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Riparte con un articolo di Veronica Pujia sulla mai risolta questione della casa la rubrica di Città Bene Comune dedicata alle letture sui temi della città, del territorio, del paesaggio e alle relative culture progettuali. E riprende per il terzo anno consecutivo, dopo un 2017 che ha visto la pubblicazione - sul sito web della Casa della Cultura e, a breve, in un'edizione digitale - di 58 articoli: testi scritti nella stragrande maggioranza dei casi appositamente, e per pura passione divulgativa, per Città Bene Comune da 47 autori (1), incentrati su 41 libri (2) dati alle stampe tra il 2015 e il 2017 da 29 editori piccoli e grandi (3). Un'attività, questa online, di promozione culturale a cui si sono affiancati: i consueti incontri di maggio - quattro, dedicati ai temi di altrettanti libri e con i rispettivi autori (Ivan Blečić e Arnaldo Cecchini, Cristina Bianchetti, Alberto Clementi, Giancarlo Consonni) il cui lavoro ogni volta è stato commentato e pubblicamente dibattuto da tre discussant (4) -; una conferenza - la prima di un ciclo che avrà cadenza annuale - di Salvatore Settis intitolata Politiche della bellezza: Europa, Italia, introdotta da Salvatore Veca e curata da Oriana Codispoti; e l'autoritratto di Edoardo Salzano a cura di Elena Bertani, anche questo il primo di una serie di video-narrazioni di protagonisti dell'urbanistica italiana che nei prossimi mesi si arricchirà di nuovi filmati. Queste in sintesi le attività di Città Bene Comune nel 2017 che hanno registrato una buona partecipazione di pubblico - per gli incontri in sede - e di lettori attenti per le rubriche online. Attività di cui tuttavia pare utile a questo punto chiarire il senso, definire i limiti, immaginare le prospettive future.
Il primo obiettivo di Città Bene Comune - nata per quanto riguarda gli incontri pubblici nel 2013 e per quanto attiene la rubrica su questo sito web alla fine del 2015 sulla scia di un'attività di divulgazione culturale dedicata ai temi dell'urbanistica e dell'architettura che alla Casa della Cultura di Milano aveva allignato fin dalla sua fondazione nel secondo dopoguerra (5) - è quello di contribuire a stimolare un dibattito pubblico sui temi della città (intesa come fatto fisico, sociale, economico e politico), del territorio, del paesaggio e dell'ambiente. Questo nella convinzione che - pur nell'indeterminatezza semantica di questi sostantivi che nel corso del Novecento ha generato, e genera tuttora, sovrapposizioni e contraddizioni di significati al punto da indebolirne il senso e con questo le azioni culturali, politiche e progettuali ad essi rivolti - queste entità (città, territorio, paesaggio, ambiente) debbano essere considerate per quanto possibile un bene comune la cui fruizione e gestione non può che avvenire, almeno in linea di principio, responsabilmente da parte di ciascun cittadino e, in ogni caso, facendo in modo che l'interesse collettivo prevalga su quello individuale. Le questioni che su questo fronte la nostra società si trova ad affrontare - o, meglio, che dovrebbe affrontare ma che spesso sostanzialmente ignora - sono infatti di una tale entità da imporre un'azione culturale che, per quanto possibile, vada nella direzione di favorirne una diffusa consapevolezza, ineludibile premessa a qualsiasi scelta o per la ricerca di qualunque soluzione. Si pensi, per fare qualche esempio, a quanto quel droit à la ville rivendicato da Henri Lefebvre fin dal 1968 per molti continui a essere una chimera tanto che anche il soddisfacimento di bisogni essenziali come quello della casa per le fasce sociali più svantaggiate - giovani, anziani, padri o madri separati ma anche ampi settori di quella che una volta era la classe media - appare decisamente difficoltoso. Oppure si pensi al problema dell'inquinamento ambientale - dell'acqua, dell'aria, dei suoli per non dire di quello acustico e visivo - e agli impatti che questo ha sulla salute pubblica con situazioni di vera e propria emergenza in alcune città e aree del Paese. Al fenomeno della dispersione dell'edificato sul territorio e a tutto ciò che comporta in termini di consumo di suolo - e dunque di alterazione degli equilibri idrogeologici o di riduzione delle superfici agricole e con esse della capacità di autosostentamento delle comunità -; di dissipazione di tempo ed energie in spostamenti sempre più lunghi; di sostenibilità economica per le pubbliche amministrazioni riguardo la gestione di reti stradali, idriche, fognarie o dei trasporti pubblici estese e irrazionali; di distruzione di mirabili paesaggi sedimentati nei secoli e con essi di cultura e di identità. Favorire un dibattito pubblico su questi temi per Città Bene Comune è dunque un preciso dovere etico e civile, un modo per offrire un seppur limitato contributo alla soluzione di questi e altri enormi problemi sul tappeto.
