Domenica 20 ottobre 2019 Scuola di cultura politica 2019 - 2020
Disumanizzazione e nuovo umanesimo
1 - Da qualche tempo si parla spesso di nuovo umanesimo. In occasioni e in sedi anche del tutto inaspettate. Lo ha fatto il Presidente del Consiglio durante la sua replica in Senato: in quel discorso ha parlato addirittura del nuovo umanesimo come "nuovo orizzonte politico e ideale" per il paese. Confesso che ho avuto un sobbalzo: chi parlava in quel momento era il Presidente del Consiglio uscente della maggioranza giallo - verde, che si era distinta per tante cose, ma di certo non per scelte umanitarie. In quel momento ho avuto la percezione che un concetto decisivo, che cerco di proporre da circa una decina d'anni, stava correndo il rischio di trasformarsi in un facile passe partout, utilizzabile con disinvoltura per mettersi la coscienza a posto.
Devo dire che nel giro di pochi giorni autorevolissimi esponenti del mondo cattolico si sono affrettati a correggere quella prima impressione. Uno dei teologi italiani più autorevoli, Bruno Forte, ha spiegato sul Corriere che Giuseppe Conte non aveva improvvisato: era stato un allievo del Cardinale Silvestrini, aveva frequentato la Casa di Nazareth. Insomma, l'uscita era tutt'altro che casuale, era parte di un'operazione politico - culturale finalizzata a dare slancio ad un'operazione - il ribaltamento della maggioranza, il nuovo ruolo di Conte stesso - cui cominciavano a guardare con attenzione forze rilevanti, fra cui anche una parte delle stesse gerarchie cattoliche.
Motivo in più allora per discuterne seriamente.
2 - "Nuovo umanesimo" è un termine forte che evoca un passaggio epocale.
Proviamo ad accennare ai periodi storico - culturali per i quali si utilizza con più frequenza il termine "umanesimo": l'umanesimo greco,
l'umanesimo cristiano, l'umanesimo italiano, ovvero la stagione che prepara il Rinascimento. In tutti questi snodi storici il termine umanesimo è stato adottato per segnalare una vera e propria rottura di continuità. E non si è mai trattato di un passaggio semplice, lineare, indolore.
In questi ultimi tempi sono usciti lavori di grande interesse - ricordo quelli di Michele Ciliberto e di Massimo Cacciari - per problematizzare l'idea dell'umanesimo italiano come una stagione armonica, gioiosa, di crescita progressiva e indolore. Entrambi hanno messo l'accento sulla intima drammaticità della ricerca degli umanisti. Quel loro messaggio così nuovo - quell'accento posto sulla fiducia nell'attività dell'uomo che a distanza di tanto tempo continua a suscitare grande ammirazione in noi - si è formato dentro un vecchio mondo culturale che andava in frantumi: il nuovo mondo culturale degli umanisti è nato in mezzo alle doglie di un parto assai doloroso.
L'Umanesimo italiano, ovvero quel complesso movimento culturale che dal Petrarca fino al Valla e all'Alberti ha contribuito potentemente a mettere al centro del pensiero l'uomo e la sua attività, è nato da una interrogazione sulla condizione dell'uomo e sul suo destino: questioni che tornano in tempi di crisi e di trasformazione come quelli in cui siamo immersi, mentre avvertiamo che inizia un mondo nuovo di cui però non riusciamo a comprendere i tratti.
Ragionare oggi di un nuovo umanesimo vuol dire mettere nel conto un passaggio epocale, una rottura drammatica di paradigmi, un salto per il quale bisogna fronteggiare ostacoli di immensa portata. In questo senso il nuovo umanesimo può diventare davvero il nostro orizzonte politico - culturale.
3 - La riflessione sul nuovo umanesimo ha cominciato ad emergere parecchi anni fa, ben prima che montasse il clima xenofobo e razzista degli ultimi tempi, ben prima delle provocazioni di Salvini e dei segnali di imbarbarimento e di disumanizzazione dilagati negli ultimi tempi.
