Maurizio Carta  
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NUOVI PARADIGMI PER UNA DIVERSA URBANISTICA


Commento al libro di Gabriele Pasqui



Maurizio Carta


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Negli ultimi decenni l'urbanistica più conformista - con pochi e inascoltati critici e innovatori - è stata troppo occupata a progettare città che mineralizzano il suolo, che aumentano le emissioni di gas serra, che soffocano la diversità, che amplificano diseguaglianze e che erodono le risorse naturali e culturali per riuscire, invece, a sviluppare strategie urbane più sensibili, integrate e proattive, capaci di alimentare piani e progetti in grado di rispondere ai bisogni delle città e delle loro comunità, sempre più plurali, sensibili, attive e nomadi. Ma i tempi sono cambiati, e l'urbanistica deve anch'essa percorrere la sua metamorfosi: di orizzonti, di paradigmi, di strumenti e, non secondariamente, di linguaggio. In questa "metamorfosi del mondo"(1) si inserisce, con l'autorevolezza che deriva dalla sapienza e dalla militanza, Gabriele Pasqui che nel suo prezioso Urbanistica oggi. Piccolo lessico critico (Donzelli, 2017), invoca "una riflessione aperta, anche spietata, sui nostri saper dire e saper fare, [poiché] la situazione di vero e proprio discredito in cui è caduta l'urbanistica è dovuta anche ad un eccesso di ambizioni [sbagliate aggiungo io] destinato a produrre altrettante delusioni".

Da quando siamo entrati nell'Antropocene, l'era della pervasiva impronta ecologica sul pianeta prodotta dalle attività umane a partire dalla Rivoluzione Industriale, come definita da Stoermer negli anni Ottanta e poi affinata insieme a Crutzen negli anni Duemila (2), abbiamo non solo eroso risorse materiali, ma abbiamo consumato la visione generativa del nostro stare al mondo, perdendo quella capacità dell'umanità di essere simbiotica con il pianeta, in una fertile interdipendenza di vite. Dopo molti e inascoltati allarmi sui limiti dello sviluppo (3), sui limiti del pianeta (4) e sulle conseguenze del cambiamento climatico (5) non basta più agire per una manutenzione dell'Antropocene. Oggi serve un salto evolutivo dei nostri stili di vita per adattare - il più rapidamente possibile - le forme insediative e produttive alla transizione verso la società decarbonizzata e per fornire una risposta proattiva al "Nuovo Regime Climatico" (6). Serve superare il Paleoantropocene erosivo, dissipativo e depredatore per entrare con consapevolezza nel Neoantropocene generativo, creativo e adattivo. E questo ci chiama, come urbanisti, a una nuova sfida: ridurre l'impronta ecologica delle attività umane sul pianeta rimodellando lo spazio insediativo e utilizzare attivamente l'intelligenza collettiva che deriva dalle idee e dalla sensibilità umana nei confronti dell'ambiente re-immaginando le funzioni urbane, ma, soprattutto, ci chiama ad una diffusione globale di una rinnovata ecologia integrale, come indica con autorevolezza l'Enciclica papale Laudato si', sulla cura della casa comune. Oggi le tensioni anti-urbane, il dibattito urbanistico più sensibile e una rinnovata etica della responsabilità politica ci chiedono di essere più creativi nell'uso delle risorse naturali e culturali, più intelligenti nelle politiche economiche, più aperti nella governance, più efficienti nel settore dei trasporti e più resilienti negli stili di vita: autosufficienza, circolarità, condivisione e riciclo sono le chiavi principali di una rinnovata visione di futuro.

Se le città del Neoantropocene possono essere considerate organismi vibranti di bisogni e risposte collaborative, di dati e di informazioni condivisi, di sensori e attuatori distribuiti, di azioni e reazioni del metabolismo urbano e umano, allora l'urbanistica deve farsi carico di comprendere e guidare questa vitalità generata da nuove relazioni, deve farsi carico di compensare le diseguaglianze della trasformazione digitale, deve assumere la responsabilità di definire i limiti e le opportunità di questa fase di transizione. A partire dal lessico, rinnovandolo in alcuni casi o recuperando antichi lemmi ritrovandone la ricchezza semiotica, come fa Gabriele Pasqui con accortezza.