Il secondo obiettivo di Città Bene Comune è quello di contribuire alla formazione di una cultura urbanistica diffusa (6). Il fatto stesso di parlare di urbanistica oggi rappresenta una chiara scelta di campo. Quella di chi crede nella necessità per una società civile di prefigurare il destino delle città, del territorio, del paesaggio e dell'ambiente in cui vive e in cui vivranno le future generazioni. Di immaginarne il futuro. Di prevenirne disfunzioni, dissesti, criticità. Non è cosa così scontata come potrebbe sembrare. Questa disciplina, infatti - come altre in tutto o in parte intrecciate al progetto, alla previsione, ai tentativi di prefigurare un qualsiasi futuro - oltre alle difficoltà che incontra determinate da un contesto politico, economico e sociale che per molti versi fatica a esprimere istanze coerenti su molti aspetti della vita di ognuno di noi, sta pagando lo scotto per gli esiti fallimentari di approcci culturali o strumenti inadeguati messi in campo nella seconda metà del Novecento, quando più intense sono state le trasformazioni delle città e del territorio italiani e, più in generale, dei paesi occidentali. Ma soprattutto sta scontando la sua incapacità di offrire risposte concrete, comprensibili dalla società civile e dalla classe politica e al tempo stesso condivise dalla comunità scientifica, ai problemi che attanagliano città, territori, paesaggi e, più in generale, l'ambiente in cui viviamo. Sta cioè attraversando un periodo di crisi strutturale, caratterizzato da uno schizofrenico moltiplicarsi di teorizzazioni ed esperienze di cui non sempre sono chiari l'orizzonte culturale e tantomeno le concrete ricadute pratiche, fondate più sul tentativo di affermare l'azione di questo o quel gruppo politico o culturale che non su un qualsivoglia fondamento scientifico condiviso, oggettivamente dimostrabile. Anche in ragione di ciò, l'urbanistica sta comprensibilmente (ma non ragionevolmente) perdendo la sua credibilità nella società civile, vedendo crescere il numero di quanti sembrano considerarla un fardello che limita inutilmente l'uso della proprietà privata o le possibilità di investimento economico finanziario sul corpo della città. Lo dimostra, per fare un solo esempio, da un lato l'inarrestabile processo di indebolimento normativo dei suoi strumenti operativi in atto dagli anni Novanta del secolo scorso - di cui evidentemente né la collettività né la comunità scientifica o professionale avvertono la stringente necessità -. Dall'altro, l'incapacità di molti di quelli di nuova generazione di incidere davvero sulle realtà territoriali che dovrebbero progettare o governare. Tuttavia, parlare pubblicamente e sistematicamente di urbanistica oggi - in qualunque forma la si intenda e con qualsiasi strumento la si pratichi o si voglia praticarla - proprio in virtù della sua componente progettuale e, in particolare, di un progetto inteso come espressione di razionale volontà collettiva circa i destini dell'ambiente di vita delle comunità - comprese quelle che verranno e le specie animali e vegetali -, appare più che mai necessario per affrontare quelle ineludibili questioni a cui abbiamo fatto cenno e molte altre che sarebbe qui troppo lungo elencare.
