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Il tema di questa serie di incontri è lo status del sapere storico nel tempo presente; esso appare molto ambizioso, ma nasce dalla constatazione che i vari soggetti interessati alla nostra disciplina dialoghino poco tra loro accentuando un senso di con fusione su cosa sia la storia per chi la scrive, cioè gli storici, ma anche per chi la vuole studiare e per chi la utilizza in vari modi del sapere e dell'agire. Senso rafforzato dalla percezione di vivere "nell' epoca della riproducibilità tecnica" della storia - per citare Walter Benjamin - cioè in un momento in cui la visione della storia è continuamente proposta e rifratta da moltissime mezzi di comunicazione e sembra aver perso l'aura sacrale che lo studioso vedeva, nel primo Novecento, tolta all'arte.
Naturalmente assumiamo, con Johan Huizinga, che "la storia è la forma spirituale in cui la cultura si rende conto del suo passato". Ma ricordiamo anche che il sapere storico non ha un oggetto autonomo e peculiare, dato che spazia in un infinito oceano tematico. La domanda che si pose anche M. Bloch: "A che serve la storia?, in realtà è "eterna"; sorge in ogni generazione, anzi, ogni pochi anni; quasi si potrebbe fare una storia della crisi della storia, fitta ed articolata, da cui ogni volta nascono risposte differenti: basti pensare - senza andare a Guicciardini o agli illuministi - agli anni del primo Novecento futuristi, iconoclasti e culturalmente vandalici, o agli anni Sessanta contestatori ed situazionisti; si è negata la funzione della storia se non come narrazione di diletto, suscitando negli addetti ai lavori risposte in vario modo convincenti.
Oggi, nella prolungata età dell'incertezza, di fronte alla complessità crescente dell'analisi e dell'interpretazione del mondo, al clima culturale orientato da suggestioni futurologiche, cibernetico- bioniche, si avverte un abito mentale diffuso secondo cui la storia non serve, anzi che non esiste proprio come strumento scientifico di comprensione del presente o come elemento costitutivo di ogni identità collettiva. Certo, la storia è sempre esposta al rischio di distorsioni e di usi finalizzati ad altri scopi. Ma la consapevolezza e l'uso critico di documenti e fonti, strumenti primari del mestiere ed elementi fondativi del sapere storico come sapere scientifico, possono costituire l'antidoto a tali tentativi di re-invenzione del passato e ribadire la delicatezza delle conseguenze dell'uso della storia sulla nostra vita civile.
Il discorso storico insieme racconta e spiega, descrivendo soggetti, fatti e proces
si e ponendo in rilievo ciò che chiamiamo "contesto storico", cioè le interconnessioni, la rete dei rapporto tra tutti gli "attori" coinvolti dentro l'intero ambiente circostante, compresi gli ecosistemi. E' ormai acquisito che esso non può rinchiudersi nella narrazione "interna" ed autoreferenziale, ma deve esplicitare i fattori condizionanti. Sempre più tali fattori crescono ed allargano la loro portata; sempre più la storia, se vuole mantenere il suo ruolo, deve assumere il carattere della complessità, o meglio, del tentativo di organizzare la complessità, a partire ovviamente da un aspetto prescelto per l'analisi.
Vale la pena richiamare vari spunti aperti nella discussione tra David Armitage e Fulvio Cammarano, contenuti nell'articolo La storia perduta pubblicato in "La lettura" , settimanale del "Corriere della sera", del 31 dicembre 2016. Vi si confrontavano due visioni: Cammarano denunciava la tendenza a considerare la storia come utile passatempo, irrilevante per i problemi contemporanei; proponeva la storia come disci plina che approda alla comprensione del presente, non al futuro; inoltre sottolineava il rischio di adeguarsi ai voleri dei finanziatori pubblici in un clima di risorse decrescenti, ad es. rivaleggiando per microstoria e macrostoria, in un clima di publish or perish, mantra delle generazioni con il dottorato e lo spettro delle valutazioni quantitative. A tal proposito viene in mente la ricostruzione fatta qualche anno fa da G.Paolo Romagnani sulle 7 generazioni di storici italiani, di cui l'ultima o penultima, secondo Furio Diaz sarebbe quella "arida", addottorata ma senza messaggio o anima.