Seimila anni fa la città è stata la migliore invenzione del genere umano, pensata per essere un "dispositivo di consenso" per l'evoluzione della comunità e l'innovazione delle idee, non solo un luogo sicuro o simbolico. Durante la millenaria evoluzione urbana il ruolo di miglioramento della città è stato costantemente supportato dalla tecnologia: prima meccanica, poi idraulica e a vapore, in seguito elettrica, oggi digitale. E la recente rivoluzione della Smart City, nata come un'innovazione dirompente, è diventata presto un tabù intoccabile, esistendo più nella dimensione seducente delle promesse che nella realtà quotidiana delle nostre città (7). Ma non è sufficiente inserire la tecnologia dell'informazione o protesi digitali in un corpo urbano tradizionale per migliorarne l'intelligenza e la multinazionale retorica della Smart City tratta la città come un'astrazione, trascurando o fraintendendo quei processi spaziali, sociali e culturali che potrebbero veramente generare nuovo significato e rinnovato valore urbano alimentato dalla capacità della città di percepire meglio i problemi e dell'urbanistica di agire tempestivamente per la loro soluzione (8).

La città è nata come il luogo migliore per vivere, non solo per la protezione da una natura ostile ma perché consente una vita di comunità che costruisce relazioni feconde, genera sinapsi fertili, produce nuove economie e accelera l'innovazione. Se le città hanno resistito a tutte le proposte alternative, diventando la forma prevalente di insediamento umano, è grazie alla loro capacità di creare continuamente una piattaforma per l'innovazione, che offra materiali (spaziali e sociali) con cui costruire nuove relazioni e modelli di vita. Oggi è ancora la città che deve farsi carico della sfida e della responsabilità di reimmaginare l'urbanistica (9) per completare il processo di metamorfosi verso la indispensabile post-carbon society. Dobbiamo recuperare il significato originale dell'urbanistica come progetto della qualità e benessere, la sua dimensione proiettiva e i suoi valori collettivi per migliorare il senso civico e di appartenenza ai luoghi. "Una discussione - scrive Pasqui - che auspicherei non fosse limitata agli addetti ai lavori: credo [e io con lui] che solo se i nostri temi di ricerca e di progetto diventano parte di una più ampia discussione pubblica, i nostri saperi possono legittimamente aspirare a giocare un ruolo importante in Italia e in Europa".

 

Paradigmi, strumenti e parole della città aumentata

La città intesa come luogo di valorizzazione della intelligenza collettiva dei suoi abitanti invoca un cambiamento di paradigma in grado di produrre un set di strumenti procedurali e operativi per coloro che vogliano accettare la sfida di ribaltare una visione sterile e poco innovativa. Abbiamo bisogno di definire un nuovo terreno di gioco per una visione alternativa più proficua, capace di rinnovare e potenziare il ruolo della città come piattaforma abilitante delle capacità umane, come acceleratore di responsabilità collettive e come moltiplicatore del capitale umano. Ho definito queste città Augmented Cities (10), città aumentate, perché incrementano la qualità della vita degli abitanti usando, si, la tecnologia, l'innovazione e la creatività, ma come mezzo e mai come fine o, peggio, come protesi. Città che siano, di nuovo, dispositivi abilitanti per le comunità che vogliano vivere pienamente la transizione, luoghi per la crescita delle persone e per la realizzazione delle loro aspirazioni, oltre che per la risposta ai loro bisogni e diritti. Città per un nuovo modo di vivere, capaci di accrescere sensibilità, comprensione e partecipazione degli abitanti e di chi le attraversa, innovando soprattutto i settori ad alto impatto sociale e culturale: la progettazione dello spazio pubblico, la produzione di servizi innovativi, la chiusura del ciclo produzione-distribuzione-consumo energetico, la mobilità sostenibile, l'efficienza energetica degli edifici, la partecipazione. Città che sappiano innovare ambiti complessi, strategici e multi-attore quali l'educazione, l'integrazione sociale, la salute e il metabolismo urbano, la valorizzazione e fruizione del patrimonio culturale, l'attrattività turistica e la produzione culturale. Città più senzienti nei confronti delle persone e dell'ambiente e in grado di evolversi in maniera resiliente, flessibile, adottando processi incrementali e adattivi che generino comunità a partire dalla nostra nuova "umanità aumentata" (11).

Voglio, quindi, qui, a partire dal libro di Gabriele Pasqui, ragionare sulla città aumentata come un dispositivo spaziale/culturale/sociale/economico per amplificare la vita degli abitanti, potenziandone talenti, accessibilità, opportunità e diritti. Un "dispositivo" necessario a migliorare la vita urbana contemporanea, individuale e collettiva, informale e istituzionale, generatrice di giustizia, benessere e felicità. Anche Pasqui nel suo lessico si sofferma sul concetto di dispositivo che connota, nella riflessione di Michel Foucault, "una forma di manipolazione su forze o oggetti strategicamente iscritta in giochi di potere e legata a saperi che la influenzano e ne sono a loro volta influenzati. […] Meccanismi di regolazione che definiscono diagrammi di potere (di inclusione/esclusione; di possibilità/impossibilità), intramati entro forme specifiche di sapere". In inglese, dispositivo si traduce con il termine tool, aprendo alla fecondità dei contributi scientifici sui planning tools nell'azione di smontaggio dei meccanismi urbanistici tradizionali e dei loro effetti nel dominio più ampio della governance dello spazio. "Quando osserviamo le pratiche urbanistiche - scrive Pasqui - possiamo dunque riconoscere una pluralità di policy tools, che con diverso grado di coerenza ed efficacia perseguono molteplici obiettivi". Tra questi dispositivi di politiche iscrivo, appunto, la città aumentata che smonta i tradizionali meccanismi urbanistici, essenzialmente regolativi, per rimontarli secondo un nuovo e più efficace codice che torni ad essere generativo.

