|
|
È un tema su cui esiste una storiografia amplissima, ma sul quale, paradossalmente, per certi versi, continuiamo a sapere poco. O, almeno, sappiamo poco delle tante vite di quei tanti uomini e donne che la fecero. Sappiamo ovviamente molto di Longo, Amendola, Secchia, Lombardi, Pertini (ma, anche qui, le prime biografie scientifiche su di essi sono di questi ultimi anni, se non di questi ultimi mesi, così come, ad esempio, della storia dei Gap); molto degli scioperi del marzo 1943; molto dell'insurrezione del 25 aprile. Ma sappiamo poco o nulla (tranne qualche episodio particolare) sulle quasi duecento stragi nazifasciste compiute, solo a Milano e provincia, durante la Rsi. E poco o nulla sappiamo di chi è morto, della loro vita, delle loro motivazioni, dei loro ideali, delle loro scelte.
Per tutti costoro uomini e donne, possono valere le parole di Vittorio Foa in un bellissimo passaggio della sua autobiografia, Il cavallo e la torre, dove scrive della Resistenza come del 'punto alto ' della sua esistenza. Cito Foa non a caso, perché, come molti uomini del Partito d'Azione hanno attraversato tutta la storia della sinistra italiana, rappresentandone le varie istanze.
A volte mi si è chiesto (e mi sono chiesto) se nella mia vita vi è stato un 'punto alto ', un momento o una fase di piena realizzazione, un riferimento su cui misurare me stesso. Per me, come per molti della mia generazione, la memoria della Resistenza è quella di un punto alto, è una immagine di giovinezza e di speranza. Col passare degli anni quel riferimento si è come scolorito. Non so se esso ha ceduto il posto ad altri 'punti alti ' oppure se è venuto meno lo stesso bisogno di un punto forte di riferimento. Questo mi sembra più probabile: una memoria di intensa partecipazione si diluisce permeando di sé l'esistente, i valori antichi prendono forme diverse.
L'idea di un unico momento forte della vita che fissa la propria identità è forse un artificio, un tentativo ingannevole di affermare la propria continuità, la propria coerenza vitale. Certo, fra l'autunno del 1943 e l'estate del 1944, a Torino e poi a Milano, mi pare di avere vissuta una passione politica e personale molto forte (…)
Per me personalmente la Resistenza non è stata solo una passione. Essa mi ha insegnato cose che sono durate. La prima è quella del governo dal basso, che si confronta e intreccia con quello centrale, dall'alto, in una visuale integrata e integrale della democrazia. La seconda è quella del carattere politico della guerra di popolo e quindi anche del carattere politico delle lotte del lavoro (…) Su questa linea nell'estate del 1944, insieme con Riccardo Lombardi e Altiero Spinelli (e naturalmente col pieno consenso di Leo Valiani), scrivemmo al Comitato di Liberazione dell'Alta Italia una Lettera aperta del Partito d'azione che chiedeva una formale autolegittimazione del Comitato come soggetto di governo. La proposta era molto radicale perché non riguardava solo i comitati 'politici ', costruiti dai cinque partiti antifascisti, ma comprendeva anche i comitati di base, espressioni di diverse realtà sociali e quasi sempre dominati dai comunisti. La proposta fu respinta; del resto essa era ormai fuori tempo. Il governo di Roma, con il sostegno degli Alleati, il cui apporto ci era ovviamente indispensabile, aveva già ripreso in gran parte il controllo della situazione. Ma quella linea di un controgoverno dal basso e dalla periferia come struttura istituzionale, come elemento di democrazia diretta che non doveva sostituire ma doveva integrare quella rappresentativa, mi era entrata profondamente nella testa. E forse essa c'era già prima, fin da quando a venti anni pensavo alla repubblica spagnola del 1931. Nella Resistenza fui sempre agitato da questo 'bisogno di governo '. (Vittorio Foa, Il cavallo e la torre. Riflessioni su una vita, Torino, Einaudi, 1991, p. 140-141)
Direi che, da questo punto di vista valgono, ancora una volta, le distinzioni e le analisi di Claudio Pavone sulle triplici motivazioni che spinsero alla scelta della Resistenza e della lotta armata dopo l'8 settembre: tralasciando la categoria più discussa, quella della guerra 'civile ' (che indubbiamente fu metabolizzata per primi proprio dagli azionisti, da Franco Venturi a Luigi Meneghello), socialisti e comunisti condussero, nelle diverse soggettività e con diverse sfumature e inclinazioni, una guerra di liberazione nazionale e una guerra di classe. 'Libertà, giustizia sociale, amor di patria ': così Sandro Pertini, il 28 giugno 1960 a Genova, riassunse le motivazioni della scelta di resistenza dopo l'8 settembre, tema centrale del libro di Pavone. La convinzione di battersi per quei valori si accompagnò anche al desiderio di un cambiamento profondo, il 'vento del Nord ' come lo definì Nenni, un vento che però cessò di soffiare ben presto, come mostra Carlo Levi nel suo bellissimo romanzo L'orologio e che possiamo ritrovare nelle parole scritte il 14 aprile 1945, sull'Italia libera, da Riccardo Lombardi, da lì a pochi giorni Prefetto della Liberazione:
Il fascismo non fu già un incidente sgradevole che ha interrotto la continuità costituzionale dello stato, ma fu invece in larga misura il prodotto di tale stato, della degenerazione dello stato liberale e democratico di nome, ma autoritario centralizzatore prefettizio burocratico e classista di fatto. Quello stato non fu assalito da una forza ad esso estranea (il fascismo) ma ha espresso esso stesso il fascismo come prodotto ultimo della sua degenerazione. Il settembre 1943 non ha segnato solo la decomposizione dello stato fascista, ma anche dello stato prefascista. © RIPRODUZIONE RISERVATA 20 APRILE 2015 |