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Enigmatica la Presidenza della Repubblica italiana? Ambigua, vale a dire soggetta a una pluralità di interpretazioni, teoriche e pratiche, come tempo fa scrisse, molto intelligentemente, Livio Paladin, uno dei più autorevoli studiosi della Costituzione? Elastica, tale da potere essere stiracchiata in più direzioni e tornare, quasi intatta, al suo punto di partenza? Multitasking sosterrebbero i moderni nel confronto con gli antichi raccogliendo un po' tutte le espressioni variamente e ripetitivamente usate, persino diventate logore. Però, figura cerimoniale non è proprio più possibile dirlo. Allora, alla grande con "di garanzia", prima passiva: Einaudi? ma, noo. Ciampi? Neppure, e allora, garanzia attiva che è abbastanza pericolosamente vicina a "interventismo", e qui ci starebbero un po' tutti i Presidenti, persino a prescindere dalle loro personalità, appartenenze partitiche, carriere politiche, cosicché bisognerebbe differenziare con cura e con criteri. La cura nei moltissimi contributi a questi due, comunque importanti, volumi, la mettono un po' tutti gli autori e le autrici. I criteri, invece, sono per lo più latitanti, raramente espliciti, talvolta occasionali.
Prendere le mosse dalla Costituzione mi sembra regolarmente un esercizio utile. Dopodiché, è sempre altrettanto utile interpretarla la Costituzione senza dovere rendere troppi omaggi ai predecessori. Qui divento quasi jeffersoniano. Non giungo fino a sostenere/auspicare, come scrisse il grande Presidente USA (1743-1826), che ogni generazione (ri)scriva la Costituzione, vista poi la qualità del più recente tentativo, stroncato dal referendum costituzionale anche se appoggiato da non pochi contributori a questi volumi, ma, insomma, da un lato, qualche ritocco, purché sistemico, vale a dire che tenga conto di tutto l'edificio costituzionale e che non lo squilibri (oppure sappia subito come ri-equilibrarlo) sarebbe possibile (se non lo vedo, però, non lo auspico), dall'altro, riempire di contenuti nuovi, ma compatibili i compiti costituzionali (e forse anche i compiti politici) assegnati al Presidente è un'idea accettabile. Potrebbe persino rivelarsi feconda, ma in questi volumi non è una prospettiva né delineata né perseguita. In effetti, cambiare la Presidenza della Repubblica significherebbe andare in direzione del Presidenzialismo (non ho trovato sufficiente attenzione alla suggestiva proposta di Piero Calamandrei nel capitolo di Marina Giannetto su Forma di governo e presidente della Repubblica nel progetto di Costituzione dell'Assemblea Costituente) oppure del semi-presidenzialismo.
Tornando alle varie definizioni della presidenza italiana, per molti dovrebbe essere notarile, da ultimo, per farla momentaneamente breve, dovrebbe essere arbitrale secondo, la, ovviamente autorevole, interpretazione che nel suo discorso inaugurale il Presidente Mattarella ha dichiarato come sua visione e, presumibilmente come modalità guida delle sue azioni. Tuttavia, la dura lezione dei fatti si è subito premurata di smentirlo. Infatti, in quale modo sarebbe conciliabile la visione arbitrale con il fermissimo e, dal mio punto di vista, comprensibile e condivisibile, rifiuto di accettare la proposta di Paolo Savona a Ministro dell'Economia avanzata, non dal Presidente del Consiglio Conte, ma dai suoi potenti sponsor, in quale ordine non saprei, Di Maio e Salvini? Sicuramente, Mattarella non ha affatto operato un arbitraggio. Al contrario, il suo rigetto si è tradotto, per restare in metafora calcistica, in un dribbling da virtuoso. Fu un intervento opportuno, perfettamente giustificabile, certamente conforme alla lettera e allo spirito dell'art. 92 della Costituzione: "II Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri". A mio giudizio, che contrasta con quello di non pochi professori di Diritto Costituzionale collocati a sinistra, non configurò nessuna violazione delle regole, ma, semplicemente, l'esercizio di un potere costituzionale contro il tentativo di prevaricazione effettuato dai due maggiori esponenti di un governo in fieri.