Come abbiamo detto sopra e avuto modo di scrivere in altre occasioni (7), questi due obiettivi sono stati perseguiti - e si cercherà ancora di perseguirli - suscitando la riflessione e il dibattitto su pubblicazioni più o meno recenti. Una scelta parziale e limitante, certo, che come altre ha i suoi vantaggi e i suoi svantaggi, che tuttavia non è priva di qualche fondata ragion d'essere. A parte gli instant book, i libri sono generalmente l'esito di una riflessione di medio o lungo periodo, esprimono cioè un pensiero meditato che per sua natura dovrebbe saper costruire un ragionamento ponderato e con quel minimo di distanza critica dall'emotività che suscitano i fatti più prossimi a noi, tanto da poter essere considerati - anche oggi nell'era di Internet e dei "social" (ovvero di una comunicazione veloce, estremamente pervasiva ma destrutturata e priva di gerarchia) -, "come bussole per orientarci in un confuso presente"(8). Si è trattato, in moltissimi casi, di libri scritti (e commentati per Città Bene Comune) da intellettuali di primo piano della cultura urbanistica italiana o di discipline talvolta affini altre volte meno, in ogni caso capaci di offrire un contributo critico sul futuro della città, del territorio, del paesaggio, dell'ambiente e delle relative culture progettuali. Ma soprattutto si è trattato di una riflessione che, proprio nell'ottica del dibattito e del confronto pubblico, si è mantenuta il più possibile aperta alle differenti posizioni culturali, a una pluralità di opinioni, anche quelle non condivise da chi coordina le attività di Città Bene Comune o che possono apparire lontane dalle tradizioni della Casa della Cultura di Milano(9). Questo, un po' per sincero spirito democratico - siamo infatti convinti che i libri, e con questi le tesi che esprimono, non vadano bruciati come nei momenti più oscuri della storia ma sostenuti o apertamente criticati, in ogni caso prima di tutto letti -, un po' perché l'entità delle questioni in gioco a cui abbiamo fatto sommariamente riferimento e, al tempo stesso, la pluralità dei punti di vista che si registrano sulle stesse - anche da parte dei cosiddetti "saperi esperti", ovvero di coloro che potenzialmente avrebbero gli strumenti adeguati per interpretare la realtà - al di là delle opinioni personali di chi scrive, di chi collabora o di chi sostiene questo progetto, (tutto sommato non così importanti rispetto agli obiettivi generali), appare oggi tale da suggerire almeno cautela nell'abbracciare una posizione che a priori ne escluda altre magari sulla base della semplice appartenenza a questo o a quel gruppo politico o accademico. Piuttosto, la complessità delle sfide che la nostra società ha di fronte da un lato e la frammentarietà e la debolezza delle molte risposte che si profilano all'orizzonte dall'altro sembrano richiedere la messa in campo di strumenti capaci di separare il grano dal loglio, di far emergere dal confronto critico - come in tutte le scienze che si rispettino - ciò che di oggettivo è possibile far emergere, di attribuire a questa o a quella tesi sul futuro della città e del territorio il massimo grado possibile di razionalità e giustizia o, almeno, una parvenza di ragionevolezza ed equità tale da renderla minimamente credibile agli occhi della collettività. Insomma, si è qui preferito non tanto veicolare una qualsiasi tradizione o posizione culturale - che pure possiamo vantare e che pure ognuno di noi continua ad abbracciare per propri convincimenti culturali, politici o religiosi - ma, assai più laicamente, farsi carico di un lavoro di lungo periodo volto a gettare le basi per la formazione di un pensiero critico e di una cultura urbanistica diffusi che mettano, almeno idealmente, ogni cittadino nelle condizioni di scegliere e agire liberamente. Si è cioè fiduciosamente scelta la strada della cittadinanza: quella delle idee, delle persone che le esprimono, di quelle che le recepiscono e le rielaborano con piena autonomia di pensiero.