Ognuno ha dei sensori particolari con cui misura l'andamento delle cose. Personalmente ho cominciato a percepire il salto epocale quando ho messo a fuoco alcuni cambiamenti, dei veri e propri smottamenti, che si stavano verificando nello spazio pubblico.
Innanzitutto una mobilità elettorale sempre più rapida, perfino sorprendente. Eravamo abituati a una sostanziale stabilità, vischiosità dei comportamenti elettorali: da un certo punto in avanti siamo entrati in una stagione di spostamenti profondi e repentini.
Poi una radicalizzazione inconsueta degli elettori: una radicalizzazione che prescinde dall'ancoraggio a grandi narrazioni, che è alimentata da reazioni immediate, quasi istintive, spesso rabbiose.
Ancora, la tendenza sorprendente degli elettori a consegnarsi a uomini forti o presunti tali. Freud aveva osservato questo fenomeno nel 1921 (Psicologia delle masse e analisi dell'io); oggi ci si guarda attorno e tutto sembra andare in questa direzione. Putin: il leader forte per antonomasia della nostra epoca. Modi: soprannominato l'elefante, che interpreta alla perfezione una gestione muscolare della democrazia indiana. Di Trump sapete tutto: la retorica della grandezza dell'America. Il caso limite è Bolsonaro: un autentico cretino diventato presidente di un grandissimo paese per le sue credenziale di ex militare e per i messaggi di tracotanza razziale e di classe. L'elenco può continuare con Erdogan (una guerra scatenata per recuperare consensi!), con Boris Johnson, il leader che promette di spaccare tutto, con Orban che evoca la grande Ungheria prima del 1918, con Kaczynski, il leader che evoca la battaglia di Lepanto. Si potrebbe continuare evocando anche qualche italiano, o no?
Sono, guardati nel loro insieme, fenomeni sorprendenti: essi segnalano un mutamento radicale in corso. Soprattutto segnalano fragilità, disorientamento, spaesamento profondissimi. Perché il cittadino dei paesi democratici, paesi in cui si svolgono libere elezioni, è diventato così fragile, così esposto a suggestioni autoritarie, così propenso a seguire pulsioni rabbiose, che possono tramutarsi in manifestazioni di odio?
Tutto nasce dall'immigrazione? Sicuramente ha un grande peso, ma i fenomeni coinvolgono anche paesi da cui i migranti partono, non arrivano. Oppure, tutto nasce dalla crisi economica? Questione serissima, ma sarebbe allora inspiegabile il fatto che gli stessi fenomeni si manifestano anche in paesi che sono stati solo sfiorati dalla grande crisi del 2008. Probabilmente al fondo c'è qualcosa di più profondo.
4- Si possono intravedere - questa è la riflessione essenziale che vi propongo - due grandi processi squassanti che stanno attraversando un po' tutto il mondo, due processi che procedono paralleli, anche se possono toccarsi e sovrapporsi.
Direi così: in un colpo solo, nel medesimo tempo, stiamo facendo i conti sia con la disumanizzazione che con il post - umano. Disumano e post umano: solo se colgo entrambi i fenomeni, riesco a spiegare tanta fragilità e tanto spaesamento.
I processi di disumanizzazione sono quelli più evidenti, che più attirano l'attenzione. Generalmente assumono la forma del ritorno prepotente della xenofobia: identità etniche scagliate contro gli altri, per delimitare chi è dentro il recinto e chi è fuori. Nei paesi di immigrazione, quelli più sviluppati, assume la forma dell'insofferenza per gli immigrati. In altri paesi, penso alla Russia, all'India, alla Polonia o all'Ungheria, alla Turchia, prende le forme di un sovranismo aggressivo, a base etnico - religiosa.
In più un individualismo sempre più radicale, un iper - individualismo che sconta una riduzione del legame e dei valori solidaristici. Qualcosa si è spezzato nel tessuto della società: gli esseri umani erano abituati a lavorare assieme e a vivere in comunità più o meno coese. Oggi vediamo dilagare la frantumazione e l'individualizzazione del lavoro e notiamo che anche un allentamento dei legami delle comunità territoriali. Disintermediazione, ovvero la dissoluzione dei corpi e delle comunità intermedie, e solitudine involontaria segnano in modo sempre più evidente la vita delle persone.
