Federico Nastasi  
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AMERICA DEL SUD 2019


Elezioni presidenziali in Argentina, Uruguay e Bolivia



Federico Nastasi


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*Pubblicato su PANDORA Rivista di Teoria e Politica

Dopo l'elezione presidenziale in Brasile, l'America del Sud torna a votare. Il prossimo ottobre si eleggono i presidenti di Argentina, Bolivia e Uruguay. Al Forum di Davos, il nuovo presidente del Brasile, Jair Bolsonaro ha dichiarato che "la sinistra non prevarrà in America Latina" e riconfermato la sua ostilità verso un'America bolivariana, ovvero contro i processi di integrazione regionale.

In questo articolo si offre un resoconto delle principali caratteristiche delle elezioni generali in questi tre paesi. La Bolivia di Evo Morales, il primo presidente indigeno, e l'Uruguay dei governi del Frente Amplio, il partito dei presidenti José Mujica e Tabaré Vázquez, sono gli ultimi due paesi dove il ciclo populista-progressista di inizio XXI secolo resiste ancora. Ci sarà una normalizzazione? Nell'Argentina della crisi del pesos e dell'inflazione incontrollata, il governo di centro destra di Macrì cerca la riconferma, mentre il peronismo di sinistra sembra possa aggregarsi nuovamente attorno alla figura di Cristina Fernandez Kirchner.

 

L'Argentina si prepara al voto

Gli argentini eleggono il loro presidente con un sistema a doppio turno, la prima elezione è convocata per il 27 ottobre. Cambiemos, la coalizione di centro destra al governo presieduto da Macrì, cerca la riconferma dopo il successo del 2014 e i sondaggi non gli sono avversi, nonostante la situazione economica e il malcontento molto forte. Manifestazioni e scioperi generali contro le misure economiche del governo hanno attraversato il Paese e la sua capitale per tutto il 2018. Il pesos argentino si è deprezzato più di ogni altra valuta al mondo (il tasso di cambio con il dollaro è aumentato del 122%), l'inflazione è stimata attorno al 50% e ci sono quasi 4 milioni di disoccupati, il tasso di attività al 46,4%, e la disoccupazione al 9.6%, il livello peggiore degli ultimi 12 anni[1]. Dopo la crisi dei tango bond e il default del 2001, il Paese aveva instaurato misure di controllo dei mercati finanziari, rimosse dal governo Macri nel tentativo di assumere una postura market friendly per attirare investimenti e capitali esteri[2]. Tali politiche economiche - soprattutto il piano Lebac, ovvero Las Letras del Banco Central - l'emissione di bond a breve con tassi di interesse alti da acquistare in pesos per poi essere ripagati in dollari, sono risultate controproducenti rendendo insostenibile il debito pubblico. In questo quadro nasce il prestito di oltre 57 miliardi di dollari del Fondo Monetario internazionale, il più grande della sua storia, e i conseguenti impegni del governo argentino per portare il bilancio pubblico in pari per il 2019 e tagliare ampiamente la spesa pubblica.

Tra le fila dell'opposizione, torna a farsi strada la ricandidatura di Cristina Kirchner (CFK), nonostante il processo per corruzione e i vani tentativi del fronte peronista di trovare una candidatura alternativa. CFK, già presidente dal 2007 al 2015 e vedova di Nestor Kirchner, presidente dal 2002 al 2007, è intervenuta alla alla 8° conferenza CLACSO (una sorta di controvertice del G20 di Buenos Aires dello scorso novembre), e in un discorso interpretato come l'inizio della sua campagna elettorale, ha parlato della necessità di far coesistere nel campo peronista i fazzoletti verdi e quelli celesti, ovvero i movimenti pro e anti aborto.

Sol Prieto[3], sociologa dell'Università di Buenos Aires, sostiene che questa affermazione apparentemente contraddittoria lascia intravedere il tentativo di CFK, dopo il suo voto a favore dell'interruzione volontaria della gravidanza bocciata al Senato, di ristabilire un dialogo con l'elettorato cattolico anti-abortista, trasversale agli schieramenti politici, e presente anche tra i dirigenti del suo partito. Oltre che con i vertici della Chiesa, il cui papa Francesco è un riferimento per vari settori del peronismo. Questo rapporto, peronismo/Chiesa cattolica, è storico, fatto di tensioni e scontri ma anche di punti di contatto, a partire dall'idea comune di poter rappresentare una terza via tra socialismo e capitalismo.

