Legnano – Venerdì 22 marzo, Libreria Nuova Terra Ferruccio Capelli ha presentato il nuovo libro di Achille Occhetto, La lunga eclissi. Passato e presente del dramma della sinistra (Sellerio Editore)
1 - Ho accettato molto volentieri l'invito a partecipare alla presentazione di questo libro di Occhetto. Perché si tratta di un bel libro, appassionato e profondo. E anche perché è un vivo piacere poter discutere con Achille Occhetto.
Tutti sappiamo che Occhetto è stato l'ultimo segretario del PCI, anche se per poco tempo, ed è poi diventato per cinque anni il primo segretario del partito nato dal PCI, il PDS. Non sempre però ricordiamo cosa sono stati quei sei anni in cui Occhetto è stato segretario nazionale: gli anni della più tumultuosa tempesta politica di tutto il dopoguerra italiano.
Nell'89 un evento decisivo su scala globale: il crollo del muro. Nel '90: l'avvento sulla scena politica italiana dei primi movimenti identitari regionalista: la Lega lombarda e la Liga veneta, il primo segno della futura irruzione populista. Nel '92 lo scoppio di Tangentopoli che di fatto ha liquidato il sistema politico della Prima Repubblica. Nel 93 - 94 l'irruzione di Berlusconi, il primo miliardario outsider che si impone sulla scena politica mondiale, l'apripista del populismo mediatico.
Occhetto ha traghettato il grosso del suo partito al di là di quella immensa bufera. Certo, la sua direzione si conclude con una sconfitta elettorale alle elezioni del '94, ma con giusto orgoglio può scrivere che la sinistra sconfitta in quelle elezioni era ancora in piedi, con 12 milioni di voti e una vitalità che le avrebbe permesso da lì a poco di reagire e tornare protagonista sulla scena italiana.
Penso che Occhetto abbia ragione. Anzi sia doveroso aggiungere che le forze traghettate oltre quell'immensa bufera hanno rappresentato l'unica formazione politica che sia riuscita a non farsi travolgere dall'ecatombe del '92, e che esse sono state, di fatto, l'ossatura portante del centrosinistra nei due - tre decenni successivi.
2 - Veniamo al libro. Il titolo innanzitutto: l'autore parla di "Eclisse" e non di "crollo" per segnalare un offuscamento drammatico della sinistra, ma non una sua sparizione definitiva.
Per ricostruire la ragioni di questa "eclisse" Occhetto si impegna in una accurata, severissima, perfino spietata analisi storica. La lente del passato, ovvero, come l'autore stesso dice, lo sguardo sul "presente come storia e sulla storia come presente", è adottato con una serietà e con un impegno oggi desueto, in tempi in cui si la conoscenza storica è svalutata oppure ridotta a semplice erudizione.
Lasciatemi sottolineare questo punto. Nel 92, come ben sappiamo, è stato distrutto e liquidato il partito italiano dalle radici più antiche, il Partito socialista. Così pure un altro grande partito che aveva governato l'Italia per quarant'anni, la DC, cede di colpo pezzi enormi del suo elettorato prima al localismo identitario leghista e, poi, al populismo mediatico berlusconiano. Nell'un caso e nell'altro non abbiamo letto - da parte di chi aveva diretto questi partiti - riflessioni così impegnative sulle motivazioni di simili schianti. Occhetto, invece, che ha guidato l'unico partito sopravvissuto alla bufera, si immerge in una ricerca tanto appassionata quanto dolorosa sulle radici di lungo termine della crisi del suo partito.
La riflessione di Occhetto segue un preciso filo conduttore: ovvero cerca di spiegare come sia stato possibile che un movimento come quello comunista, che ha generato immense speranze nel mondo, abbia potuto andare incontro a un processo di involuzione che lo ha portato addirittura alla sua dissoluzione. Questa ricostruzione storica è intessuta di osservazioni non scontate, di vivo interesse. Come le pagine - che vorrei riprendere per un attimo - sull'internazionalismo, da Occhetto indicato come il fattore di maggiore fascino del movimento operaio e del movimento comunista.
Leggendo il libro mi è venuta in mente quella scena del film "Il giovane Marx" - probabilmente l'avete visto - in cui viene cambiato lo striscione che sovrasta la riunione della Lega dei Giusti e per la prima volta appare la scritta: "proletari di tutto il mondo unitevi". Siamo nel 1848: è il primo momento in cui quella parola d'ordine appare nella storia: essa si imporrà nel mondo grazie al Manifesto di Marx e di Engels.
Occhetto ricostruisce la potente forza espansiva di quella idea, raccolta e rilanciata dai comunisti durante e dopo la Grande Guerra, ma anche il modo con cui viene progressivamente svilita e accantonata. Un passaggio chiave, sottolinea l'autore, si ha quando ad essa viene sovrapposta la teoria dei "due campi", quello socialista e quello capitalista. Ovvero una teoria che rattrappisce e congela l'internazionalismo: da una parte un campo socialista che si autocelebra e dall'altra un campo capitalista di cui non si colgono le contraddizioni e le potenziali evoluzioni. L'internazionalismo viene di fatto ridotto alla difesa degli interessi dello stato guida del campo socialista. La conseguenza, dice Occhetto, - e si tratta di osservazione decisiva - è che il movimento operaio e quello comunista perdono sempre più peso sulla scena globale, fino a lasciare il terreno sgombro per l'affermazione della "globalizzazione", ovvero per quello che potremmo chiamare l'internazionalismo delle classi dominanti.