Questa impostazione delle attività di Città Bene Comune è ricca di potenzialità ma non è priva di limiti. L'idea di creare un ponte tra la società civile e il mondo degli intellettuali impegnati in una riflessione culturale sui destini della città, del territorio, del paesaggio e dell'ambiente - non è un caso che Città Bene Comune sia frutto di una collaborazione tra la Casa della Cultura di Milano (un tradizionale ambito di dibattito pubblico) e il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano ("una delle strutture di ricerca più importanti in Italia nel campo delle discipline della città e del territorio", si legge sul suo sito web) - pur carica di un significativo portato ideale e potenzialmente utile per creare le condizioni di un proficuo travaso di saperi, idee, istanze da un campo all'altro, appare titanica e dagli esiti più che mai incerti tanto per le difficoltà che, in generale, attraversa qualsiasi dibattito pubblico che non scivoli nel sensazionalismo, nello scandalistico, nella sommarietà della propaganda ma punti alla riflessione critica e alla sedimentazione culturale di lungo periodo, quanto per l'eccessiva proliferazione dei particolarismi nella produzione teorica di cui abbiamo detto sopra - che poi, nella sostanza, si traduce in una scoraggiante afasia rispetto alla finanche drammatica concretezza dei problemi da affrontare -. Ma, a parte questo - su cui poco si può fare se non proseguire con una certa, forse ingenua, ostinazione - ci sono limiti su cui probabilmente si può e si deve operare o, comunque, dei quali è bene essere consapevoli.
Il primo di questi riguarda il fatto che il numero di commenti e riflessioni prodotti rispetto alla quantità dei testi che sui temi di cui ci occupiamo si pubblicano in Italia e nel mondo, è assolutamente parziale, esiguo, per non dire infinitesimale. Aumentare il numero dei contributi, ovvero dare spazio a molti più commenti - e dunque idee, riflessioni, giudizi più o meno positivi, proposte - di quanto non si sia fatto finora, potrebbe essere una strada percorribile - ammesso che si trovino altre forze disponibili a portare acqua al mulino di questa impresa - ma non sembra la scelta più appropriata. La questione, semmai, è quella di scremare ciò che effettivamente ha valore e meriterebbe di essere divulgato - perché capace di suscitare nuove riflessioni, di rivelare una qualche realtà, di aprire nuove concrete prospettive - da ciò che appare poco significativo, trascurabile. Un problema che, certo, Città Bene Comune farebbe bene a porsi ma, in realtà, una questione che dovrebbe interessare in primo luogo gli istituti di ricerca, le università, ovvero tutti gli enti produttori di pensiero e ricerca perché una sovrapproduzione, scientifica o pseudo tale, rischia di annacquare il portato del lavoro serio, profondo e fondativo che in quegli stessi ambiti viene svolto. D'altra parte i meccanismi di finanziamento della ricerca nazionali e internazionali così come quelli di progressione nelle carriere accademiche hanno spesso un effetto dopante sulla produzione scientifica che non sempre va a favore della sua qualità. Selezionare ciò che nella produzione culturale e scientifica effettivamente ha valore, contenuti innovativi in termini di ricerca e conoscenze, da ciò che non ha questo carattere è una questione di cui dovrebbe farsi carico la società civile nel suo insieme, soprattutto in un periodo in cui la scarsità delle risorse a disposizione richiederebbe probabilmente una certa sobrietà e una maggiore capacità di filtraggio alla fonte.