La questione dell'interruzione volontaria di gravidanza sarà centrale nella prossima campagna elettorale, dopo che il movimento femminista Ni una menos ha fatto irruzione nel dibattito pubblico argentino. Negli anni del kirchnerismo ci sono stati diversi progressi sul piano dei diritti individuali e dell'autonomia di scelta della persona sul proprio corpo, in rotta con l'Argentina della dittatura, dove alla militarizzazione della società era corrisposta una cattolicizzazione integrale dei costumi. Oggi esiste il matrimonio egualitario e una legge sulla morte degna.

Nella polarizzazione macrismo-kirchnerismo, l'Argentina della crisi si avvia verso la campagna elettorale, la prima che prevede confronti televisivi obbligatori tra i candidati presidenti.

 

Uruguay. Il quadro politico al nord del Rio de la Plata

Sempre il 27 ottobre, dall'altro lato del Rio de la Plata, gli uruguayani eleggeranno il loro 42° presidente. Il sistema elettorale istituito nel 1997 prevede un'elezione interna per tutti i partiti per selezionare la fórmula presidencial, ovvero l'accoppiamento di candidatura presidente e vice, per le elezioni di ottobre. Si vota il 30 giugno; possono votare tutti i cittadini, iscrivendosi ai registri elettorali con 2 mesi di anticipo. Solo i partiti che raccolgono almeno 500 votanti potranno concorrere all'elezione presidenziale.

Il Paese è governato dal 2004 dal Frente Amplio (FA), partito di sinistra che riunisce vari movimenti, oggi travagliato da una crisi intestina, determinata dal lungo periodo di governo, dall'assenza di leader forti e dalla comparsa di nuovi gruppi interni.

Nel quindicennio frenteamplista risultano di grande importanza le politiche dei primi anni di governo Tabaré Vázquez: un'innovativa riforma tributaria, basata sul presupposto di imposte progressive ("Que paguen más, los que tienen más"), aumentando le imposte dirette e riducendo le indirette e sostenendo gli investimenti[4]; l'istituzione del ministero dello sviluppo sociale e il plan Ceibal, un'iniziativa per l'inclusione digitale, ha fornito un computer con connessione internet a ogni bambino iscritto a una scuola pubblica.

Alle elezioni interne del FA, i candidati principali sono Martìnez, l'intendente di Montevideo, l'equivalente italiano di sindaco di città metropolitana, in vantaggio nei sondaggi, e Carolina Cosse, ministra dell'industria del governo FA. Il primo sta provando a impostare una campagna puntando sulla propria figura di buon amministratore, in discontinuità sia con la coalizione sia col governo, mentre la seconda scommette sulla mistica del Frente Amplio (Bùsqueda n.2.002), ovvero la storia gloriosa del partito, ha fama di donna forte e non ha altre sfidanti donna. I critici sostengono che i candidati del FA siano seconde linee, o meglio, i caudillos di prima linea come Mujica e Danilo Astori, ministro dell'economia, si sono fatti da parti temendo una sconfitta annunciata. Dal FA spiegano che si tratta di un rinnovamento della classe dirigente e che il FA non è ancora in campagna perché si sta occupando del governo e aspetta le elezioni interne di giugno per avviare la campagna.

Nell'agenda elettorale di Montevideo prevale il tema della sicurezza. Su un piano tolleranza zero punta Edgar Novick, leader del Partito della gente, imprenditore adesso impegnato in politica su posizioni di centro destra, il quale ha definito la sua proposta per la sicurezza insieme a Rudy Giuliani, ex sindaco di New York. Il principale avversario del FA sembra essere il partito Nazionale, o Partido Blanco di orientamento conservatore di centro destra, i sondaggi di dicembre 2018 danno un margine del 3% tra i due schieramenti. Anche qui si dovranno attendere le elezioni interne per conoscere il candidato presidente. Il favorito sembra essere Luis Lacalle Pou, politico di lungo corso, figlio di un ex presidente, già candidato sconfitto nel 2014 ed ex presidente della Camera dei deputati.

Sul piano interno, Lacalle Pou, prova a intercettare il voto dei produttori agricoli organizzati nel movimento Un solo Uruguay che chiedono una riduzione del ruolo economico dello Stato e dei costi della politica. Lacalle Pou, in caso di vittoria, sa che dovrà costruire un governo di coalizione, probabilmente con il Partido colorado, storico partito di centro destra che ha governato il Paese fino al 2000, prima di ridursi a terza forza[5]. I governi di coalizione sono stati una tradizione politica dell'Uruguay, interrotta proprio dai tre governi monocolore del FA. Da ultimo, i blancos sperano di vincere spinti dal clima politico dei due paesi vicini, Brasile e Argentina. Per chi crede nel ripetersi della storia, si può riconoscere una costante nell'andamento politico di questi tre paesi: gli anni della dittatura in Brasile e Argentina corrispondono alla dittatura in Uruguay, lo stesso vale per gli anni dei governi di destra prima e di sinistra dopo nei tre paesi.