Se ormai viviamo e agiamo in una realtà aumentata in modo permanente da dispositivi hard e soft, le città devono essere più sensibili e reattive ai nostri cambiamenti comportamentali. Dobbiamo essere in grado di costruire un ambiente urbano più efficiente, in grado di percepire quello che accade e di reagire tempestivamente per tutti gli abitanti, e non solo per alcune categorie privilegiate. Perché concordo con Gabriele Pasqui che l'urbanistica debba tornare l'arte dell'abitare, consapevoli che "oggi, tuttavia, abitare è sempre più arte e insieme fatica, in presenza di un impoverimento delle attrezzature e dei servizi del welfare materiale e di un cambiamento sociale che ci consegna una varietà straordinaria di forme di vita e di organizzazione sociale", a cui dobbiamo dare risposte diversificate e non consuetudinarie, risposte che seguano i principi di abitabilità, giustizia e qualità della vita: una "urbanistica che non si propone di "mettere le brache" al mondo, ma di accompagnare a governare la verità", e se possibile di aumentare la nostra capacità di comprensione e cura della verità.

Per migliorare gli strumenti - epistemologici, procedurali e operativi - di una rinnovata urbanistica dobbiamo ripensare i concetti chiave in grado di rigenerare l'urbanistica e la pianificazione territoriale per progettare la città aumentata - in senso spaziale, sociale ed economico - di fronte alle sfide di un XXI secolo che voglia aprire le porte del Neoantropocene. Ci servono nuovi concetti/paradigmi che possano generare i veri antidoti contro una urbanistica esclusivamente regolativa e non generativa, troppo conformativa e non performativa, eccessivamente dirigista e non collaborativa. Come sottolinea Pasqui, servono nuove parole chiave o occorre scavare nel palinsesto della disciplina per riscoprire potenti parole che si sono affievolite negli strani tempi che viviamo. Servono parole - e non ditemi che sono solo parole, perché io credo nella forza irresistibile delle parole di plasmare il pensiero e quindi di modellare la realtà - che definiscano attributi specifici delle città contemporanee in grado di aumentare la loro forza innovativa e creativa come piattaforme abilitanti, server di conoscenza e sistema operativo dello sviluppo.

Serve quindi una pratica urbanistica riflessiva, di nuovo come già invocava Donald Schön nel 1982 nel suo celebre The Reflective Practitioner (12). Perché ci dobbiamo domandare - come fa Gabriele Pasqui - "come si può abitare una pratica e al tempo stesso dirla, raccontarla, scriverla, collocandola in un altro orizzonte di senso? Come è possibile farlo quando la pratica stessa, pur nel suo intreccio con altre, è una pratica di sapere, per quanto connotata in modo specifico rispetto ad altre pratiche scientifiche?".

In questa ricerca abduttiva di principi generali a partire dalle pratiche e di regole pratiche desunte da nuovi principi, anche io voglio ragionare su alcune parole/concetti chiave che completano quelli proposti da Pasqui, rafforzando la struttura linguistica del pensiero urbanistico. La prima parola che vi propongo è 'sensori', perché un fondamento delle città aumentate del diverso presente che vogliamo vivere è che esse debbano essere sempre più senzienti, attingendo a nuove fonti, parametri e strumenti per rafforzare gli strumenti cognitivi, valutativi e attuativi di un'urbanistica sempre più basata sulla conoscenza istantanea e distribuita e capace di produrre soluzioni tempestive, efficaci, solide e orientate ad uno scenario di cooperazione. Una città che si faccia sensore esteso e istantaneo dei bisogni, interprete della voce silente dell'ambiente e interfaccia tra i linguaggi dello spazio e quelli della società. Conseguentemente, compito dell'urbanistica - sottolinea Pasqui - "è valutare con attenzione le conseguenze di queste innovazioni tecnologiche sull'organizzazione dello spazio urbano e sull'accrescimento degli standard di qualità urbana e ambientale e più in generale di abitabilità dello spazio".