Il secondo limite riguarda un certo grado di casualità dei libri commentati e del loro imbattersi in commentatori più o meno allineati agli autori o comunque disponibili a rappresentarne correttamente le posizioni. La prima è determinata dalla nostra capacità, limitata, di tenerci aggiornati e dai meccanismi di comunicazione editoriale - è evidente che nonostante gli sforzi, non di tutti i libri pubblicati possiamo essere a conoscenza -. La seconda riguarda il fatto che, pur sollecitando numerosi commenti e pur accogliendo nella stragrande maggioranza dei casi quelli che ci vengono proposti dai commentatori che liberamente decidono di offrire il loro contributo critico, così come le segnalazioni di pubblicazioni meritevoli di essere divulgate, risulta difficile mettere in campo una pluralità di opinioni su uno stesso testo, sui temi che tratta. Col risultato, per certi aspetti paradossale, che non sempre un libro celebrato o biasimato in un commento pubblicato nella rubrica è - almeno ai nostri occhi - oggettivamente tale. Tuttavia, se si assume che Città Bene Comune sia - come a fianco di ogni articolo viene reiteratamente scritto - un "ambito di riflessione e dibattito" non possiamo che accettare di buon grado che tra le riflessioni che settimanalmente si susseguono ve ne siano alcune che non condividiamo, che esprimono qualcosa di diverso da ciò che ci saremmo attesi e persino, come in qualche caso è successo, che stridano con i nostri principi al punto da incrinare in noi stessi la convinzione della bontà di questa operazione culturale. La rubrica Le letture di Città Bene Comune non funziona propriamente come un periodico così come gli incontri del mese di maggio non sono tradizionali presentazioni di libri. Piuttosto questi due momenti vanno intesi come un'unica arena democratica in cui convergono e si confrontano, il più civilmente possibile, opinioni, tesi, considerazioni sui temi e le questioni affrontati nei libri stessi che riguardano la città, il territorio, il paesaggio, l'ambiente, più in generale tutti noi. Non c'è né nell'uno né nell'altro caso nessuna premeditata volontà celebrativa o denigratoria. I libri sono cioè il punto di partenza per sviluppare una riflessione, un trampolino per promuovere il pensiero critico.
L'essersi rivolti, almeno in prima battuta, sostanzialmente al mondo accademico degli urbanisti per affrontare i temi di cui si occupa Città Bene Comune avrebbe potuto rappresentare, e per certi aspetti forse è stato così, il terzo limite di questa attività culturale. Se, infatti, da un lato è sembrato logico chiedere a quanti quotidianamente sono impegnati in una riflessione su questi argomenti un contributo alla loro divulgazione nelle modalità di cui si è detto, dall'altro ha inevitabilmente comportato, in alcuni casi, il rinserrarsi in ambiti tematici caratteristici di alcune cerchie culturali, il misurarsi su questioni squisitamente disciplinari, il ricorso - talvolta - a linguaggi non sempre adatti al dibattito pubblico, al confronto con i cittadini, a promuovere quella cultura urbanistica diffusa che abbiamo individuato come uno degli obiettivi principali di questa azione culturale. Ha cioè forse determinato, per certi versi e in alcuni casi, il consolidarsi di quella distanza tra la disciplina che più di altre sembrerebbe preposta (per tradizione culturale, quadro normativo, know-how) ad affrontare questi temi e la società civile, invece che colmare il divario esistente come ci si era proposti di fare. L'apertura ad altri ambiti disciplinari che si è tentato di praticare - per esempio, in questi due anni di attività online hanno scritto per Città Bene Comune - li citiamo in ordine sparso - sociologi come Giampalo Nuvolati e Giovanni Semi, storici dell'arte, dell'architettura o archeologi come Carlo Bertelli, Maria Antonietta Crippa, Salvatore Settis, politici o politologi come Piero Bassetti e Michele Salvati, architetti e professori di architettura come Jacopo Gardella, Emilio Battisti, Vittorio Gregotti, Antonio Monestiroli, Pepe Barbieri, Gabriele Tagliaventi, Gianni Ottolini e Jacopo Muzio, direttori di enti pubblici come Bernardo De Bernardinis e Riccardo Gini, giornalisti come Pierluigi Panza, economisti come Antonio Calafati e Marco Ponti, studiosi del paesaggio come Marcella Aprile e Annalisa Calcagno Maniglio, filosofi come Salvatore Tedesco, Silvano Tagliagambe, Ottavio Marzocca, Ubaldo Fadini, Raffaele Milani e Duccio Demetrio, esperti di questioni ambientali come Giorgio Nebbia e Marino Ruzzenenti, costituzionalisti come Paolo Maddalena, perfino studiosi del mondo islamico come Paolo Gonzaga - ha in qualche modo ovviato a questo problema. Si tratta, tuttavia, di una strada che andrà battuta con maggiore tenacia per andare oltre una certa episodicità dei contributi tale da consentire la costruzione un discorso di un certo respiro rispetto ai temi e le questioni affrontati.