 

Bolivia: la sfida di Evo

Sempre in ottobre, Evo Morales, il primo presidente indigeno del continente, corre per il quarto mandato consecutivo a capo dello Stato Plurinazionale di Bolivia. Sono senz'altro le elezioni più difficili per Morales e il suo Movimiento Al Socialismo. Nel 2016, Morales perse di poco un referendum che gli avrebbe permesso di ricandidarsi per un quarto mandato, tuttavia l'anno successivo il Tribunale supremo elettorale sentenziò che ricandidarsi era parte dei suoi "diritti umani". Oltre cento persone hanno avviato uno sciopero della fame contro la sentenza del tribunale che considerano illegittima.

La Bolivia di Morales si è trasformata da economia liberale a economia mista[6]. Lo Stato svolge un ruolo molto importante nell'economia, controllando le risorse economiche e i profitti dell'industria delle materie prime. Con un referendum svolto nel 2004 la Bolivia ha nazionalizzato l'industria degli idrocarburi, i cui profitti sono stati reinvestiti per politiche di redistribuzione della ricchezza, in educazione e salute. I risultati di tale politica si riflettono nella riduzione dell'indice di Gini passato, tra il 2002 e il 2017, da 0,61 a 0,45 (CEPAL, 2018). Il modello macroeconomico è risultato positivo, come riconosciuto sia dalla Banca Mondiale sia dal FMI, con un tasso di crescita del PIL del 4.6% tra il 2006 e il 2014, un surplus fiscale, bassa inflazione, una bilancia commerciale in attivo e aumento di riserve internazionali.

Queste performance economiche hanno contributo alle tre vittorie di Morales, ma le prossime elezioni sembrano essere per la prima volta davvero contendibili. I sondaggi mostrano un logoramento del consenso per un presidente abituato a superare il 60%. Stavolta appare testa a testa con il suo principale avversario ed ex presidente Carlos Mesa, leader di Comunidad Ciudadana, il quale definisce la candidatura di Morales incostituzionale e illegittima. L'opposizione è divisa tra due candidati e potrebbe ricompattarsi al secondo turno. Proprio per questo Morales punta a chiudere la partita al primo turno, facendo leva sul consenso tradizionalmente tributatogli dalle aree rurali, i cui villaggi sta diffusamente visitando negli ultimi mesi di governo.

 

Il bivio latino-americano: Bolsonaro vs Amlo

La tornata elettorale nei tre paesi sembra dunque un nuovo bivio nella storia politica del continente: può rappresentare la chiusura definitiva del ciclo progressista latino-americano - come promesso da Bolsonaro alla platea di Davos - o invece costituire una battuta d'arresto nella serie di successi elettorali inanellati dalle forze conservatrici in tutto il mondo. E le candidature progressiste che dovessero prevalere, volgendo lo sguardo verso nord, troverebbero certamente un alleato prezioso nel nuovo governo di sinistra messicano, guidato da AMLO - Andrés Manuel López Obrador - in particolare per rafforzare i processi di integrazione regionale, a discapito di politiche nazionaliste.

 

Note
[1] Bollettino Indec, Instituto Nacional de Estadística y Censos, del settembre 2018.
[2] Per una analisi sulle politiche economiche argentine degli ultimi venti anni, si veda Lampa R., Argentina: torna il liberismo. Se ne era mai andato?, 8 novembre 2018, Jacobin Italia.
[3] Prieto S., Nacional, popular ¿ y feminista? Una lectura del "discurso de los pañuelos", Le monde diplomatique, Edicion Cono Sur 235, gennaio 2019.
4] La reforma tributaria del 2007: a diez años del inicio de la principal política económica de la izquierda, 28 luglio 2017, Crónicas.
[5] Los cinco ministerios clave para Lacalle Pou si gana las elecciones, La Diaria, 18 gennaio 2019.
[6] Per un quadro sulla politica economica della Bolivia di Morales, si veda Arevalo Luna, G. (2016). Economics and politics of the bolivian model 2006-2014: preliminary assessment. Apuntes Del CENES, 35(61), 147-174. doi.org/10.19053/22565779.4152

 

 


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08 FEBBRAIO 2019