La conseguenza di una maggiore capacità di ascolto tempestivo è il rafforzamento e l'espansione della dimensione 'collaborativa' della città, fondata sull'alleanza strutturale tra le dimensioni civica-tecnologica-urbana per agire efficacemente nella società della condivisione in cui viviamo, generando nuove forme dello spazio collettivo: luoghi di aggregazione e alloggi, infrastrutture sociali e luoghi del lavoro condivisi e quindi attivatori di un rinnovato patto di comunità che riattivi i fattori costitutivi della vita urbana. Condivido con Pasqui i timori per il rischio manipolativo nell'utilizzo di tecnologie della partecipazione, a cui oppone la qualità della democrazia locale come "requisito essenziale di trasparenza delle scelte urbanistiche, […] garantita attraverso pratiche e dispositivi capaci di lasciare spazio al conflitto e di costruire le condizioni di una ripoliticizzazione della partecipazione", trasformandola in presidio di democrazia.

Una città aumentata usa, quindi, la sua 'intelligenza' - non solo come protesi tecnologica - per generare un ecosistema abilitante basato sull'hardware fornito dalla qualità degli spazi urbani e sul software codificato dalla cittadinanza attiva, ma soprattutto se dotata di un nuovo sistema operativo costituito da un'urbanistica e da un progetto urbano avanzati, capaci di rispondere alle mutate domande della contemporaneità, sempre più plurali, conflittuali, talvolta sommesse e altrettante urlate. Dobbiamo saper fare ordine nel caos delle domande sociali, sempre più sciame sismico di bisogni ed emergenze. Un'intelligenza urbana che alimenti "non un'urbanistica 'per' le popolazioni, dunque, ma un'urbanistica 'delle' popolazioni, che lasci risuonare il doppio genitivo e che costituisca una condizione di possibilità per la varietà e per le differenze, per la produzione e riproduzione di beni pubblici e beni comuni veicolata dall'auto-organizzazione della società".

Una quarta parola chiave che voglio aggiungere al lessico già ampio di Gabriele Pasqui è 'produttività' perché le città del futuro prossimo dovranno incentivare la territorializzazione dei makers all'interno dei nuovi distretti urbani creativi/produttivi per stimolare, agevolare e localizzare adeguatamente il ritorno della produzione nelle città, nelle forme delle nuove manifatture digitali (13), per la ricostituzione di una indispensabile base economica delle città, dopo gli anni della euforia per la città dei servizi. Ma la città dovrà anche essere sempre più 'creativa' attraverso l'uso integrato della cultura, della comunicazione e della cooperazione come risorse per una città attiva in grado di generare nuove forme e cicli di vita e una diversa crescita fondata sull'identità, sulla qualità e sulla reputazione, e soprattutto sulla creatività come catalizzatore sociale e generatore di nuove morfologie e usi dello spazio pubblico, sempre più ibrido.

Crescita e decrescita è una opposizione sui cui Gabriele Pasqui si sofferma con particolare sensibilità, evocando la memorabile scena iniziale dell'Esercito delle 12 scimmie di Terry Gilliam, "in cui la città del futuro distopico riconquista parcheggi e centri commerciali, oltre che aree industriali e scali ferroviari, invitandoci a prendere sul serio l'eclisse del paradigma del nesso tra urbanistica e crescita". Un'urbanistica che voglia agire in maniera efficace per "aumentare la città" deve fondarsi sul 'riciclo' e adottare essa stessa un approccio circolare. Pertanto, chiede una metamorfosi del paradigma basato non solo sulla riduzione, il riuso e il riciclo delle sue risorse materiali e immateriali, ma in grado di disegnare una nuova forma territoriale in grado di cogliere le opportunità del metabolismo circolare, inserendo anche il "riciclo programmato" tra le componenti del progetto. Abbiamo dunque bisogno di una nuova urbanistica della "diversa crescita"(14), "in grado di governare, utilizzando criticamente i modelli e le tradizioni dell'urbanistica europea del XX secolo, gli effetti perversi e le esternalità dei nuovi processi di urbanizzazione".

Una città aumentata incrementa, quindi, la sua 'resilienza' accettando consapevolmente la sfida dell'adattamento come dispositivo progettuale per insediamenti iper-ciclici e autosufficienti capaci di combattere proattivamente il cambiamento climatico, producendo e distribuendo efficacemente un "dividendo della resilienza": non solo nuova moneta di scambio nell'economia della transizione verso lo sviluppo decarbonizzato, ma soprattutto strumento di una perequazione ecologica urbana che estenda effetti e impatti sull'intero organismo urbano (15).