Questa riflessione, ad ampio respiro, sulla grande storia si intreccia nel libro con il vissuto personale dell'autore, con le scelte e le passioni di Achille Occhetto, giovane militante e poi dirigente comunista. Il tono del libro, il pathos che esso riesce a trasmettere, sta proprio in questa sovrapposizione tra il grande dramma della storia e le vicende personali dell'autore.
La parabola del comunismo, la sua espansione e poi la sua crisi, vengono così raccontate nel loro intreccio con le scelte dei comunisti italiani: ne emerge la diversità del comunismo italiano (nella ricostruzione di Occhetto giganteggia, giustamente, la figura di Antonio Gramsci), ma anche la persistenza del legame con l'URSS.
Nella sua ricostruzione Occhetto non si perdona nulla, neppure quella sua giovanile celebrazione di Giuseppe Stalin - di cui mai nessuno gli avrebbe chiesto conto - che ha la ventura di leggere nella sua sezione all'età di 17 anni, in occasione della morte del despota sovietico. La ricostruzione storica è arricchita anche dal racconto di alcuni fatti - pochi ma interessanti - cui Occhetto ha partecipato in prima persona. Uno almeno devo richiamarlo: l'ultimo incontro con i comunisti cinesi, quello in cui avvenne la rottura definitiva. La delegazione del PCI si incontrò con una delegazione cinese al più alto livello, guidata dal segretario Deng Xiao Ping. Si ragionò della guerra nel Vietnam che stava iniziando: i comunisti cinesi esplicitarono la loro speranza che la guerra si internazionalizzasse fino a un loro possibile coinvolgimento, senza escludere la possibilità dello sbocco in uno scontro atomico. Consiglio vivamente la lettura di queste due pagine, che Occhetto estrae dal diario che aveva scritto durante quel viaggio: si tratta di un documento sconcertante, perfino terribile. Che costringe a riflessioni severe e profonde.
In questa narrazione storico - politica l'89, il crollo del "muro" e poi di tutto il socialismo reale, è un evento tutt'altro che improvviso: è il punto di arrivo di una crisi maturata in un tempo assai lungo. È in questo scenario di drammatica profondità storica, dentro questa crisi di lunga durata, che Occhetto colloca la scelta cui, più di ogni altra, è inesorabilmente legata la sua direzione: la "svolta", il superamento del PCI e la costruzione di un nuovo partito.
3 - Ma vi è anche una seconda parte del libro. Essa esplicita il "paradosso" - il termine che usa Occhetto stesso - dei nostri tempi: la risposta alla grande crisi, alle contraddizioni crescenti della globalizzazione non viene da sinistra, ma da "una rivolta populista e di destra, facilitata dalla corresponsabilità di gran parte della sinistra nell'accettazione, a volte compartecipe e a volte silente, del paradigma neoliberista". "Il vuoto lasciato dalla sinistra è occupato dai populismi". "Nei quattro angoli del pianeta- scrive anche l'autore - la classe operaia sta voltando le spalle alla sinistra".
Si tratta di un fenomeno di tale portata che richiede ancora una volta una riflessione a tutto campo, uno scavo per ricostruire anche i passaggi storici in cui si è determinata questa sconcertante torsione politica. Il problema è capire le ragioni per cui non si è stati in grado di costruire una fuoriuscita a sinistra dalla crisi del comunismo, perché invece il ripudio del comunismo abbia generato un riformismo acritico, debole, senza respiro globale, senza visione della società.
Occhetto propone al riguardo riflessioni stimolanti che toccano nodi essenziali del dibattito attuale, o forse sarebbe meglio dire, di quello che dovrebbe essere il dibattito attuale.
Non le riprendo qui: sto parlando anche troppo. Accenno solo al punto essenziale: la debolezza critica di un riformismo minimalista. "La crisi del socialismo europeo - scrive l'autore - sta nella flebile critica all'attuale modello di sviluppo". "Si è smarrito l'orizzonte. Si è fatto coincidere il crollo del comunismo con il crollo della sinistra. Si è offuscata la possibilità stessa di un mutamento del modello di sviluppo e di una risposta ai nuovi problemi globali nel nome del bene comune dell'umanità".
Mi limito a dire: condivido appieno queste severe e amare considerazioni.
4 - Un'ultima riflessione. L'ultima volta che ho incontrato Occhetto, in occasione della presentazione del suo precedente libro, "Pensieri di un ottuagenario", mi è capitato di affidargli uno sfogo personale e doloroso, la mia sensazione di un drammatico sfaldamento dell'insieme del mondo della sinistra. Eravamo ancora lontani dalle elezioni del 4 marzo, ma non ci voleva molto per capire come sarebbero finite e per leggere cosa stava accadendo attorno a noi.
Mi sembra una buona cosa poter chiudere questa breve presentazione con un tono un poco diverso. Da allora qualcosa si è mosso, nel profondo della società, e qui a Milano - forse - lo abbiamo potuto toccare con mano meglio e più che altrove. Sto pensando alla grande manifestazione del 2 marzo, "People, prima le persone" e, poi, allo straordinario successo venerdì scorso della manifestazione "Fridays for future".
C'era qualcosa di nuovo in queste manifestazioni. Nuove modalità organizzative: il motore trainante è stata la partecipazione dal basso, tramite un variegato tessuto associativo. Nuovi messaggi: mutualismo e civismo quali motori trainanti di un nuovo solidarismo. E ancora: tanti, tantissimi giovani, con una loro embrionale cultura critica.
Mi piace richiamare questi fatti a conclusione di un ragionamento sulla crisi drammatica della nostra sinistra. Forse nella società, tra i giovani, qualcosa si sta muovendo. Forse è giunto il momento per rimettere in circolo - finalmente - anche qualche parola di speranza.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 26 MARZO 2019 |