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Dopo la lettura intensa e appassionata di Polvere e Perle. Donne in un interno familiare del Novecento (di M. P. Patuelli, Pendragon, 2018), il sentimento che prevale è la gratitudine.
All’autrice di questo splendido narrarsi e narrare, infatti, si rivolge una gratitudine piena di senso e di necessaria nuova consapevolezza.
Maria Paola Patuelli è una donna di grandissimo valore per la sua vita e le sue esperienze, le sue capacità e le sue azioni. Tuttavia ha il coraggio sottile e tenacissimo di mostrare come questa grandezza quotidiana e instancabile che la accompagna da tutta la vita sia il frutto di quell’interno familiare che, con tono volutamente piano e lineare, racconta con una intensità e una profondità a tratti straordinarie.
La Storia maiuscola e quella minuta di ogni giorno sono raramente narrate e intersecate così strettamente come in alcuni brani di questo libro, dedicato alla vicenda principale della madre dell’autrice, Silvia, e del contesto politico e sociale in cui tutte le vite che le accompagnano si muovono e vivono, la Ravenna socialista e poi comunista che dal primo Novecento arriva agli anni Settanta.
L’autrice racconta delle donne da cui proviene la sua vita, con la semplicità serena – a tratti gioiosa, a tratti dolorosa- di chi ha fatto lungamente ricerca di sé nelle relazioni centrali della propria esistenza. Figure femminili straordinarie e decisive non soltanto per lei singola, ma per il grande mosaico che hanno contribuito a formare. La nonna Santina, attivista socialista e poi antifascista fin dagli inizi del secolo, la madre Silvia, partigiana e militante comunista di altissimo livello: da queste due donne il Novecento nato con Maria Paola è denso di idealità e di lotta, certamente, di consapevolezza e di autonomia; eppure anche di carezze, di tempo e di gioco, di sorrisi.
La scelta della politica fin dal Soccorso Rosso attorno alla Prima guerra mondiale, dall’antifascismo alla scelta della Resistenza, all’impegno politico nella Ravenna del dopoguerra e del Boom, tutte queste decisive azioni condotte da donne portano alla costruzione tenace e radicata di una trama di relazioni inossidabili e disinteressate, le più nobili e le più assolute al di là dei dolori familiari e di uomini quasi mai all’altezza: tutto si svolge con la chiarezza spietata di una scrittura asciutta e morbida al contempo.
La nonna Santina e la sua cura per i figli, il senso del dono del tempo e di sé di ogni donna raccontata, il costante impegno militante di Silvia in ogni aspetto della vita sono il luccichìo delle perle del titolo del libro. Esiste uno specifico del Femminile nella politica, nella famiglia, nella storia che in questo libro emerge con nettezza, nel garbo della sua presa di coscienza senza scappatoie.
Le donne della storia antifascista e comunista dell’Italia ravennate narrata in questo libro riconoscono i volti e le storie di chi vive loro accanto e attorno; evidenziano così la trama fittissima della necessità della Relazione, umana perché politica e sociale, nel sogno dell’Italia nuova -prima grande differenza con gli uomini, che spesso si percepiscono individui per altri individui. Anche i migliori.
Con una parola forse dispiaciuta alla madre Silvia, Maria Paola chiama questo processo di cura degli altri attraverso la propria stessa militanza -intransigente, totale, ammirevole- maternage sociale. Una parola svilita da una storia successiva a quella narrata nel libro (che si chiude con lo scorcio dei primi anni Settanta del Novecento), quando il Femminismo migliore è stato poi subissato da ondate di melassa e finte conquiste diffuse che ne hanno colpevolmente disciolto il valore cruciale.
Invece questa espressione, maternage sociale, è nelle intenzioni dell’Autrice il valore più profondo di queste donne raccontate, e attraverso di esse della storia italiana di rinascita e di riscatto, di progresso e di conquiste che è stata la storia della sinistra comunista italiana del Novecento: questa espressione significa un intero, grande, circolare senso della Politica, quella vera, che in ogni pagina di questo libro è quotidiana e familiare, rassicurante e onnipresente come i muri di casa, come il profumo del pane, come la coscienza semplice -perché inossidabilmente provata da innumerevoli esempi- di essere dalla parte giusta del mondo.