E nel conflitto ontologico tra differenze e varietà (parole chiave del lessico di Pasqui), lo spazio che l'urbanistica oggi è chiamata a regolare e generare è "collocato su un crinale davvero difficile tra esigenze universalistiche e istanze differenzialistiche", tra visione cosmopolita e bisogni locali, tra "essere nel mondo" e "abitare il terrestre" come dice con mirabile potenza Bruno Latour (16).

Altro termine che svela la passione militante e non solo accademica che condivido con Gabriele Pasqui è 'piano'. Un termine ancora potente pur nella fertile prospettiva post-hayekiana, oggetto degli studi di Stefano Moroni sulla limitatezza delle conoscenze e della rilevanza degli effetti non attesi dell'interazione e dello scambio (17). Pur continuandolo a chiamarlo piano, parliamo di, e pratichiamo, "un documento fatto di regole relative alla cura e alla trasformazione del territorio consolidato, oltre che alla produzione della "città pubblica": regole semplici, il più possibile generali, che mostrino non solo il cosa si può o non si può fare, ma anche il come (risorse, dispositivi e meccanismi)".

Una città aumentata, infine, è strategica perché assume l'integrazione delle componenti temporale, gestionale, collaborativa e adattiva come indispensabili per rispondere alla necessità di un approccio multi-dominio e multi-attore, temporalmente orientato e indirizzato all'azione entro un modello di sviluppo meno consumatore e più produttore, in grado di attivare diversi cicli vitali per riattivare distretti, città e paesaggi, meno finanziario e più cooperativo, più metabolico e meno occasionale. Per rispondere alle nuove sfide della contemporaneità che sfociano nel futuro prossimo non servono più strategie onnicomprensive figlie di un approccio razional-comprensivo fondato sulla negoziazione della rendita urbana, ma un sistema incrementale e adattivo di tattiche colonizzatrici, di radicamenti consolidati e di progetti di sviluppo, prediligendo un approccio da masterprogram strategico piuttosto che un velleitario masterplan istantaneo.

Anche Gabriele Pasqui esercita la nobile arte del dubbio sul ruolo della strategia, invocando la necessità di "intendersi sul senso e sui limiti di tali attività. Una dimensione strategica è costitutiva dell'attività urbanistica, in relazione al disegno e al progetto di città che un piano o un insieme di progetti possono porsi di definire. D'altra parte, una strategia urbana non è riducibile ad una strategia spaziale, e per alcuni aspetti è vero anche il contrario".

La città aumentata deve agire come una innovazione dirompente - e ricostruttiva - per la pianificazione e la gestione urbana non accontentandosi di essere una nuova definizione tra le tante generate dalla bulimia lessicale in cui si trova la disciplina nel suo impegno di rinnovamento. Progettare la città aumentata richiede un cambiamento di paradigma, trovando già oggi molteplici evidenze empiriche, tracce di pratiche o esperimenti concreti in numerose città. Ma soprattutto ha bisogno della continua sperimentazione delle sue declinazioni spaziali, sociali, culturali ed economiche in grado di aumentare l'intelligenza collettiva dei suoi abitanti. Ha bisogno di alimentare una nuova agenda urbana e di entrare nelle pratiche più sensibili, necessita di trasferirsi negli apparati normativi e richiede un corpus tecnico di supporto. Richiede quindi di percorrere la sfida del progetto.

 

Agenda urbanistica per il diverso presente

L'era della metamorfosi dello sviluppo in cui siamo chiamati all'impegno di re-immaginare l'urbanistica non può rimanere al livello delle visioni o del lessico - fondamentale l'ho già detto e lo ribadisco - né a quello degli indirizzi governativi (impalpabili in questo periodo), ma deve produrre metodiche e pratiche sintetizzabili in alcuni punti chiave che possono costituire l'ordito di una nuova agenda per l'urbanistica italiana del diverso presente.

Innanzitutto, dobbiamo invertire la scarsa rilevanza dei temi della vivibilità delle città, della giustizia sociale, della qualità del paesaggio, della coesione delle aree interne, della sostenibilità ambientale e dell'efficienza energetica nell'agenda politica e sociale dell'Italia, ripensando e declinando con maggiore incisività l'ormai dimenticato "piano città" verso un più collaborativo "patto per le città". Un accordo tra interessi, ruoli, livelli e competenze che produca maggiore innovazione dei processi e non solo l'accelerazione dei finanziamenti. La qualità del territorio e del paesaggio e la conservazione dell'ambiente e delle energie devono essere la matrice di politiche attive di creazione di nuovo dividendo urbano.

Poi è indispensabile reinserire la riforma urbanistica nazionale nell'agenda di governo - o nel contratto, oggi in tempi di coalizioni tra diversi si chiamano così, dalla Germania all'Italia - come sfida per un reale ripensamento delle responsabilità, dei protocolli e degli strumenti per un governo del territorio che sia più intelligente, sostenibile e solidale - come richiesto dall'Agenda Urbana Europea - ma anche capace di accompagnare verso un efficace "federalismo urbanistico" che renda più integrate entro una vera ottica concorrenziale le leggi regionali.