In verità, ci fu qualcosa di più, sfuggito a quasi tutti i commentatori. Salvini, ma anche Di Maio, il quale addirittura ventilò l'idea di ricorrere alla messa in stato d'accusa del Presidente Mattarella, miravano, più o meno consapevolmente, a dimostrare, di fronte alla prima divergenza con il Presidente, che il loro potere politico era/è superiore al potere istituzionale del Presidente della Repubblica e su quel potere deve prevalere. Avrebbero mobilitato le loro divisioni di parlamentari eletti che si sarebbero abbeverate nelle fontane del Quirinale. La ferma posizione di Mattarella ha, quindi, difeso non solo quella sua specifica e legittima decisione, ma la Presidenza della Repubblica e i suoi poteri istituzionali e ha impedito che si creasse un pericolosissimo precedente.
D'altronde, esistono molti precedenti di Presidenti che hanno rigettato la nomina di Ministri non accettabili per una varietà di ragioni. Il più famoso è quello del suo avvocato personale, Cesare Previti, che nel 1994 Berlusconi voleva Ministro della Giustizia, respinto dal Presidente Scalfaro. Ad alcuni altri esempi citati aggiungerei, da un lato, il democristiano Vito Lattanzio, respinto dal Presidente Pertini e, dall'altro, molti casi a noi non noti poiché è assolutamente probabile che Presidenti del Consiglio sufficientemente accorti e segretari dei partiti in procinto di andare al governo abbiano quasi sempre operato in base alla regola delle reazioni previste. Nella consapevolezza che il Presidente della Repubblica obietterebbe ad una determinata nomina per una determinata carica semplicemente quella persona non veniva prescelta, magari facendolo sapere al Presidente per ottenere la sua benevola acquiescenza per altre nomine non proprio a lui gradite, ma neppure del tutto deplorevoli. Allora, il quesito si sposta sui metri di giudizio, sui parametri che il Presidente può costituzionalmente fare valere: la rappresentanza dell'unità nazionale (art. 87); la funzionalità del governo; il rispetto degli obblighi assunti in sede di Unione Europea. Sono parametri che reputo tutti presenti nel respingimento di Savona ad opera di Mattarella.
Naturalmente quei parametri possono essere declinati in maniera diversa a seconda delle circostanze e delle interazioni fra il Presidente e gli altri attori politici. È qui che ritorna la riflessione sulla figura presidenziale: "elastica", "ambigua", "sfuggente", "a fisarmonica", scrive Sabino Cassese, "come è stato più volte rilevato", precisando "con compiti sia di garanzia e di controllo, sia di intervento e di impulso, principalmente quello di gestore delle crisi di governo e parlamentari" (pp. 36-37). Un po' di tutto, dunque, un po' tanto, anche se non leggo nel saggio di Cassese una sufficiente precisazione di che cosa siano le "crisi parlamentari". Su un punto, tutt'altro che marginale, che può illuminare l'uso dei poteri presidenziali e che mi riguarda personalmente, ma ha notevoli riflessi per la comprensione del ruolo e della dinamica della Presidenza, mi sento costretto a intervenire.
Anche altrove in questi due densi volumi si fa spesso riferimento alla fisarmonica dei poteri presidenziali. Indirettamente, lo segnala Cassese affermando che "i poteri presidenziali sono in proporzione inversa alla forza dei governi e alla loro stabilità" (p. 52). Esplicitamente, lo scrive Marina Giannetto rilevando che le "diverse modalità di bilanciamento [fra tre elementi….] imprimono quel ritmo 'a fisarmonica' del ruolo presidenziale proposto da Giuliano Amato" (p. 1024, ma l'autrice non offre nessuna indicazione bibliografica della sua citazione). Più estesamente, Barbara Randazzo rileva che "per quanto con una ormai celebre [sic] e felice [doppio sic!] metafora, i poteri presidenziali siano stati definiti 'a fisarmonica' … si dovranno tenere a mente … i limiti discendenti dalla forma di governo parlamentare e dalla conseguente responsabilità del capo dello Stato" (pp. 1093-1094). Randazzo rinvia alla nota 17 dove si legge che "la metafora, la cui prima evocazione non è dato rinvenire, pare comunque da attribuirsi originariamente a Giuliano Amato".