Per concludere, Città Bene Comune è un'attività di promozione culturale della quale sono via via più chiari gli ambiti, le potenzialità e i limiti. Con il contributo di quanti hanno già collaborato con noi e di quanti riterranno utile farlo, continueremo a lavorare affinché, per quanto possibile, si amplino i primi, si esaltino le seconde e si attenuino gli ultimi.
Renzo Riboldazzi
Note 1) Oltre al sottoscritto, si tratta di: Marcella Aprile, Pepe Barbieri, Piero Bassetti, Gianni Beltrame, Carlo Bertelli, Cristina Bianchetti, Fabrizio Bottini, Sergio Brenna, Massimo, Bricocoli, Antonio Calafati, Annalisa Calcagno Maniglio, Loreto Colombo, Giancarlo Consonni, Maria Antonietta Crippa, Vezio De Lucia, Duccio Demetrio, Giuseppe Fera, Jacopo Gardella, Francesco Gastaldi, Riccardo Gini, Giuseppe Imbesi, Francesco Indovina, Franco Mancuso, Anna Marson, Lodovico Meneghetti, Giorgio Nebbia, Giampaolo Nuvolati, Federico Oliva, Gianni Ottolini, Anna Laura Palazzo, Pier Carlo Palermo, Pierluigi Panza, Gabriele Pasqui, Domenico Patassini, Bianca Petrella, Paolo Pileri, Marco Ponti, Silvia Saccomani, Michele Salvati, Enzo Scandurra, Giovanni Semi, Silvano Tagliagambe, Gabriele Tagliaventi, Salvatore Tedesco, Francesco Ventura, Andrea Villani. 2) Si tratta di: 1. Ilaria Agostini, Giovanni Attili, Lidia Decandia, Enzo Scandurra, La città e l'accoglienza, manifestolibri, Castel San Pietro Romano (RM) 2017. 2. Ilaria Agostini (a cura di), Consumo di luogo. Neoliberismo nel disegno di legge urbanistica dell'Emilia Romagna, Pendragon, Bologna 2017. 3. Alessandro Balducci, Valeria Fedeli e Francesco Curci (a cura di), Oltre la metropoli. L'urbanizzazione regionale in Italia, Guerini, Milano 2017). 4. Andrea Baranes, Ugo Biggeri, Andrea Tracanzan, Claudia Vago, Non con i miei soldi! Sussidiario per un'educazione critica alla finanza, Altreconomia, Milano 2016. 5. Giacomo Becattini, La coscienza dei luoghi. Il territorio come soggetto corale, con un dialogo tra un economista e un urbanista di Giacomo Becattini e Alberto Magnaghi, Donzelli, Roma 2015. 6. Attilio Belli, Memory cache. Urbanistica e potere a Napoli, Clean, Napoli 2016. 7. Cristina Bianchetti, Spazi che contano. Il progetto urbanistico in epoca neo-liberale, Donzelli, Roma 2016. 8. Vittorio Biondi, Milano metropoli possibile, Marsilio, Venezia 2016. 9. Antonio Belvedere, Quando costruiamo case, parliamo, scriviamo. Vittorio Ugo architetto, Officina, Roma 2015. 10. Ivan Blečić, Arnaldo Cecchini, Verso una pianificazione antifragile. Come pensare al futuro senza prevederlo, FrancoAngeli, Milano 2016. 11. Roberto Bobbio, Bellezza ed economia dei paesaggi costieri, Donzelli, Roma 2016. 12. Emanuele Bompan, Che cosa è l'economia circolare, Ed. Ambiente, Milano 2016. 