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PER CITARE UN VERSETTO
[Discorso ai laureati del 1984 allo Williams College tenuto da Josif Brodskij]
Signore e signori,
qualunque strada possiate scegliere, quella dell'audacia o quella della prudenza, nel corso della vita siete destinati a entrare in contatto, direttamente, fisicamente, con un'entità conosciuta col nome di Male. Non mi riferisco a una presenza peculiare del romanzo gotico, bensì, per non dire altro, a una palpabile realtà sociale che non potete controllare in alcun modo. Non c'è bontà d'animo, per quanto grande, né astuzia, per quanto sottile, che possa impedire questo incontro. Anzi, quanto più sottili sono i vostri calcoli, quanto più prudente è la vostra condotta, tanto maggiori sono le probabilità di questo appuntamento, e tanto più violento è l'urto. Tale è la struttura della vita che quello che noi chiamiamo Male è capace di un'ubiquità pressoché assoluta, se non altro perché tende a mostrarsi nelle sembianze del bene. Non succede mai che entri in casa vostra presentandosi col suo nome: "Salve, mi chiamo Male!". Questo, naturalmente, vi dà un'idea della sua natura di plagiario, ma il sollievo che si può trarre da una tale osservazione è appannato dalla frequenza con cui viene fatta.
Sarebbe prudente, quindi, sottoporre le vostre nozioni del bene a un esame il più attento possibile, perlustrare tutto il vostro guardaroba, per così dire, alla ricerca degli abiti che potrebbero attagliarsi a un estraneo. Certo, è un'occupazione che può impegnarvi a tempo pieno, e ne varrebbe la pena. Scoprirete con stupore quante cose che consideravate vostre e buone si adattino comodamente, senza bisogno di molti ritocchi, al vostro nemico. Può succedere addirittura che cominciate a domandarvi se lui non sia la vostra immagine nello specchio, perché la cosa più interessante, nel Male, è il suo aspetto umano, del tutto umano. Senza esagerare, non c'è nulla che si possa rovesciare e indossare alla rovescia così facilmente come la nozione di giustizia sociale, coscienza civica, avvenire migliore, eccetera. Uno dei più sicuri segnali di pericolo, in questo campo, è il numero di coloro che condividono le vostre idee, non tanto perché l'unanimità ha il dono di degenerare in uniformità quanto per la probabilità - implicita nei grandi numeriche i nobili sentimenti siano contraffatti.
Per lo stesso motivo la più sicura difesa contro il Male è un individualismo estremo, l'originalità di pensiero, la bizzarria, perfino - se volete - l'eccentricità. Qualcosa, cioè, che non può essere simulato, falsificato, imitato; qualcosa che metterebbe in imbarazzo anche un provetto impostore. Qualcosa, in altre parole, che non può essere diviso con altri, come la vostra pelle: nemmeno con una minoranza. Il Male ha un debole per la solida normalità. Va matto per le grosse cifre, per la fiducia granitica, per la purezza ideologica, per gli eserciti ben addestrati e per i bilanci ben assestati. Alla sua simpatia per queste cose non è estranea, presumibilmente, una innata insicurezza; ma è una constatazione, anche questa, che non può dare molto sollievo quando il Male trionfa.
E il Male trionfa: in tante parti del mondo e dentro noi stessi. Se si considera l'ampiezza e l'intensità con cui si manifesta, se si considera, soprattutto, la fatica di quelli che lo combattono, oggi il Male può essere visto non come una categoria etica bensì come un fenomeno fisico che non si misura più in particelle ma occupa le pagine degli atlanti geografici. Quindi, il motivo per cui vi parlo di tutto questo non ha niente a che fare con la vostra età, con la vostra condizione di giovani che guardano con occhi limpidi una lavagna pulita. No, la lavagna è sporca, ed è difficile credere nella vostra capacità o nella vostra volontà di pulirla. Le mie parole hanno semplicemente lo scopo di suggerirvi una forma di resistenza che un giorno può esservi utile, che può aiutarvi a uscire dal vostro incontro col Male forse meno sudici - anche se non necessariamente più vittoriosi - di quelli che vi hanno preceduto. Quella a cui sto pensando, come avrete capito, è la famosa faccenda dell'altra guancia.
