in un quadro dove interessi e poteri sembrano considerare sempre meno rilevante il lavoro umano.
Francesco Varanini e Ferruccio Capelli conversano con: Franca Olivetti Manoukian Enzo Spaltro
6 ottobre, ore 18-20
2. Vecchie e nuove fabbriche, vecchie e nuove aziende
Ci troviamo di fronte all’imposizione di un nuovo terreno: piattaforme digitali totalmente progettate, dove l’essere umano, cittadino e lavoratore, rischia di perdere la propria libertà. Cittadinanza e lavoro sono ridotti a ‘spazi di utenza’ già definiti, rispetto ai quali sembra negato lo spazio di azione sociale e di negoziazione.
Ma anche dietro il cloud o nuvola nella quale operano le imprese ‘digitali’, continuano ad esistere, in qualche luogo del pianeta, data center, dove sono ospitati server, macchine sulle quali si appoggiano i dati.
Allo stesso modo, dietro a qualsiasi prodotto o servizio materiale o immateriale, esiste, in un luogo vicino a noi o remoto, in un luogo visibile o invisibile, una fabbrica. Sono fabbriche i luoghi dove si producono beni materiali. Sono fabbriche i luoghi dove si producono servizi, come i call center. In ogni fabbrica si assiste alla sostituzione del lavoro umano con il lavoro svolto da macchine e robot.
Eppure, le piattaforme digitali possono anche essere intese come spazi di libertà, terreno sul quale affermare nuovi diritti. Possiamo anche prefigurare una ‘azienda digitale’ intesa come luogo di incontro di interessi diversi, spazio di compartecipazione.
Francesco Varanini e Ferruccio Capelli conversano con: Anna Grandori, professore di organizzazione aziendale Luciano Pero, consulente e ricercatore
20 ottobre, ore 18-20
3. Il lavoro senza luogo e senza tempo
C’è un ‘lavoro umano’ che conosciamo: un lavoro che ha un luogo e un tempo.
Un luogo dove ‘si va a lavorare’ Dove i lavoratori si ritrovano insieme, e dove emergono forme di solidarietà. Un ‘tempo di lavoro’, che lascia ‘tempo libero’. Un tempo che è misura del valore del lavoro. Un tempo che permette di individuare un limite al di là del quale possiamo parlare di ‘sfruttamento’, e che è la base consueta degli accordi contrattuali.
Ci troviamo di fronte oggi ad un lavoro che ci appare privo di luogo -l’uomo si trova a lavorare in luoghi privi di radicamento nel mondo, ‘luoghi digitali’. Il lavoro è continuamente de-localizzato, in aree geopolitiche scelte di volta in volta in funzione della compressione del costo. L’uomo vive in un luogo, ma l’offerta di si sposta continuamente in luoghi diversi.
Con la separazione del lavoro dal luogo, sembra venir meno la ‘fedeltà al proprio lavoro’, e sembra scomparire la dimensione sociale del lavoro: ogni persona è isolata. Ma una nuova affermazione di sé ed una nuova socialità possono essere cercate nei ‘luoghi digitali’.
Ci troviamo di fronte ad un lavoro privo di tempo: tende a perdere senso la nozione di orario di lavoro, tende a scomparire la segmentazione della vita in periodi esclusivamente dedicati allo studio, al lavoro, alla pensione. Tende a scomparire il confine tra ‘tempo di lavoro’ e ‘tempo libero'; tra ‘tempo pubblico’ e ‘tempo privato’.
La nuova situazione digitale -lavoro senza tempo e senza luogo- ci offre l’opportunità di ripensare le stesse situazioni di lavoro che oggi viviamo.
L’esperienza femminile mostra i limiti di queste separazioni: il tempo vissuto lontano dal luogo di lavoro non è tempo libero, ma tempo dedicato al lavoro domestico e di cura.
Si può così anche superare l’equivoca nozione di ‘tempo libero’ che è, nelle intenzioni di qualche attore politico-economico, nient’altro che tempo che l’essere umano dovrebbe dedicare ad un altro lavoro: ‘il lavoro del consumatore’.
La scomparsa della divisione ‘tempo di lavoro’ e ‘tempo libero’ può essere intesa come nuova libertà. La nuova situazione apre la possibilità di pensare il lavoro come attività svolta da donne e uomini durante l’intero arco della propria vita.
Francesco Varanini e Ferruccio Capelli conversano con: Sergio Bologna, ricercatore sociale Anna Maria Ponzellini, sociologa Giuseppe Vincenzi, informatico e artista
27 ottobre, ore 18-20
4. Lavoro senza remunerazione e remunerazione senza lavoro
Una consolidata tradizione ci porta a considerare che possa essere definita ‘lavoro’ solo una attività remunerata tramite compenso in denaro. Ma siamo di fronte ad progressiva contrazione dell’offerta di lavoro remunerato tramite compenso in denaro.
Alla scarsità di lavoro adeguatamente compensato in denaro, corrisponde necessariamente l’affermazione di modalità diverse di remunerazione monetaria dei cittadini, slegata da attività lavorative.
C’è il lavoro la cui remunerazione in denaro appare sempre più ridotta, ci sono le varie manifestazioni di lavoro non remunerato: conosciamo bene il lavoro domestico della donna, conosciamo il lavoro volontario. Crescono d’altra parte le forme di ‘economia circolare’, dove il lavoro è remunerato con controprestazioni.
Possiamo osservare che l’uomo che in ogni caso lavora; si impegna in una attività. Possiamo tornare a chiederci in cosa consista l’ozio. Possiamo considerare forme di ‘lavoro’ le spesso faticose attività svolte nel ‘tempo libero': ad esempio attività sportive.
Ci troviamo così a porre nuova attenzione al lavoro ricompensato in modo immateriale: il lavoro svolto in un quadro di economia del dono, gratuità; il lavoro svolto per affermazione di sé, contraccambiato da reputazione, pubblico riconoscimento. Ci troviamo anche a chiederci, di fronte a queste manifestazioni del lavoro, dove stia il limite dell’investimento personale, dove stia la giustizia sociale.
Francesco Varanini e Ferruccio Capelli conversano con: Sandro Antoniazzi, leader storico del movimento sindacale Marilena Ferri, Direttore Risorse Umane Gruppo Autogrill
da francescovaranini.it © RIPRODUZIONE RISERVATA 25 AGOSTO 2017 |