Un individuo più solo rispetto al passato, che tende a ricercare aggressive rassicurazioni in comunità etnico - identitarie. Ecco i processi di disumanizzazione tante volte messi a fuoco e denunciati.
Nel contempo, spostando lo sguardo, si registrano altri fenomeni, assai diversi ma non meno problematici: uomini e donne di tutte le latitudini sono sempre più inquieti per le innovazioni tecnologiche a getto continuo che costringono a riorganizzare modalità di lavorare, di comunicare, di vivere. Insomma, lo sviluppo impetuoso delle tecnologie sta alterando le modalità degli uomini di relazionarsi gli uni con gli altri.
I cambiamenti tecnologici investono ormai le modalità stesse di riproduzione della specie umana. Nei paesi più sviluppati siamo ormai al rovesciamento della piramide demografica. Sempre meno nati e un prolungamento sbalorditivo delle aspettative di vita, favorito da progressi spettacolari della medicina: protesi, cellule staminali, editing genetico, inserimento di chip e via dicendo. Le modalità stesse di riproduzione della vita sono rimesse in discussione: si sono diffuse tecniche di procreazione che prescindono da un rapporto sessuato e, ovviamente, tutto ciò porta con sé conseguenze radicali sul modo stesso di pensare la famiglia. Nel giro di una generazione ciò che si pensava immodificabile è stato stravolto. Ci siamo addentrati, con passi rapidissimi, nel post - umano: con evidenti implicazioni sulla tenuta delle referenze simboliche. Studiosi autorevoli parlano di una "nuova economia psichica", di "caduta delle referenze simboliche" ecc.
Ciò che a me appare chiaro è che disumano e post umano, nel loro insieme, stanno determinando una trasformazione antropologica, ovvero un cambiamento profondissimo della condizione umana.
Per di più, sullo sfondo, uno scenario più generale nel quale sono immersi sia i processi di disumanizzazione sia i segnali del postmoderno, ovvero quel riscaldamento climatico che più di ogni altra cosa segnala il rischio di una rottura drammatica, irreparabile, dell'equilibrio uomo - natura.
Provate per un attimo a guardare nell'insieme questi processi e ditemi se non è corretto parlare di un vero e proprio passaggio epocale.
5 - Processi diversi, ben distinti: disumano, post - umano e rottura dell'equilibrio uomo - natura. Ma c'è qualcosa che li accomuna: la rapidità con cui si diffondono e la loro dimensione globale.
L'ondata xenofoba sembra non risparmiare nessun paese del mondo, proprio come la rivoluzione informatica sta penetrando in tutti le realtà del mondo, anche le più remote. Allo stesso modo i fenomeni più gravi di alterazione dell'equilibrio ambientale riguardano il globo nel suo insieme: lo scioglimento dei ghiacciai e l'acidificazione degli oceani sono fenomeni globali.
In realtà tutti questi processi sono sospinti in avanti da quelle due potentissime forze motrici del cambiamento che stanno letteralmente ridisegnando il mondo: la globalizzazione e lo sviluppo impetuoso della scienza e della tecnica.
Mille volte abbiamo parlato della globalizzazione, di questa globalizzazione neoliberale, della sua estensione (ad essa non sfugge più nessuna parte del mondo), dei flussi di capitali e di merci che avvolgono il mondo, dei nuovi movimenti delle popolazioni.
Così pure abbiamo ragionato tante volte delle nuove frontiere della scienza e della tecnologia: la rapidità con cui si accumulano nuove conoscenze. Ciò che più mi ha colpito è che le conoscenze stanno moltiplicandosi non solo nel campo delle scienze naturali: sul Medioevo oggi sappiamo, ci dicono i nostri amici medievalisti, il 90% in più di ciò che conoscevamo cinquant'anni fa! Per non parlare delle barriere sempre nuove che vengono infrante, i nuovi campi di ricerca che si aprono: la biologia sintetica, le neuroscienze, l'intelligenza artificiale, la robotica.