Immagino che in un modo o nell'altro avrete sentito parlare delle varie interpretazioni che di questa parte del Discorso della Montagna hanno dato Lev Tolstoj, il Mahatma Gandhi, Martin Luther King jr. e tanti altri. Immagino, in altre parole, che vi sia familiare il concetto di resistenza passiva, o non violenta, che ha come cardine il principio di rendere bene per male, di non ripagare con la stessa moneta. Il fatto che oggi il mondo sia quello che è fa ritenere, a dir poco, che questo concetto sia ben lontano dall'essere apprezzato universalmente. I motivi della sua impopolarità sono due. Primo, ciò che occorre perché questo concetto sia messo in pratica è un margine di democrazia; ed è proprio quello che manca all'86 per cento del globo terraqueo. Secondo, il senso comune dice alla vittima che a porgere l'altra guancia e a non rispondere per le rime potrà ottenere tutt'al più una vittoria morale, ossia qualcosa di immateriale, di impalpabile. La naturale ritrosia a esporre ai colpi dell'avversario un'altra parte del vostro corpo è giustificata dal sospetto che un simile comportamento serva solo a eccitare ed esaltare il Male; che la vostra vittoria morale possa dare all'avversario la certezza dell'impunità.
Vi sono anche altri motivi, più gravi, per essere sospettosi. Se il primo colpo non ha prodotto un oscuramento totale nel cervello della vittima, questa può rendersi conto che l'offerta dell'altra guancia equivale a una manipolazione del senso di colpa dell'aggressore, per non parlare del suo karma. In fondo, la vittoria morale in sé potrebbe non essere tanto morale, e non solo perché la sofferenza ha spesso un suo aspetto narcisistico ma anche perché conferisce alla vittima una superiorità sul suo nemico, cioè la rende migliore di lui. Ora, per quanto malvagio sia il vostro nemico, resta il fatto fondamentale che è umano; e noi, benché incapaci di amare il prossimo nostro come noi stessi, sappiamo nondimeno che il male mette radici quando un uomo comincia a pensare di essere migliore di un altro. (Questo vi dice perché intanto avete buscato quel colpo sulla guancia destra). Se tutto va bene, dunque, ciò che si può ottenere con l'offerta dell'altra guancia al proprio nemico è la soddisfazione di dimostrargli tutta l'inutilità della sua azione. "Guarda," dice l'altra guancia "tu colpisci la carne, soltanto la carne. Non me. La mia anima non puoi farla fuori". Con un simile atteggiamento, certo, il pericolo è che il nemico possa accettare la sfida senz'altro.
Vent'anni fa, in una delle numerose prigioni della Russia settentrionale, avvenne la scena seguente. Alle sette del mattino la porta di una cella si spalancò e sulla soglia apparve una guardia che apostrofò i detenuti. "Cittadini! Il collettivo delle guardie carcerarie vi sfida tutti, voi detenuti, a una competizione socialista: si tratta di spaccare la legna ammassata nel cortile". Da quelle parti non c'è il riscaldamento centrale, e la polizia impone una tassa, per chiamarla così, a tutte le aziende forestali dei dintorni facendosi consegnare un decimo della loro produzione. Al tempo di cui vi parlo il cortile della prigione sembrava un autentico deposito di legname: le cataste avevano raggiunto un'altezza tale che il quadrangolo della prigione, avendo un solo piano, sembrava una casetta fra tanti palazzi. Era evidente che bisognava spaccare un po' di legna, sebbene non fosse la prima volta che si svolgevano competizioni socialiste di quel genere. "E se io mi rifiutassi?" s'informò uno dei detenuti. "Be', in questo caso vai a letto a pancia vuota" rispose la guardia.