Dobbiamo accelerare i processi fattuali della metropolizzazione imperfetta generata dalla Legge Delrio, intercettando in maniera adeguata - rizomatica e reticolare e non vetero-gravitazionale - le condizioni economiche e sociali in mutamento dei sistemi insediativi regionali che generano nuove spinte ad una diversa crescita della città e della popolazione urbana in una rinnovata dimensione transcomunale cooperativa ad arcipelago e non più semplicemente ancillare. Le poche città metropolitane italiane in grado di competere nel panorama europeo, le tante proto-metropoli e i numerosi e vitali arcipelaghi territoriali (18) pongono alla pianificazione alcune sfide per la risoluzione delle loro insostenibilità: inquinamento e congestione prodotti dalla mobilità, compulsivo consumo di suolo, fragilità del patrimonio edilizio, dispersione energetica, mancanza di reticoli di spazio pubblico ed interruzione delle reti ecologiche; ed impongono di mutare radicalmente i contenuti principali della pianificazione urbana e territoriale e di innovare gli strumenti regolativi e progettuali in un'ottica ecosistemica. Operativamente, significa internalizzare i nuovi temi come il riciclo urbano in termini di riuso creativo della dismissione, la città in contrazione e in densificazione come progetto di suolo non esclusivamente in termini di consumo, la smartness per la revisione dei cicli di acqua-energia-rifiuti e per la gestione delle reti digitali e di mobilità verso una reale sostenibilità, la sostenibilità ecologica come motore dello sviluppo e moltiplicatore degli investimenti, l'urban retrofitting come modalità di intervento sulla città esistente non efficiente. Dai margini del pensiero urbanistico - talvolta dalle sue eresie - i nuovi temi ed i relativi paradigmi devono costituire il nuovo cuore pulsante di un progetto urbanistico che voglia tornare "rilevante".

Non possiamo sottrarci dal revisionare il rapporto pubblico-privato verso una maggiore corresponsabilità e concorrenza verso lo sviluppo sostenibile, mettendo a regime il rapporto tra regolazione e incentivazione, tra facilitazione e redditività. In particolare, sarà decisiva la sostenibilità delle risorse finanziarie per la "città pubblica", per la realizzazione dei servizi, per la dotazione di pertinenze di qualità, per le infrastrutture di mobilità pubblica, per la qualità dello spazio pubblico, per l'incentivazione del social housing di nuova generazione. A tal fine dovrà essere rivista la fiscalità locale e di scopo per l'incentivazione della pianificazione operativa, nonché innovata la fiscalizzazione generale della rendita, al fine di una sua più equa distribuzione sociale. Alle incentivazioni fiscali dovranno essere affiancate quelle autorizzative, gestionali ed amministrative, le quali, intervenendo sul fattore tempo, possono concorrere alla agevolazione dell'investimento privato.

Infine, dobbiamo rinnovare la "cassetta degli attrezzi" dell'urbanista attraverso il concorso dell'ecological urbanism, dello smart planning e del landscape design in una rinnovata ottica cooperativa, accettando la sfida di forgiare nuovi strumenti analitici ed operativi dove i tradizionali risultino obsoleti ed inefficaci. Perché oggi agiamo in una nuova interfaccia tra due termini potenti: limite e possibilità. E ci ricorda Pasqui che già Pier Carlo Palermo nel 2009 associava i due termini limite e possibilità (19), aprendo le porte alla sfida di un'urbanistica del possibile che si cimenti nel "ripensare il proprio ruolo civile: con senso critico e rifuggendo atteggiamenti eroici, ma anche con l'ambizione di proporre nella sfera pubblica, per quanto possibile, immagini, scenari e progetti "altri". Un'urbanistica che si fa carico di una profonda capacità di "stare nel mondo" e di abitare i processi materiali senza rinunciare ad uno sguardo critico, ad una riflessività che deve essere innanzitutto rivolta al suo stesso fare".

Il perseguimento di questi obiettivi - per ampiezza di intenti ed integrazione trasversale - richiedono di ripensare profondamente i contenuti disciplinari dell'urbanistica, innovando i percorsi formativi e le figure professionali non solo rispetto alle nuove domande già esistenti, ma soprattutto perché siano in grado di concorrere al miglioramento della stessa domanda di politiche territoriali pubbliche e del partenariato privato. Occorre rivedere anche i criteri di valutazione degli effetti dell'analisi, della diagnosi e dell'azione urbanistica non solo in termini qualitativi rispetto alla efficacia delle singole azioni e progetti (importante ma non sufficiente) ma inserendo sensori, parametri e, soprattutto, nuove unità di misura efficaci per misurare e valutare l'impatto reale sulla qualità delle trasformazioni territoriali generate da una pianificazione territoriale e urbanistica che voglia tornare ad essere non solo rilevante, ma "necessaria" e "consistente".