Tutto ciò è notissimo. Meno riflettuto è il fatto che globalizzazione e sviluppo delle scienze agiscano l'una sull'altra: la globalizzazione non potrebbe accelerare in tale modo senza l'apporto delle nuove tecnologie mentre lo sviluppo stesso della scienza e della tecnologia non potrebbe avere questa dinamica travolgente senza l'immersione nel mondo globale.
L'un fenomeno trascina l'altro, in una travolgente accelerazione progressiva. Verso un futuro che diventa, al tempo stesso, sempre più ravvicinato e sempre meno decifrabile.
Ieri si è accesa proprio qui, per stimolo vostro, una interessantissima discussione su antropocene e/o "capitalismocene": un termine introdotto recentemente, negli anni Ottanta, viene già rimesso in discussione per accentuare gli effetti accelerati e deflagranti dell'attività umana sugli equilibri naturali.
Se si ha ben chiaro questo scenario di vertiginosa espansione e accelerazione del cambiamento su scala globale, se si riflette su queste dinamiche che con tanta frequenza appaiono fuori controllo, si riesce bene a capire la tensione cui è sottoposta la condizione umana. Qui, a me sembra, stanno le radici dell'incertezza e dello spaesamento che sentiamo attorno a noi e che si formano dentro e come conseguenza di questa "grande trasformazione".
6 - Questi processi - ecco la domanda cruciale- sono inesorabili e incontrollabili? Si tratta di una domanda assai impegnativa, assai difficile: dalla risposta che vi diamo dipende se ha un senso parlare di nuovo umanesimo e come si può definire il significato di questa espressione.
Vi sarebbero ragioni sensate per sostenere che questi processi hanno una tale potenza da essere ormai incontrollabili. Non vi sarebbe altro da fare che interiorizzarne la dinamica: tutt'al più si può ritagliare qualche isola di consapevolezza e di resistenza. Una parte rilevante del pensiero novecentesco, il pensiero nichilista che si era formato nel corso del secolo scorso, spinge indubitabilmente in questa direzione.
Per chi non vuole imboccare questa strada, per chi non accetta un esito nichilista, si apre una strada di ricerca molto impegnativa.
La prima risposta, la più immediata, potrebbe trovarsi nel mettere l'accento sulla battaglia delle idee. Per altro con mille fondate ragioni. C'è
un nesso evidente tra i processi di disumanizzazione e il pensiero dominante.
Gli assiomi del pensiero neoliberale, la massimizzazione dell'interesse egoistico degli individui, il mercato come unico regolatore della vita pubblica, la centralità del consumatore, sono tutte idee che hanno contribuito potentemente a smontare il tessuto solidale e a innescare processi di disumanizzazione. Il disprezzo neoliberale per la politica, la riduzione dei compiti e delle funzioni dei poteri pubblici che ne consegue, hanno avuto un ruolo enorme nello smontare ogni tentativo di governare la globalizzazione e nel lasciare crescere indisturbati i nuovi giganteschi conglomerati globali che controllano il sistema della comunicazione e che utilizzano spregiudicatamente le innovazioni tecnico - scientifiche. C'è stato un momento in cui queste questioni erano balzate all'ordine del giorno, al passaggio di secolo, quando vi fu l'onda del movimento new global. Si ragionava di un altro mondo possibile, di governo della globalizzazione. Tutto è stato lasciato cadere: con molta leggerezza e con altrettanta arroganza.
Vi sono, quindi, ragioni serissime per porre l'accento sull'importanza di una nuova battaglia ideale, per dirla più rigorosamente: "per una riforma morale e intellettuale". Anche perché il nuovo umanesimo presuppone inesorabilmente la critica e la rimessa in discussione del pensiero unico neoliberale. L'accento deve spostarsi dal mercato alle persone: c'è quindi un problema evidente di battaglia ideale e culturale.