Furono distribuite le asce ai detenuti, e il lavoro cominciò. Prigionieri e guardie ci si misero d'impegno, e a mezzogiorno erano tutti stremati, specialmente i prigionieri, per via della loro denutrizione cronica. Fu annunciato un intervallo, e la gente si sedette a mangiare: tranne il tipo che aveva fatto quella tale domanda. Lui continuò a menare colpi d'ascia. Prigionieri e guardie si scambiavano delle battute su di lui, dicendo più o meno che di solito gli ebrei passano per drittoni, mentre quello lì... e via di questo passo. Dopo l'intervallo ripresero il lavoro, ma non proprio con la stessa lena. Alle quattro le guardie smisero perché il turno di servizio, per loro, era finito; dopo un po' si fermarono anche i detenuti. Ma l'ascia di quello là continuava ad andare su e giù, su e giù. Gli gridarono di piantarla, glielo dissero le guardie e i prigionieri, ma lui niente. Sembrava che ormai, acquistato un certo ritmo, non volesse interromperlo; o era il ritmo che si era impadronito di lui?
Agli occhi degli altri era diventato quasi un automa. Alle cinque, alle sei, l'ascia era ancora in movimento: su e giù. Guardie e detenuti seguivano ogni suo gesto, e sulle loro facce, a poco a poco, la smorfia sardonica lasciò il posto a un'espressione di stupore e poi di terrore. Alle sette e mezzo l'uomo si fermò, si avviò barcollando verso la sua cella, vi entrò e stramazzò addormentato. Per il resto del suo soggiorno in quella prigione non fu più indetta nessuna gara socialista tra guardie e detenuti, sebbene il legname continuasse ad ammucchiarsi.
Un'impresa simile - dodici ore di seguito a spaccare legna - fu possibile, suppongo, perché quel tipo era molto giovane, allora. Infatti aveva ventiquattro anni. Appena un po' più della vostra età. Ma io credo che possa esservi stato anche un altro motivo nel suo comportamento di quel giorno. Può darsi benissimo che quel giovane - proprio perché era così giovane - rammentasse meglio di Tolstoj e di Gandhi il testo del Discorso della Montagna. Poiché il Figlio dell'Uomo aveva l'abitudine di parlare per triadi, il giovane potrebbe essersi ricordato che dopo il versetto
ma se uno ti percuote sulla guancia destra, porgi a lui anche l'altra
non c'è una pausa. Il testo, infatti, aggiunge subito:
e se uno vuole chiamarti in giudizio e toglierti la tunica, cedigli anche il "tuo" mantello. E se uno ti forza a fare un miglio, va' con lui per due miglia.
Citati per esteso, questi versetti hanno in realtà ben poco a che fare con la resistenza passiva o non violenta, con i precetti di non ripagare con la stessa moneta e di rendere bene per male. Il loro significato è tutt'altro che passivo, poiché vi è implicita l'idea che il male può essere reso assurdo per eccesso; vi è implicito il suggerimento di rendere assurdo il male sminuendone le pretese con una condiscendenza pressoché illimitata che svaluta il danno. Un atteggiamento simile mette la vittima in una posizione molto attiva, nella condizione di un aggressore mentale. La vittoria possibile in tali circostanze non è una vittoria morale, bensì esistenziale. Qui l'altra guancia non mette in moto il senso di colpa del nemico (un senso di colpa che egli sarebbe capacissimo di reprimere), ma espone i suoi sensi e le sue facoltà all'insensatezza di tutta l'operazione: è lo stesso effetto che può fare ogni forma di produzione di massa.
Mi permetto di ricordarvi che qui non stiamo parlando di una situazione che comporti un combattimento leale. Stiamo parlando di situazioni in cui uno si trova fin dall'inizio in uno stato d'inferiorità assoluta, senza speranza, in cui uno non ha modo di contrattaccare, in cui le probabilità sono contro di lui, e in maniera schiacciante. In altre parole, parliamo delle ore più buie della vita, quando il senso della propria superiorità morale sul nemico non offre alcun sollievo, quando questo nemico si è ormai spinto troppo oltre per vergognarsi o per avere nostalgia degli scrupoli abbandonati, quando uno non ha più niente per difendersi, tranne la propria faccia, una tunica, un mantello e un paio di piedi che possono ancora camminare per un miglio o due.