"Perché i poeti nel tempo del bisogno?" Si chiedeva Hölderlin nell'elegia Pane e vino. Perché gli urbanisti nel tempo della metamorfosi? Ci domandiamo oggi noi, con l'obbligo di una risposta convincente!

Maurizio Carta

 

 

 

 

 

Note
1) Cfr. U. Beck, La metamorfosi del mondo, Bari, Laterza, 2017.
2) Cfr. P. J. Crutzen, E. F. Stoermer, Benvenuti nell'Antropocene. L'uomo ha cambiato il clima, la Terra entra in una nuova era, Milano, Mondadori, 2005.
3) Cfr. D. H. Meadows, D. L. Meadows; J. Randers; W. W. Behrens III, I limiti dello sviluppo. Rapporto del System Dynamics Group Massachusetts Institute of Technology (MIT) per il progetto del Club di Roma sui dilemmi dell'umanità, Milano, Mondadori, 1972.
4) Cfr. J. Rockström e M. Klum, Grande mondo, piccolo pianeta. La prosperità entro i confini planetari, Milano, Edizioni Ambiente, 2015.
5) Cfr. IPPC, Special Report on Global Warming of 1.5°C approved by governments, october 2018.
6) Cfr. B. Latour, Face à Gaïa. Huit conférences sur le Nouveau Régime Climatique, Paris, La Decouverte, 2015.
7) Cfr. K. Campbell, Massive Small. The Operating Programme for Smart Urbanism, London, Urban Exchange, 2011.

8) Cfr. C. Ratti, M. Claudel, La città di domani. Come le reti stanno cambiando il futuro urbano. Torino, Einaudi, 2017.
9) Cfr. M. Carta, Reimagining Urbanism. Città creative, intelligenti ed ecologiche per i tempi che cambiano, Trento-Barcelona, Listlab, 2013.
10) Cfr. M. Carta, Augmented City. A Paradigm Shift, Trento-Barcelona, Listlab, 2017.
11) Da tempo si parla di "umanità aumentata" per definire il nuovo rapporto tra il nostro essere nel mondo e l'innovazione digitale che amplifica i nostri sensi, che aumenta la nostra capacità di comprensione e di azione e che potenzia il sistema relazionale tra uomo e ambiente (cfr. Augmented Humanity, Isobar Trends Report 2018). Agli effetti culturali, prima, sociali, dopo, e politici, infine, della nostra umanità aumentata è dedicato l'ultimo libro di Alessandro Baricco, The Game, Torino, Einaudi, 2018.
12) Cfr. D. A. Schön, Il professionista riflessivo. Per una nuova epistemologia della pratica professionale, Bari, Dedalo, 1999.
13) Cfr. S. Micelli, Futuro artigiano, Venezia, Marsilio, 2011.
14) Cfr. M. Russo (a cura di), Urbanistica per una diversa crescita. Una discussione della Società italiana degli urbanisti, Roma, Donzelli, 2014.
15) Cfr. Rodin, J. (2014), The Resilience Dividend: Being Strong in a World Where Things Go Wrong, PublicAffairs, New York. Si veda anche Ellen MacArthur Foundation, Towards the Circular Economy: Economic and business rationale for an accelerated transition, EMF, 2012.
16) Cfr. B. Latour, Tracciare la rotta. Come orientarsi in politica, Milano, Raffaello Cortina Editire, 2018.
17) Cfr. S. Moroni, L'ordine sociale spontaneo. Conoscenza, mercato e libertà dopo Hayek, Torino, Utet, 2005.
18) Cfr. M. Carta, "L'Italia davanti alla sfida dei super-organismi metropolitani e degli arcipelaghi territoriali", in M. Carta, P. La Greca (a cura di), Cambiamenti dell'urbanistica. Responsabilità e strumenti al servizio del paese, Roma, Donzelli, 2017.
19) Cfr. P. C. Palermo, I limiti del possibile. Governo del territorio e qualità dello sviluppo, Roma, Donzelli, 2009.

 

 

 

N.d.C. - Maurizio Carta, professore ordinario di Urbanistica, insegna Progettazione urbanistica nel corso di laurea magistrale in Architettura e Urbanistica e pianificazione territoriale nel corso di laurea in Pianificazione territoriale, urbanistica e ambientale del Dipartimento di Architettura dell'Università degli Studi di Palermo. Presso lo stesso ateneo è presidente della Scuola Politecnica e Delegato del Rettore allo sviluppo territoriale.