13. Bertrando Bonfantini, Dentro l'urbanistica. Ricerca e progetto, tecniche e storia, FrancoAngeli, Milano 2017. 14. Renato Capozzi, Pietro Nunziante, Camillo Orfeo, Agostino Renna. La forma della città, Clean, Napoli 2016. 15. Lucina Caravaggi, Cristina Imbroglini, Paesaggi socialmente utili. Accoglienza e assistenza come dispositivi di progetto e trasformazione urbana, Quodlibet, Macerata 2016. 16. Roberto Cassetti, La città compatta. Dopo la Postmodernità. I nuovi codici del disegno urbano, Gangemi, Roma 2016 (I ed. 2014). 17. Alberto Clementi, Forme imminenti. Città e innovazione urbana, LISt, Rovereto 2016. 18. Giancarlo Consonni, Urbanità e bellezza. Una crisi di civiltà, Solfanelli, Chieti 2016. 19. Roberto Cuda, Damiano Di Simine e Andrea Di Stefano, Anatomia di una grande opera. La vera storia della Brebemi, Ed. Ambiente, Milano 2015. 20. Augusto Cusinato, Andreas Philippopoulos-Mihalopoulos, Knowledge-creating Milieus in Europe. Firms, Cities, Territories, Springer, Berlin-Heidelberg, 2016. 21. Davide Cutolo, Sergio Pace (a cura di), La scoperta della città antica. Esperienza e conoscenza del centro storico nell'Europa del Novecento, Quodlibet, Macerata 2016. 22. Lidia Decandia, Leonardo Lutzoni, La strada che parla. Dispositivi per ripensare il futuro delle aree interne in una nuova dimensione urbana, FrancoAngeli, Milano 2016. 23. Vezio De Lucia, Francesco Erbani, Roma disfatta. Perché la capitale non è più una città e cosa fare per ridarle una dimensiona pubblica, Castelvecchi, Roma 2016. 24. Andrea Emiliani, Il paesaggio italiano, Minerva, Argelato 2016. 25. Alberto Ferlenga, Città e Memoria come strumenti del progetto, Marinotti, Milano 2015. 26. Guido Ferrara, L'architettura del paesaggio italiano, Marsilio, Padova 2017 (I ed. 1968). 27. Vittorio Gregotti et al., Parco Agricolo Milano Sud. Il progetto del paesaggio periurbano, Maggioli, Santarcangelo di Romagna 2015. 28. Emilia Garda, Marika Mangosio, Caterina Mele, Carlo Ostorero, Valigie di cartone e case di cemento. Edilizia, industrializzazione e cantiere a Torino nel secondo Novecento, Celid, Torino 2015. 29. David Harvey, Il capitalismo contro il diritto alla città. Neoliberismo, urbanizzazione, resistenze, Ombre corte, Verona 2016 (I ed. 2012). 30. Serenella Iovino, Ecologia letteraria. Una strategia di sopravvivenza, Ed. Ambiente, Milano 2015 (I ed. 2006). 31. Fabio Isman, Andare per le città ideali. Piccoli gioielli architettonici nati dall'utopia, il Mulino, Bologna 2016. 32. Umberto Janin Rivolin, Governo del territorio e pianificazione spaziale in Europa, CittàStudi Edizioni, Torino 2016. 33. Arturo Lanzani, Chiara Merlini, Federico Zanfi (a cura di), Riciclare distretti industriali. Insediamenti, infrastrutture e paesaggio a Sassuolo, Aracne, Roma 2016. 