Dal canto suo Armitage (che presentava il suo Manifesto per la storia) sosteneva la necessità di tornare a porre domande essenziali di ampia portata e potenzialmente larga audience, senza le quali la conoscenza storica è pure erudizione chiusa in se stes sa o antiquariato, facendo l'esempio più calzante dell'etica: i miei valori di oggi sono etici, quelli che non condivido più sono moralistici); donde la necessità di un approccio di lunga durata, utile anche ad illuminare gli attori politici, economici ecc. contem poranei; per lui è errato abbandonare la pretesa che la storia sia magistra vitae, non so lo recupero del passato nella sua integrità e complessità, né puro monito per il presente, ma anche per preparare gli eventi imprevisti e immaginare possibili scenari futuri.
Ciò detto occorre tuttavia tenere conto di alcune delle sfide che sono sul tappeto e che non possono essere ignorate, appunto le sfide del tempo presente.
Storia e storici: le sfide del presente
Partiamo dalla constatazione che l'attività storiografica ha realizzato, in tempi recenti, alcuni risultati molto importanti per la mentalità comune; ne cito alcuni
- La revisione del concetto di medioevo in termini post-illuministi
- Il dibattito sulla fine del mondo antico e sulla presunta "caduta" dell'Impero romano
- La critica al concetto di rivoluzione industriale
- L'eclissi della categoria della rivoluzione politica, almeno in Occidente
- L'attenzione al dato sociale, a quello psicologico, all'antropologico in tutti i loro aspetti minuti, le microstorie
- La constatazione della fine dell'illusione mesonovecentesca sull'"eclissi del sacro"
Et cetera.
Ognuno di essi ha comportato significativi mutamenti anche di ordine teorico e metodologico, fino ad affermare famosi "cambi di paradigma".
Anche ai nostri giorni ci sono questioni che attengono vari aspetti specifici del presente, alle quali qui si accenna senza pretendere minimamente di tentare una riflessione generale sulla contemporaneità. Ecco qualche spunto:
- Le riflessioni di natura antropologica, con ampi risvolti di tipo ecologico, sul ruolo e sul destino delle civiltà umane che scaturiscono ad esempio, dalle opere di Jared Diamond (Armi acciaio e malattie, Collasso ecc.)
- Alcuni interrogativi suggestivi lanciati proprio qui alla Casa della cultura, ora è un anno, dallo psicanalista J.P Lebrun sulla vastità della trasformazione in corso sulla psicologia collettiva, in nome dell'autonomia individuale e della " libertà".
- Gli orientamenti al futuro sono l'elemento tipico della cultura del tempo presente, forse addirittura quelli definitori. Al di là di ogni prospettiva deterministica, gli scenari offerti dai progressi scientifico-tecnologici, giunti a realizzare forme di controllo e intervento sempre più raffinate sulla realtà naturale - compresa ormai ad esempio quella sugli elementi costitutivi ed originari della vita umana - sembrano postulare una sorta di inutilità del passato, la cui conoscenza, anche profonda, parrebbe incapace di spiegare cosa accade sotto i nostri occhi. Il tempo assume così una dimensione solo "proattiva" (senza riassumere la bibliografia futurologica, da A. Toffler in poi, la citazione paradossale è per opere come Homo deus. Breve storia del futuro di Y. N. Harari)
- La disponibilità di big data relativa soprattutto al periodo presente, ma non solo, consentita dalla scienza delle informazioni, pone in termini nuovi il problema di come individuare i soggetti-oggetti storici, chi e cosa studiare in realtà, come relazionare tra loro le banche-dati, come districarsi tra masse documentarie a volte troppo ampie per essere leggibili e comprensibili. La disponibilità delle fonti digitalizzate è un problema ma anche un'opportunità specie per i giovani studiosi di intraprendere progetti più ambiziosi. I soggetti-oggetti che determinano lo scorrere della storia sono ovviamente, ancora, singole personalità umane, tali da incontrare l'attenzione, il seguito, l'ammirazione o l'ostilità dei loro simili, ma anche e soprattutto sempre più gruppi di potere, associazioni, istituzioni, forze politiche e sociali organizzate, confessioni religiose, comunità territoriali e naturalmente stati nazionali, imperi, confederazioni; si pone il problema di immaginare varie e differenziate sintesi come racconti dotati di senso, dove cioè l'analisi assuma ampiezza e profondità tali da spiegare la crescente complessità del mondo reale.