La notizia, per tutti, è che ho rinvenuto la prima evocazione della metafora. Premesso che, avendone discusso proprio con un perplesso e incuriosito Giuliano Amato, l'attribuzione originaria è certa. Sono lieto di dichiarare convintamente di averla ascoltata per la prima volta in una sua esposizione, intervento, relazione, conferenza, che, però, nessuno di noi due è finora riuscito a collocare con precisione nel tempo e nello spazio. Tuttavia, sono in grado di segnalare con precisione quando per la prima volta misi per iscritto la metafora, attribuendola a lui. Lo feci in una recensione-discussione del libro di Paolo Guzzanti, Cossiga, uomo solo, Milano, Mondadori 1991, pubblicata proprio con il titolo La fisarmonica del Presidente, in "La Rivista dei Libri", marzo 1992, con numerosi riferimenti ad altri articoli sul Presidente. Credo opportuno citare per esteso: "secondo Amato, già fin d'ora la Costituzione italiana garantisce al Presidente della Repubblica poteri 'a fisarmonica'. Se il Presidente è autorevole, se la sua personalità è forte, se il suo prestigio è grande, se la sua popolarità è diffusa …. allora egli potrà allargare la fisarmonica dei suoi poteri fino alla sua massima estensione. Altrimenti … con l'elezione parlamentare, quindi contrattata fra i partiti … la fisarmonica dei poteri presidenziali rimarrà prevalentemente chiusa, tranne negli eventi di crisi, oppure subirà forzature, come con Gronchi e con Segni, con Saragat e persino con il popolarissimo, ma non per questo sempre 'costituzionalissimo', Pertini".
Vent'anni dopo ho fatto concreto ricorso alla metafora della fisarmonica analizzando i comportamenti di tre Presidenti, Scalfaro, Ciampi e Napolitano (Italian Presidents and their Accordion: Pre-1992 and Post-1994, in "Parliamentary Affairs", October 2012, pp. 845-860), mettendo in evidenza e sottolineando che quando i partiti sono solidi e compatti hanno il potere di impedire al Presidente di suonare la fisarmonica. Iniziata tra il 1992 e il 1994 una transizione, a mio parere tuttora incompiuta, caratterizzata dal declino e dalla sostanziale e perdurante debolezza delle strutture partitiche, quei tre Presidenti (ai quali potremmo già aggiungere Sergio Mattarella) hanno goduto di enorme discrezionalità nell'uso dei loro poteri costituzionali. Ho altresì azzardato che Scalfaro e Napolitano, entrambi i sicuramente "parlamentaristi", sono stati costretti/incoraggiati/facilitati dalle circostanze a suonare la fisarmonica dei loro poteri in chiave definibile addirittura come semi-presidenziale.
Tralasciando quasi completamente il ruolo dei partiti e dei loro dirigenti, Cassese sembra più interessato ai rapporti fra presidente della Repubblica e presidente del Consiglio giungendo ad una valutazione complessiva che mi lascia perplesso: "i costituenti riuscirono tuttavia a configurare … l'istituzione presidenziale in un modo che è stato funzionale ai passaggi fondamentali della storia repubblicana" (p. 52, c.vo mio). Invece, per descrivere e valutare il rendimento della fisarmonica, Giannetto (p. 1024) chiama in causa tre elementi: primo, il modello costituzionale, cioè, per l'appunto, "il complesso dei poteri che la Costituzione affida al capo dello Stato"; secondo, "la personalità del soggetto chiamato a ricoprire la carica"; terzo, "il grado di stabilità del sistema politico" che è "condizionato dagli equilibri determinati dallo sviluppo dei rapporti tra corpo elettorale, Parlamento, governo, enti locali e altri soggetti del tessuto istituzionale". Immagino che fra questi non meglio definiti "altri soggetti" si trovino i partiti politici. Purtroppo, la fisarmonica immaginata da Giannetto finirebbe per avere troppi potenziali suonatori (o inibitori). La sua interpretazione non migliora quella molto parsimoniosa da me costruita sulle parole di Amato e che vede, lo ripeto, un confronto/scontro fra due soli protagonisti: la Presidenza della Repubblica e il sistema dei partiti. Poi, certo, dovremo guardare dentro il sistema dei partiti, operazione purtroppo non compiuta nella chiave qui suggerita da Luigi Mascilli Migliorini e Gaetano La Nave nel loro capitolo ristretto a I partiti e l'elezione dei presidenti.