In questa situazione resta ben poco spazio per le manovre tattiche. Così l'offerta dell'altra guancia dovrà essere, da parte vostra, una decisione consapevole, fredda, deliberata. Le vostre probabilità di vincere, per quanto esili, dipendono tutte dal fatto che sappiate o no quello che state facendo. Quando spingete avanti la faccia con la guancia rivolta al nemico, dovete sapere che questo è appena l'inizio del cimento, soltanto il primo dei versetti - e dovete riuscire a vedervi per tutta la sequenza, per tutti i tre versetti del Discorso della Montagna. Altrimenti, una frase isolata dal contesto vi lascerà malconci.
Fondare un'etica su un versetto citato erroneamente significa andare in cerca di guai oppure ridursi alla mentalità del borghese che si gode il supremo piacere: quello delle proprie convinzioni. In entrambi i casi (ma il secondo, con tutte le sue tessere d'iscrizione a movimenti filantropici e ad associazioni senza fini di lucro, è il meno digeribile) il risultato è quello di cedere terreno al Male, di ritardare la comprensione dei suoi punti deboli. Perché il Male, vorrei ricordarvelo, è umano, solo umano.
L'etica fondata su questo versetto citato erroneamente non ha cambiato nulla nell'India post-gandhiana, salvo il colore del governo. Dal punto di vista di un uomo che soffre la fame, non ha nessuna importanza chi sia a fargliela soffrire. Io sospetto che quest'uomo possa addirittura preferire un bianco come responsabile dei propri guai, se non altro perché così il male sociale sembra provenire da fuori, da lontano, e magari può essere meno "efficiente" di quello inflitto da persone dello stesso sangue. Quando a comandare è uno straniero, c'è ancora spazio per la speranza, per la fantasia.
Analogamente, nella Russia post-tolstojana un'etica fondata sull'erronea citazione di questo versetto indebolì di molto la volontà di resistenza della nazione di fronte allo Stato di polizia. Quello che ne è seguito lo sappiamo fin troppo bene: per sei decenni non si è fatto altro che offrire l'altra guancia, e questi sei decenni hanno trasformato la faccia della nazione in una vasta ecchimosi, tanto che oggi lo Stato, stanco della propria violenza, si limita ormai a sputare su quella faccia. Nonché sulla faccia del mondo. In altre parole, se volete secolarizzare il cristianesimo, se volete tradurre gli insegnamenti del Cristo in termini politici, vi serve qualcosa di più del moderno frasario politico: dovete risalire all'originale - quanto meno dovete averlo nella vostra testa, se non ha trovato posto nel vostro cuore. Poiché Egli era non tanto un uomo buono quanto uno spirito divino, è inevitabile, è fatale che si insista a parlare della Sua bontà a scapito della Sua metafisica.
Devo ammettere che provo un certo imbarazzo a parlare di queste cose: perché la propensione a porgere o non porgere quella tal guancia è, alla fine, una faccenda estremamente privata, intima. L'incontro avviene sempre a tu per tu, come in un duello. Si tratta sempre della vostra pelle, della vostra tunica, del vostro mantello, e sono vostri gli arti che devono camminare. Dare consigli o, peggio, rivolgere esortazioni sull'uso di questi effetti personali, se non è completamente sbagliato, è senza dubbio inopportuno e sconveniente. Io vorrei soltanto - è il massimo delle mie aspirazioni - cancellare dalla vostra testa un cliché che ha danneggiato tanta gente e dato così pochi frutti. Vorrei anche istillare in voi l'idea che fin quando avete la vostra pelle, una tunica, un mantello e gli arti, non siete ancora sconfitti, checché ne dicano le probabilità.
C'è però un'altra ragione, più importante, per sentirsi a disagio quando si discute di queste cose in pubblico; e non è soltanto la vostra naturale riluttanza a vedere nelle vostre giovani persone delle vittime potenziali. No: è piuttosto un puro e semplice spirito realistico che fa prevedere la presenza tra voi di qualche malvagio "in pectore"; ed è pessima strategia svelare i segreti della propria guerra di resistenza al cospetto del potenziale nemico. Ciò che forse può assolverci dall'accusa di tradimento o, peggio, dall'accusa di proiettare nel futuro lo "status quo" tattico, è la speranza che la vittima saprà sempre essere più inventiva, più originale nel suo modo di pensare, più intraprendente del malvagio. Da qui la possibilità che la vittima riesca a trionfare.
Williams College, 1984.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 11 GENNAIO 2019 |