34. Anna Marson (a cura di), La struttura del paesaggio. Una sperimentazione multidisciplinare per il Piano della Toscana, Laterza, Roma-Bari 2016. 35. Gianfranco Pertot, Roberta Ramella (a cura di), Milano 1946. Alle origini della ricostruzione, Silvana Ed., Milano 2016. 36. Cristina Renzoni, Maria Chiara Tosi (a cura di), Bernardo Secchi. Libri e piani, Officina, Roma 2017. 37. Marco Romano, La piazza europea, Marsilio, Venezia 2015. 38. Marco Romano, Le belle città. Cinquanta ritratti di città come opere d'arte, Utet, Torino 2016. 39. Salvatore Settis, Architettura e democrazia. Paesaggio, città, diritti civili, Einaudi, Torino 2017. 40. Warner Sirtori, Maria Prandi, Il Villaggio Ina-Casa di Cesate. Architettura e Comunità, Mimesis, Sesto San Giovanni 2016. 41. Angelo Torricelli, Palermo interpretata, a cura di Giuseppe Di Benedetto, LetteraVentidue, Siracusa 2016. 3) Altreconomia, Aracne, Castelvecchi, Celid, CittàStudi, Clean, Donzelli, Ed. Ambiente, Einaudi, FrancoAngeli, Gangemi, Guerini e Ass.,, il Mulino, Laterza, Lettera Ventidue, Maggioli, manifestolibri, Marinotti, Marsilio, Mimesis, Minerva, Officina, Ombre corte, Pendragon, Quodlibet, Silvana, Solfanelli, Springer, Utet. 4) Martedì 2 maggio 2017, Corinna Morandi, Maurizio Tira e Andrea Villani hanno discusso con Ivan Blečić e Arnaldo Cecchini del loro Verso una pianificazione antifragile Come pensare al futuro senza prevederlo (FrancoAngeli, 2016). Martediì 9 maggio, Vittorio Gregotti, Giancarlo Paba e Pier Carlo Palermo hanno discusso con Cristina Bianchetti del suo Spazi che contano. Il progetto urbanistico in epoca neo-liberale (Donzelli, 2016). Martedì 16 maggio, Patrizia Gabellini, Rosario Pavia e Francesco Ventura hanno discusso con Alberto Clementi del suo Forme imminenti. Città e innovazione urbana (List Lab, 2016). Martedì 23 maggio, Elio Franzini, Gabriele Pasqui e Enzo Scandurra hanno discusso con Giancarlo Consonni del suo Urbanità e bellezza. Una crisi di civiltà (Solfanelli, 2016). 5) Cfr. E. Bertani, Urbanistica e architettura. Il dibattito alla Casa della Cultura dal 1951 alla fine degli anni Sessanta, Id. (a cura di), Città Bene Comune 2016. Per una cultura urbanistica diffusa, Ed. Casa della Cultura, Milano 2017, pp. 20-43. 6) R. Riboldazzi, Per una cultura urbanistica diffusa. Il contributo della Casa della Cultura, in Id. (a cura di), Città Bene Comune 2016. Per una cultura urbanistica diffusa, Ed. Casa della Cultura, Milano 2017, pp. 6-19. 7) Ibid. 8) La frase è tratta dalla sinossi della rubrica Racconti di Corrado Augias, La Repubblica.it. 9) Sulla storia della Casa della Cultura, v. in part.: Ferruccio Capelli, La porta rossa. 70 anni di Casa della Cultura tra storia e storie, Edizioni della Casa della Cultura, Milano 2016.
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