Da adesso in poi, però, con il beneplacito di Giuliano Amato, vorrei che chi fa uso della metafora della fisarmonica si riferisca anche a me come collettore dell'interpretazione di Amato e utilizzatore con approfondimenti, variazioni, adattamenti di quanto da lui suggerito, ma, in seguito, né riformulato né applicato.
Il Presidente della Repubblica ha, come è opportunamente sottolineato in molti capitoli, una pluralità di poteri, fra i quali quelli che considero più importanti riguardano le nomine in esclusiva a (giudici costituzionali e senatori a vita, ne tratta efficacemente Barbara Randazzo), l'autorizzazione dei disegni di legge di origine governativa e la promulgazione delle leggi e, anche se non molto incisivo, quello di inviare messaggi alle Camere. Tutti questi poteri sono menzionati e comparativamente, vale a dire a seconda delle Presidenze, misurati in apposite, sintetiche, ma utili, tabelline, da Sabino Cassese (p. 44). Nei capitoli dedicati agli undici presidenti (più uno: De Nicola), i lettori troveranno una cornucopia di informazioni relative ai disegni di legge dei quali i presidenti hanno chiesto una seconda lettura e alle materie che hanno fatto oggetto dei messaggi presidenziali. Poiché mi paiono particolarmente significativi, ricordo il messaggio di Cossiga, giugno 1991, sulle riforme istituzionali, molto criticato e pochissimo compreso nel suo spirito, e quello di Ciampi, In materia di pluralismo e imparzialità dell'informazione, 23 luglio 2002, totalmente disatteso dal solido governo di centro-destra guidato da Silvio Berlusconi che formulò un disegno di legge sul quale Ciampi chiese una seconda deliberazione 15 dicembre 2003.
Nel primo caso, il PCI di Occhetto, definito da Cossiga "uno zombie con i baffi", e la Sinistra Indipendente della Camera presieduta da Rodotà (che Cossiga aveva sfottuto in occasione di una sua visita in Irlanda, chiedendo se sapesse piantare fiorellini e ricevendone l'algida risposta "ho dedicato tutta la mia vita agli studi") procedettero alla richiesta di messa in stato d'accusa del Presidente della Repubblica il quale, fu, poi, ma nei due volumi in esame l'esito non viene menzionato (quanto sarebbe stato utile un indice degli argomenti!), archiviata come improponibile, e non solo perché, nel frattempo, Cossiga si era dimesso. Proprio il caso di Cossiga mi spinge a una riflessione. Uno studio come questo di 1269 pagine che ricomprende anche una bella sezione fotografica, diviso in due densi volumi, approfondito, documentato, ricco di analisi e di dati, come, per esempio, l'ottimo capitolo di Riccardo Brizzi, Storia dell'elezione del Capo dello Stato, poteva essere il luogo dove iniziare la valutazione dei Presidenti della Repubblica italiana così come esiste, dal 1948, la classifica dei Presidenti USA (senza dimenticare neppure per un momento che il Presidente USA combina due cariche: capo dello Stato e capo del governo, the Administration). Inadeguato a questo scopo è quanto scrive, in maniera alquanto episodica, Massimo Mastrogregori, Il fascino di una carica: la presidenza nel giudizio di storici, giuristi, politologi [questi non li ho visti], giornalisti (pp. 789-814), ma neanche il pur interessante capitolo di Angelo Varni, Il Quirinale nella stampa quotidiana, va nella direzione di offerta di elementi per la valutazione complessiva dei Presidenti.
