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Non c'era qualche giorno fa alla inaugurazione di un nuovo bistrò Feltrinelli a Milano, anche se lei a queste serate non mancava mai; non c'era mercoledì sera alla cena dell'amico Brunello Cucinelli che giudicava "simpatico", aggettivo massimo da lei usato per le persone e le situazioni che apprezzava: senza Inge mancava una luce ed era ovvio chiedersi come mai non ci fosse. Nel silenzio con cui ha sempre difeso ciò che non voleva condividere se non con le persone da lei ammesse alle rare confidenze, Inge si stava spegnendo, già lontana anche dal dolore e dalla rinuncia. Solo i suoi lo sapevano, il figlio Carlo, la nuora Francesca, i nipoti, Tomas, le persone molto amate che non esibiva mai, come non fosse il caso di essere, per gli altri, anche una mamma, una nonna, una compagna. Cose sue, solo sue.
L'ultima festa l'aveva voluta in aprile a Villadeati, per il compleanno del suo Maldonado, invitati le generazioni degli amici di famiglia e degli allievi del grande architetto. Stava bene, o forse faceva in modo che lo credessero gli ospiti seduti attorno al lunghissimo tavolo per il pranzo come sempre piemontese e casalingo.
La Milano non ne ha avute molte negli ultimi decenni di donne come Inge, una persona che era stata una bambina di padre ebreo in una Germania nazista, una ragazza di rara, ridente, moderna bellezza che girava il mondo come appassionata fotografa: e diventeranno celebri tra gli i suoi scatti, quelli di Hemingway con lei, di Fidel Castro in pigiama, della dimenticata e asociale Greta Garbo riconosciuta per strada.
Qui, in questa città che stava diventando la capitale dell'editoria, Inge, si sa, arrivò per amore di Giangiacomo Feltrinelli e non l'ha più lasciata, resistendo agli anni orribili dopo la tragica fine del marito.
Difendendo la casa editrice stremata, circondandosi delle persone giuste per difenderla e aumentarne il prestigio. Del suo lavoro gli amici non la sentivano parlare, anche quello era come un impegno privato, che non doveva interessare, o annoiare, gli altri: qualcosa di cui non si sarebbe mai vantata perché quelli che lo facevano le parevano "mezzecalze".
Credo che la parola vip le sarebbe parsa una parolaccia, se qualcuno avesse osato dirlo di lei. E per esempio non aveva un cosiddetto salotto, ma un grande spazio grondante libri, con stupendi quadri antichi e molti divani, che si apriva su una sala da pranzo col tavolo straripante delle celebri ricette milanesi di casa: sempre le stesse, una tradizione familiare ma anche culturale: risotto, insalata russa, cotolettine, cotechino col purè, creme caramelle, ecc.
Nelle sue stanze mancavano le dame della città o della celebrità istantanea, ma c'erano i grandi scrittori di tutto il mondo, che armati di piatto correvano all'arrembaggio delle squisitezze feltrinelliane, tra colti impiegati della casa editrice, giornalisti del ramo, amiche e amici di sempre.
Talvolta persino qualche signore delle istituzioni particolarmente "simpatico". Inge era molto libera, non si assoggettava a certi obblighi della borghesia con tendenza intellettuale: e per esempio non amando particolarmente la musica, non appariva come tante altre alle inaugurazioni della Scala giusto per esserci. Invece sola sola, al primo spettacolo del pomeriggio, sgattaiolava nei cinema a godersi in solitudine i film. Non è detto che non avesse bei gioielli, ma la si è sempre vista fin quando li ha portati, con enormi orecchini finti; mai con abiti di sartoria, non incline alle mode, era molto appassionata di un fitto guardaroba qualsiasi, purché sufficientemente sgargiante, con la predilezione per l'arancione, il giallo, i fiori, orrore per i colori dell'eleganza milanese, nero, grigio, beige. Non amava i pettegolezzi, non ne diceva e non ne ascoltava: le piacevano le feste e naturalmente era invitata ovunque ma non ovunque andava: agganciata da tutti, accettava al volo un paio di drink e poi frettolosamente scompariva. L'aspettavano i suoi amatissimi libri e non solo i Feltrinelli: e ne regalava.
Ogni tanto alle persone che le volevano bene arrivava un suo sacchettino, un libro, dei cioccolatini, la cartolina di una mostra su cui si cercava indovinare quel che voleva dire con una scrittura del tutto incomprensibile.
A pensarla oggi che sappiamo di non incontrarla più, a parte nelle meravigliose interviste concesse a Simonetta Fiori, Inge non ha mai parlato davvero di sé, si è sempre difesa come in una fortezza impenetrabile però con bandiere e luminarie festose e colorate, chiacchierando di tutto. Alla fine sappiamo le storie della sua vita, ma è di lei che sappiamo molto poco.
Natalia Aspesi
Pubblicato su La Repubblica - 21/09/2018 pg. 1 ed. Nazionale
© RIPRODUZIONE RISERVATA 22 SETTEMBRE 2018 |