- Lo sviluppo della storiografia, in termini di ricerca, di interpretazione, di trasmissione, si caratterizza da vari decenni per un continuo ampliamento in senso spaziale, una "globalizzazione storiografica". Sia nel modello braudeliano del Mediterraneo sia nella world history di matrice anglosassone (da Arnold Toynbee a William Mc Neill) si è cercato di superare la prospettiva nazionale anche se non sempre la visione eurocentrica. Ciò ha comportato l'irruzione, almeno nel contesto, di molti discorsi storici dei mondi estranei (es. la Cina e l'Islam) o di quelli lontani dal mondo "sviluppato e civile", che un tempo si pensavano addirittura senza storia. Così si affacciano approcci culturali ben diversi rispetto a quelli che hanno alimentato il sorgere della disciplina storica in Europa, certo nella forma delle "storie universali" otto-novecentesche, ma anche in quella dei paradigmi positivista o "annalista".
- D'altro canto, c'è stata una formidabile dilatazione sia delle tematiche che degli oggetti di ricerca: si incorporano metodi, criteri, finalità proprie delle scienze che studiano i vari aspetti della vita umana (economia, demografia, sociologie, psicologia, scienze politiche, studi sull'ambiente ecc.) che tendono ad operare con logiche non-diacroniche, poco inclini a considerare l'intreccio di cambiamenti e persistenze. Esse però vengono privilegiate perché si dichiarano capaci di produrre indicazioni con crete ai fini pratici.
Tutto ciò tende a creare una "polverizzazione", quasi un dissolvimento degli stes si pilastri fondativi della disciplina. Certo, come riconosce la storico della Guerra fred da John Gaddis, il ricorso a categorie metastoriche può essere un aiuto potente alla co struzione del discorso storico. Tuttavia molti pensano che per avere senso e fondamen to, la pratica storiografica e la divulgazione storica dovrebbero trovare elementi unita ri nello studio dei vari ambiti dell'attività umana durante una certa epoca, formulando risposte generali e sintetiche rispetto alle domande che si pongono al passato (qui il pensiero va ancora Croce e alla sua contemporaneità di tutta al storia) espresse in un linguaggio comprensibile alle persone di cultura standard, tenendo conto che nessuno, per colto che sia, può vantare le conoscenze scientifiche, o anche solo lessicali, adeguate alla vastità delle tematiche implicate. Ma i temi epistemologici non sono meno gravi: se gli oggetti sono infiniti, quale è l'oggetto della storia, se i linguaggi sono molteplici, qual è il suo linguaggio?
- Nella "storia degli storici" pesa da tempo il fenomeno chiamato crisi delle ideo logie", in realtà crisi dei sistemi organici di pensiero; per la verità si sono "ritirate nel deserto" le quelli preconizzanti, in orizzonti temporali prevedibili, assetti economici, sociali, politici e culturali divergenti dai predominanti; non è affatto scomparsa, anzi pare rafforzata un' ideologia "di sistema" cioè l'insieme di pensieri, credenze, aspetta tive vissute a livello di massa, spesso concretamente realizzato attraverso le aspirazio ni al consumo; il cosiddetto "pensiero unico", che peraltro assume, nel confronto con tradizionali, più radicate culture e col passato in generale un atteggiamento infastidito o strumentale, sostenuto efficacemente dagli strumenti mediatici. Ma le "ideologie" sono state alla base di importanti realizzazioni storiografiche; la Storia d'Europa nel XIX secolo di Benedetto Croce, ad esempio, era un modello di storiografia solidamen te fondata sul piano teorico e dalla prospettiva lungimirante, certo figlia della religio- ne della libertà e di una filosofia tout court, non solo una filosofia della storia, come lo storicismo. E qualcosa del genere si potrebbe dire del famoso Il secolo breve di Eric Hobsbawm, sintesi forse crepuscolare del marxismo novecentesco, o degli sviluppi della scuola braudeliana in America con la sua analisi del capitalismo, da Imma nuel Wallerstein a Giovanni Arrighi, nonché del famoso libro di Thomas Piketty.
