|
|
Ph.: Josef Koudelka, Slovacchia, 1967
Le sparate crudeli di Matteo Salvini ci devono preoccupare, ma non ci possono stupire. Eppure, sembra che ci stupiscano e non ci preoccupino.
Coerente con la biografia e la carriera del nostro ministro degli Interni, il proclama contro i rom - "ne faremo un censimento, gli italiani purtroppo ce li dovremo tenere" - viene subito dopo la chiusura dei porti ai naufraghi della Aquarius, da lui ordinata e prontamente eseguita da Danilo Toninelli, ministro pentastellato delle Infrastrutture. E certo sarà presto accompagnato da altri simili, volti allo stesso fine: indicare agli italiani minoranze criminali responsabili di ogni male. Inutilmente al capo leghista si opporrebbe che le prefetture sanno già quanti e quali siano gli uomini, le donne e i bambini che vivono nei ghetti dei campi rom. Inutilmente gli si farebbe notare che in quei campi non ci sono italiani. I rom e i sinti italiani si stima siano circa 90.000, integrati e per lo più indistinguibili (i primi sono giunti nel nostro Paese fra il XIV e il XV secolo). Ancora più inutilmente gli si ricorderebbe che una parte dei restanti 40.000 circa sono cittadini rumeni, europei non "cacciabili". Gli altri sono fuggiti dalla guerra civile nella ex Iugoslavia, e sono apolidi, per definizione non rimpatriabili.
Ancora più inutilmente gli obietteremmo che censire qualcuno sulla base della sua appartenenza etnica e razziale, ammesso che etnia e razza significhino qualcosa - o della sua professione religiosa, o dei suoi gusti sessuali, o della sua scelta politica -, inutilmente dunque gli obietteremmo che un tale censimento è incostituzionale, e che ancor prima e ancor più è incivile. Il suo proclama non ha niente a che vedere con la realtà dei fatti e con la Costituzione, e men che meno con principi di civiltà. Il suo proclama è un atto politico, un urlo rivolto al "popolo", una chiamata al "razzismo degli animali che si annusano, si riconoscono, fanno blocco, formano unità", per dirla con la prosa entusiastica di Giorgio Almirante del 1942 (lo stesso cui di recente il Consiglio comunale di Roma ha cercato di intitolare una via).
Questo "far blocco", del resto, ha una storia vecchia, anzi antica. Per restare al nostro Paese e al secondo dopoguerra, comincia a diffondersi negli anni Ottanta, con movimenti come la Lega lombarda e la Liga veneta, poi confluite nella Lega Nord. Per decenni Bossi e i suoi - tra loro il giovane Salvini - hanno lucrato della politica della paura e del "capro espiatorio": non noi siamo i responsabili dei nostri problemi, ma loro. E "loro" erano gli italiani del Sud, da Roma in giù.
Poiché nel mercato del consenso politico è più facile vendere fantasmi che programmi, ben presto questa "offerta" si moltiplicò, fino a diventare l'unica capace di spostare voti, e dunque l'unica che valesse la pena di praticare. Così venne fatto dalla destra, e in un altro senso così venne fatto dal centrosinistra, che giudicò non conveniente opporsi al trionfante linguaggio della paura, e che preferì subirlo, per non perdere voti. A questo errore tragico, il centrosinistra ne ha aggiunto un altro, ancora più tragico. Succube di un'ideologia politica nota come neoliberismo - termine il cui significato per lo più sfugge agli stessi che lo usano -, questo centrosinistra senza più sinistra ha abbandonato i suoi referenti tradizionali, i ceti deboli, e si è dato alla "terza via", certo che ormai il mercato avesse vinto, e che lo si potesse solo servire, nella speranza di attenuarne i guasti. Detto altrimenti: certo che la storia avesse dato ragione a Karl Marx, ma che non ci si potesse fare niente…
Il risultato è qui, intorno a noi. Salvini ha proseguito Bossi, nel senso che ha allargato la sua offerta e il suo marketing a tutti gli italiani, meridionali compresi, indicando i responsabili di ogni nostro guaio nei migranti e nei rom. In questo modo raccoglie le insicurezze, i timori, le speranze senza futuro di milioni di uomini e donne lasciati senza altra prospettiva politica, soli con un lavoro sempre più precario, più aleatorio, più umiliante.
Ora che è al governo, per Salvini prendersela con i rom è una via obbligata. L'odio e la paura sono il pane della sua politica, il suo carburante. I problemi concreti degli elettori, povertà e precarietà crescenti, sono di difficile soluzione. Quindi, al pari di molti altri in Europa, deve spostare il loro sguardo verso i fantasmi. Se si impegnasse a risolvere i problemi, rischierebbe la smentita dei fatti. La politica dei fantasmi non teme smentita, perché non riguarda i fatti, ma la propaganda e la demagogia. Se poi i problemi non diminuiscono, se addirittura aumentano, a Salvini e a quelli come lui basterà far credere che i fantasmi siano diventati più pericolosi, più invasivi, più velenosi. Dopo quelli dei migranti e dei Rom, ce ne dobbiamo aspettare altri, forse quello del "gender", quasi certamente quello degli ebrei... La logica perversa della politica fondata sull'odio si autoalimenta e non conosce limiti, né in Italia né in Europa.
Le sparate crudeli del nostro ministro degli Interni non ci possono sorprendere: il terreno che il suo cinismo può coltivare è ben fertile. Ci dovrebbero invece preoccupare, e molto.
Pubblicato si larivistaILMULINO
© RIPRODUZIONE RISERVATA 30 GIUGNO 2018 |