Tra i suoi libri: con A. Badami, Piano di recupero di Parco d'Orléans. Identità e permeabilità per la Città di Timeo (Palermo, Mimeo, 1991); con A. Badami, Storia urbanistica della città di Corleone (Palermo, DCT, 1993); con G. Carta, Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo. L'Ospedale Grande, il Trionfo della Morte e l'urbanistica aragonese a Palermo (Palermo, DCT, 1994); con A. Badami e M.C. Ruggieri Tricoli, L'architettura degli oratori: uno strumento ermeneutico per l'urbanistica palermitana (Palermo, Ila Palma, 1995); Pianificazione territoriale e urbanistica. Dalla conoscenza alla partecipazione (Palermo, Medina, 1996); (a cura di), Palermo città educativa. Il sistema museale scientifico universitario (Palermo, Medina, 1997); L'armatura culturale del territorio. Il patrimonio culturale come matrice di identità e strumento di sviluppo (Milano, FrancoAngeli, 1999, 2002); Pianificare nel dominio culturale. Strutture e strategie per l'armatura culturale in Sicilia (Palermo, Dct, 2003); Teorie della pianificazione. Questioni, paradigmi e progetto (Palermo, Palumbo, 2003); Next City: culture city (Roma, Meltemi, 2004); Creative City. Dynamics, Innovations, Actions (Barcelona, List, 2007); Governare l'evoluzione. Principi, metodologie e progetti per una urbanistica in azione (Milano, FrancoAngeli, 2009); Reimagining Urbanism. Città Creative, intelligenti ed ecologiche per i tempi che cambiano (Trento-Barcelona, ListLab, 2013); Reimagining Urbanism. Creative, Smart and Green Cities for the Changing Times (Trento-Barcelona, ListLab, 2014); con D. Ronsivalle (a cura di), Territori interni: la pianificazione integrata per lo sviluppo circolare. Metodologie, approcci, applicazione per nuovi cicli di vita (Roma, Aracne, 2015); con B. Lino (a cura di), Urban hyper-metabolism (Roma, Aracne, 2015); con B. Lino e D. Ronsivalle (a cura di), Re_cyclical urbanism: visioni, paradigmi e progetti per la metamorfosi circolare (Trento, List, 2016); Augmented city: A paradigm shift (Trento-Barcellona, LISt Lab, 2017); con P. La Greca (a cura di), Cambiamenti dell'urbanistica. Responsabilità e strumenti al servizio del paese (Roma, Donzelli, 2017); con A. Contato, M. Orlando (a cura di), Pianificare l'innovazione locale. Strategie e progetti per lo sviluppo locale creativo. L'esperienza del SicaniLab (Milano, FrancoAngeli, 2017); con B. Lino, D. Ronsivalle (a cura di), Re_cyclical urbanism. Visions, paradigms and projects for the circular metamorphosis (Trento, LISt lab, 2017); con J. Schröder, M. Ferretti, B. Lino (a cura di), Territories : rural-urban Strategies (Berlino, Jovis, 2017); con J. Schroeder, M. Ferretti, B. Lino (a cura di), Dynamics of Periphery. Atlas of Emerging Creative Resilient Habitats (Berlino, Jovis, 2018); con J. Schröder, S. Hartmann (a cura di), Creative Heritage (Berlino, Jovis. 2018).

Del libro di Gabriele Pasqui oggetto di questo commento - Urbanistica oggi. Piccolo lessico critico (Donzelli, 2017) - si è discusso alla Casa della Cultura il 15 maggio 2018, nell'ambito della VI edizione di Città Bene Comune, con l'Autore e con Francesca Governa, Francesco Infussi, Camilla Perrone.

N.B. I grassetti nel testo sono nostri.

R.R.

 


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17 GENNAIO 2019

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, il paesaggio e la cultura del progetto urbano, paesistico e territoriale

ideato e diretto da
Renzo Riboldazzi

prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano

in redazione:
Elena Bertani
Oriana Codispoti

cittabenecomune@casadellacultura.it

powered by:
DASTU (Facebook) - Dipart. di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano
 

 

 

Le conferenze

2017: Salvatore Settis
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

2018: Cesare de Seta
locandina/presentazione

 

 

Gli incontri

- cultura urbanistica:
 
- cultura paesaggistica:

 

 

Gli autoritratti

2017: Edoardo Salzano
2018: Silvano Tintori

 

 

Le letture

2015: online/pubblicazione
2016: online/pubblicazione
2017: online/pubblicazione
2018:

G. Pasqui, I confini: pratiche quotidiane e cittadinanza, commento a: L. Gaeta, La civiltà dei confini (Carocci, 2018)

 

 

 

 

 

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