Sarebbe utile formulare criteri condivisi con i quali poi dare i punteggi a ciascun Presidente italiano. Non mi pare un esercizio ozioso e irrilevante al quale, opportunamente indirizzati, avrebbero potuto servire i capitoli dedicati a ciascun Presidente. Invece, in non pochi casi noto disparità anche profonde nei criteri utilizzati dagli studiosi stessi che hanno contribuito a questi volumi, ad esempio, nella sua ampia panoramica introduttiva (l'ultimo saggio della sua amplissima importantissima produzione storiografica), Giuseppe Galasso critica severamente Oscar Luigi Scalfaro anche perché "non riuscì mai a dare l'idea del 'presidente di tutti gli italiani'" (p. 29). Dovrebbe questo essere un criterio importante di valutazione della loro opera? Se è così, però, la, a mio modo di vedere, alquanto sorprendente, rivalutazione di Giovanni Leone ad opera di Giorgio Vecchio, dovrebbe sicuramente essere ridimensionata. Neanche "la rinnovata simpatia" (p. 31) di cui godette Ciampi per il suo semplice succedere a Scalfaro mi pare convincente come eventuale criterio. Non dovremmo, piuttosto, chiederci se il criterio più importante non sia quello del successo del Presidente, non per quanto attiene alla pure importante scena internazionale, analizzata da Andrea Giannotti, bensì come rappresentante dell'unità nazionale che accetta su di sé il compito di fare funzionare al meglio il circuito istituzionale e i rapporti istituzioni-cittadini? E riesce a fare questo, l'ho già scritto nel capitolo apposito di Cittadini senza scettro. Le riforme sbagliate, Milano, Egea-Unibocconi, 2015) evitando scontri e traumi, conflitti e logorii, manipolazioni (e il cosiddetto autoscioglimento del Parlamento ad opera di una maggioranza costituisce il massimo della manipolazione delle istituzioni e dell'opinione pubblica). Opportunamente, Galasso chiama in causa l'elemento dell'autorevolezza conquistata sul campo da Napolitano, ma non può esimersi dal notare che quell'autorevolezza "fu vivamente combattuta … dalla parte politica (soprattutto il centro-destra) che se ne sentiva meno persuasa e più colpita" (p. 31), dunque, per restare sui criteri, andando a scapito della popolarità.
Il fatto, non una coincidenza, è che tanto Scalfaro quanto Napolitano sono stati controversi non soltanto per il loro esercizio puntuale e puntuto dei loro poteri, ma soprattutto per non avere acceduto alla richiesta dei partiti (dei loro capi) di procedere allo scioglimento anticipato del Parlamento. L'esempio più noto e più clamoroso riguarda il primo scioglimento anticipato del Parlamento italiano concesso dal neo-eletto Presidente Leone nel febbraio 1972, dopo la discutibile formazione del primo brevissimo governo Andreotti, per ricompensare Almirante e il Movimento Sociale Italiano dei voti decisivi per la sua tormentata elezione. In effetti, il MSI capitalizzò sulla sua posizione " legge e ordine" nella fase nascente dei terrorismi italiani ottenendo quasi il doppio dei voti del 1968. Invece, Scalfaro e Napolitano negarono lo scioglimento anticipato, rispettivamente, il primo, sia a Berlusconi, dicembre 1994, sia, coerentemente, a Prodi, ottobre 1998; il secondo nel novembre-dicembre 2011a quanti sia in Forza Italia sia nel PD (ma non il segretario Bersani che dichiarò: "non chiedo di andare a elezioni anticipate poiché non voglio vincere sulle macerie"….). Non vado oltre anche se credo sia più che legittimo interrogarsi relativamente alle modalità di sostituzione nel febbraio 2014 del governo guidato da Enrico Letta con il governo affidato a Matteo Renzi. Forse troppo preoccupato dalla tenuta del quadro politico (eh, sì, sono obbligato a usare il "politichese"), il Presidente Napolitano prese troppo facilmente, qualcuno direbbe supinamente, atto della volontà del capo del partito di maggioranza assoluta (ancorché tale perché gonfiato da un abnorme premio in seggi) di cambiare musica. Sarebbe stato preferibile, a mio modo di vedere (ma non so quanto se lo stesso Letta lo abbia voluto), "parlamentarizzare" quella trasmissione di cariche.
Insomma, c'è ancora molto da scoprire, molto da analizzare, molto da interpretare per quel che riguarda i Presidenti italiani (finora solo uomini in carne, ossa ed esercizio della carica) e la Presidenza come istituzione, con la sua dotazione di poteri costituzionali e politici che la separano nettamente e positivamente, tutta un'altra musica!, sia dalla Presidenza della Quarta Repubblica francese sia dalla Presidenza della Repubblica federale tedesca. Non c'è dubbio che gli approfondimenti saranno resi necessari dalla tormentata storia a venire della Repubblica. Grazie a questi due importanti volumi si può, si deve, sarà possibile, con nuove ricerche e opportune revisioni, andare oltre.
Cassese, S., Galasso, G. e Melloni, A. (a cura di), I Presidenti della Repubblica. Il Capo dello Stato e il Quirinale nella storia della democrazia italiana, Bologna, Il Mulino, 2018, due voll.
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