Salvo un dubbio: messa così la questione sembra collocarsi solo nel cielo delle idee, quasi, avrebbe detto il vecchio Antonio Labriola, che le idee siano dei "caciocavalli appesi (appisi)". I nostri maestri, quelli che introdussero anche in Italia il concetto di "riforma morale e intellettuale", Francesco De Sanctis e Antonio Gramsci, non dimenticavano mai che il confronto delle idee era parte di un conflitto politico e sociale di più ampia portata. La riforma intellettuale e morale per cui Francesco De Sanctis lavorò tutta la vita era parte della ricostruzione dello spirito nazionale. E in Gramsci la riforma morale e intellettuale era pensata come
tassello indispensabile per modificare i rapporti tra le classi sociali e per rovesciare la relazione fra chi è diretto e chi dirige.
Per mettere su basi serie il ragionamento sul nuovo umanesimo dobbiamo quindi allargare l'ambito del ragionamento: non si tratta solo di condurre una battaglia delle idee, si tratta di pensare le condizioni in cui possa diventare effettiva la centralità delle persone.
7 - Ecco allora il punto essenziale: il nuovo umanesimo, se non vuole essere puro esercizio retorico, oppure peggio se non vuole ridursi a una facile foglia di fico, deve essere pensato dentro l'idea - e dentro il conflitto - per un nuovo modello di sviluppo.
Nuovo umanesimo - nuovo modello di sviluppo: l'una idea tiene e sorregge l'altra. Detto diversamente: nuovo umanesimo e sviluppo sostenibile, sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale. Solo in un nuovo modello di sviluppo si possono realizzare le condizioni per la libertà e la dignità di ogni persona umana, per considerare ogni singola persona come un fine, per rendere effettiva una cittadinanza responsabile e globale.
Umanesimo e sostenibilità: a ben vedere è l'approccio che attraversa l'"Obiettivo 2030" dell'ONU. Si tratta di un tema su cui cominciano a ragionare tante forze nel mondo: governare la globalizzazione e piegare lo sviluppo impetuoso della scienza e della tecnica alla ricostruzione di un rapporto positivo uomo - ambiente e alla emancipazione, ovvero al libero sviluppo delle capacità di ogni donna e di ogni uomo.
Insisto: tante forze nel mondo stanno ragionando su questo. È doveroso qui ricordare un evento che ha contribuito potentemente a fare emergere questa discussione: la pubblicazione della Enciclica "Laudato si'". C'è un passaggio cruciale dell'enciclica, là dove ci ricorda che "tutto nel mondo è intimamente connesso", ovvero - scrive il Pontefice- vi è una connessione inestricabile tra dimensione sociale, economica, demografica e ambientale. È esattamente l'invito a ragionare su un nuovo modello di
sviluppo: la centralità della persona umana e l'obiettivo di ricostruire il rapporto uomo - natura trascina con sé il ripensamento profondo dell'insieme dello sviluppo.
Ho citato il Pontefice. Permettetemi di fare un'altra citazione. Anche se spostata molto all'indietro nel tempo. Da quando sto cercando di addentrarmi seriamente in queste questioni, mi tornano sempre più in mente le riflessioni di un giovanissimo filosofo tedesco - che avevo frequentato molto in gioventù ma che poi erano rimaste a lungo inoperose in un cassetto della memoria - là dove nei suoi famosi manoscritti del 1844 annotava che "il prodotto del lavoro umano comincia ad ergersi minaccioso contro l'uomo stesso". Da questa riflessione quel ragazzo di venticinque anni traeva la prospettiva di un umanesimo radicale.
Forse vi sembrerà strano in tempi di oblio se non di condanna sprezzante del pensiero del filosofo di Treviri, ma a me sembra doveroso riproporre la radicale spinta umanistica che animò il giovane Marx ed essa mi appare oggi di straordinaria potenza e attualità. La ricerca di Marx muoveva da una scoperta decisiva: che al fondo di tutta l'attività economica, alla base di ogni cosa, di ogni prodotto, di ogni merce che viene nelle nostre mani, vi è l'attività umana, il lavoro degli esseri umani. Questo lavoro nel rapporto sociale capitalistico viene sottratto agli esseri umani: diventa lavoro estraniato, oggettivato. Il frutto del lavoro umano e l'uomo che l'ha erogato vengono separati, fino al punto che il frutto del lavoro, le merci, cominciano a contrapporsi all'uomo stesso. Questo svelamento, questo disoccultamento, è il nucleo essenziale del pensiero di Marx: tutta la sua produzione culturale è finalizzata a realizzare le condizioni di una riappropriazione da parte degli esseri umani del frutto della loro attività. Marx precisa che questa riappropriazione non può avvenire da parte dei singoli individui, ma da parte dell'uomo sociale, ovvero degli uomini che collaborano tra di loro.