Tutto ciò ha ricadute anche nella via principale di trasmissione del sapere storico, cioè la scuola. Il discorso qui è molto articolato e complesso, ma basterà tenere a mente le continue riorganizzazioni dei contenuti e delle periodizzazioni nei vari cicli dell'istruzione primaria e secondaria, sempre nel quadro di un numero di ore limitato,
il peso specifico della storia nei progetti didattici generali, le funzioni accessorie svolte dal sapere storico nelle strategie educative ecc. In casi estremi le categorie culturali e le soluzioni adottate si avvicinano parecchio ad idee di progressiva espulsione del la storia almeno da alcuni curriculum didattici. E' anche importante riflettere su come la storia viene insegnata; l'idea che l'antica lezione frontale sia da superarsi, la dimen sione gigantesca di alcuni manuali, ormai ingestibili, l'uso che si fa di alcuni strumen ti elettronici, il ricorso al web ecc.
Andrebbe ancora considerato il ruolo della dimensione storica "pubblica"; cioè come la storia è presentata nei luoghi e nelle istituzioni non accademiche; nei tanti musei locali o tematici, nei "luoghi della memoria". Quali storie si raccontano o alme no si suggeriscono in questi tanti punti di contatto con i visitatori? Che uso pubblico vi si fa della storia?
La storia nei media
Oggi la storia, apparentemente, dilaga. Nei media è uno degli argomenti più se
lezionati, verrebbe da dire più cliccati. Ci sono reti televisive interamente, o intensamente, dedicate (History, RaiStoria, Arte ecc. con varie impostazioni), le fiction storiche prolificano come i romanzi, i siti web non si contano, negli stessi videogiochi la ambientazione storica è frequente; carriere giornalistiche o televisive si fondano su programmi storici; sempre tenendo a mente le dimensioni del fenomeno nel suo insie me: Rai storia fa lo 0,24% di share.
Ma, in tutto ciò, c'è un linguaggio storico, una comunicazione peculiarmente sto rica? Qual è la ricaduta nel "costume diffuso"? Si diffonde coscienza della storia come risorsa critica? (ad esempio che rapporto c'è con il risorgere dei sovranismi, dei nazionalismi, delle chiusure "etniche", dei populismi; quanto pesa la mancanza di conoscenza sull'origine delle depressioni economiche, dello scoppio delle guerre, del nesso causale e temporale protezionismo- guerra ecc. specie in generazioni che non sanno nulla di ciò?) In realtà, meno pesa la storia nella società e nella politica, più essa (o ciò che si afferma essere storia) ha spazio nei media e nelle fiction. Ad es. l'uso che si fa di aggettivi come "storico" applicato ad un evento : esso quasi sempre signi fica decisivo, rilevante, nuovo, beninteso nell'ottica di chi emette il giudizio); o del termine "moderno", quasi sempre connesso all'ideologia semplificata della "moder nità": il presente-buono versus il passato-cattivo. Anche quando il primo, con tutta la buona volontà, proprio buono non può dirsi.
Occorrerebbero riflettere criticamente su quale tipo di "storia" è presentata nei media, oggi di gran lunga lo strumento principale di acquisizione di conoscenze, anche nella popolazione scolarizzata; ma anche sull'uso che si fa dei riferimenti storici nei processi decisionali di tipo politico, economico ecc. © RIPRODUZIONE RISERVATA 27 MAGGIO 2018 |