La storia di Silvia, mamma dell’autrice, è una storia esemplare di militanza, di passione politica, di intransigenza e di femminilità. Entrata nel PCI clandestino nel 1938, sceglie la Resistenza con grandissima consapevolezza, nel pieno di una giovinezza insieme fisica e ideale, sostenuta da un amore tragico che di quella pagina gloriosa della Storia italiana sarà uno dei volti più amati e rispettati. Silvia forma poi con Nello, padre dell’autrice, una famiglia molto moderna, diremmo oggi: viaggi, grande cultura, libri, mostre; su tutto, dentro a tutto, probabilmente prima di tutto, una coscienza politica decisiva che si fa determinante per scelte, educative e personali, in ogni frangente. Gli incontri eccezionali che questa militanza promuove -da Ada Gobetti al giovane Abbado- mostrano con plastica evidenza quanto il PCI dell’Italia repubblicana dei primi decenni fosse quella “koinè civile radicata” che l’autrice respira fin dalla nascita, nel quadro di una politica sempre e soltanto intesa come servizio e mai come interesse personale.
Una storia dunque che, come tutte quelle che si apprendono, poi, nel libro, è frutto di una trama larghissima e diffusa di relazioni che la determinano e la sostengono. Ne emerge qualcosa che è familiare a tutte le famiglie comuniste dell’Italia novecentesca, per lo meno delle parti della grande Pianura padana.
Emergono i volti dei compagni, la certezza che siano tali, il rifugio che essi rappresentano, la forza incredibile che dà sentirsi parte piccola ma vitale di questo grande meccanismo del mondo: essere un piccolo ma necessario contributo alla Causa sostiene ogni sforzo, lenisce ogni dolore, fa ritrovare la strada di casa ogni qual volta ci si sente perduti.
La storia di Maria Paola, l’autrice, nasce in questo contesto. Molti che, come lei, hanno avuto la fortuna e di vivere in contesti simili di militanza politica e di impegno nella vita del PCI del Novecento ritroveranno i riti dell’Unità la domenica, del Pioniere dei piccoli, lo sforzo di crescere come cittadini e come persone nella cultura più alta e meno conformista possibile -da Picasso a Pasolini, da Rodari alla scoperta della centralità del soggetto delle donne; e molti ritroveranno il senso della politica fatta discutendo con i compagni nelle sezioni in cui entrava il mondo nella visione di ciascuno, informato, critico, militante allo stesso tempo.
Quante cose così presenti allora, e così perdute.
Ne emerge uno spaccato dell’Italia comunista del Novecento insieme trattenuto e fortissimo. La scrittura femminile è anche e soprattutto questo, mi viene da pensare cogliendo i costanti e diffusi riferimenti culturali che l’autrice fa propri con semplicità e gentilezza in tutto il racconto, dalla Woolf a Picasso, da Brecht alle donne della Costituente.
Un condensato di levigatezza per una storia che ha un senso profondissimo e magnetico, ineluttabilmente perduto e per questo lirico e amaro allo stesso tempo. Più di tutto, un senso necessario. Oggi, più che mai. La semplice eppure studiata meditazione con cui l’autrice ragiona di sé attraverso le donne della sua vita rappresenta uno dei migliori tributi alla coscienza femminile diffusa di cui oggi c’è un disperato bisogno.
Così come c’è, allo stesso tempo, il bisogno estremo eppure inespresso, perché colpevolmente inconsapevole, di quella rete di relazioni umane che hanno fatto l’Italia migliore del Novecento, quella narrata dalla parte dei protagonisti di questo libro.
La storia di queste donne e delle loro azioni ripercorre, contribuendovi, la storia del PCI e dell’Italia fino agli anni Settanta. Una storia piena di contraddizioni, certamente, di errori possiamo anche dire noi che nemmeno possiamo permettercene nostalgia.
Ma più di tutto, una storia di relazioni, di volti, di memorie, di vita vera e vissuta, di passione e di idealità: una storia Politica vera, di cui si percepisce senza alcun dubbio la nobiltà profonda, che emerge semplice e severa dalle rughe dei contadini di queste terre, dal sacrificio delle donne, dai fucili dei partigiani, dalle esperienze amministrative di questa nuova, strana, sconosciuta democrazia. Del resto, “Se la posta in gioco era cambiare il mondo, era necessario farlo senza timidezze”, si legge in passo del libro. Dovremmo ricordarcene tutti, subito.
Rossella Zelioli
© RIPRODUZIONE RISERVATA 07 SETTEMBRE 2018 |