Il giovane filosofo, in alcuni passaggi di grande forza, annota che il rapporto con l'uomo è immediatamente il rapporto dell'uomo con la
natura e che l'umanismo si identifica con il naturalismo. L'umanesimo possibile è la ricostruzione di un rapporto con la natura. Potremmo dire che è l'apertura di una condizione nella quale l'uomo - insisto: l'uomo - realizza, vive, colloca nell'esteriorità del vivere la ricchezza della sua intelligenza, della sua riflessività, della sua sensibilità. Il problema è come ridare all'essere umano la possibilità di esprimere liberamente le sue relazioni con il mondo umano, sociale e naturale.
Si tratta di un progetto umanistico radicale: il progetto umanistico più coerente che sono in grado di rintracciare nel pensiero filosofico moderno. Aiuta anche noi a capire come è potuto accadere che il frutto del nostro lavoro e della nostra intelligenza incominci ad ergersi minaccioso contro di noi, come sia possibile che gli sviluppi della scienza e della tecnica ci possano apparire fuori controllo, come è stato possibile che il nostro modello di sviluppo abbia generato - con il riscaldamento climatico - minacce alla nostra sopravvivenza come specie umana.
Penso che per costruire il progetto di un nuovo umanesimo dovremo attingere a larghe mani a queste straordinarie intuizioni. Ovviamente si tratta di un lavoro che deve essere fatto con sapienza e duttilità critica. Oggi ci appaiono chiari alcuni limiti dello sguardo penetrante di Marx: la sua previsione dello sviluppo era troppo lineare, non riuscì a intuire la straordinaria complessità che avrebbe raggiunto lo sviluppo capitalistico. Ma la sua resta una lezione di metodo straordinaria. Egli non si mette "contro" lo sviluppo: ne intuisce le immense potenzialità. Sua è la prima previsione della globalizzazione (il capitale afferrerà tutto il globo), sua è la celebre previsione che "tutto ciò che è solido si dissolve nell'aria". Marx vede la potenza delle forze messe in movimento, ma ne vede anche l'ambivalenza. Esse liberano da vecchie catene, ma stanno generando nuova oppressione. Anche noi oggi vediamo la potenza della globalizzazione e della scienza e della tecnica, ma anche la loro ambivalenza: il problema è permettere all'uomo di riappropriarsene, di rimetterle sotto controllo. Per pensare a un umanismo e a un naturalismo dei nostri tempi, un nuovo umanesimo cosmopolitico.
8 - Ultima questione: stiamo "filosofeggiando" o stiamo parlando di qualcosa che può avere le gambe per camminare? Gambe, ovvero forze sociali e politiche che spingano in questa direzione.
La mia risposta è seccamente positiva: tante cose si muovono attorno a noi, Si tratta di scoprirle e di favorire la connessione tra di loro. Perché il problema, ad oggi, è che tendono ognuna a muoversi per conto proprio.
Si è diffusa una sensibilità nuova sulle questioni ambientali. Siamo tutti, penso, colpiti dal movimento Fridays for future: da tempo non registravamo un fermento così diffuso tra i giovani. E, francamente, eviterei giudizi supponenti sulla giovane Greta: rendiamole il grande merito di avere smosso le acque. E di avere innescato - addirittura! - un movimento globale. Che non accenna a placarsi. Decisivo - anche per noi, penso - sarà il confronto che riusciremo a costruire con questi ragazzi.
Al tema ambientale vi è grande attenzione anche nel mondo delle imprese. Le ragioni sono sicuramente molteplici, ma eviterei di soppesarle con scetticismo: suggerirei di mettere l'accento sull'attenzione e sulla sensibilità nuova che si stanno diffondendo anche nel mondo imprenditoriale. Si tratta di una novità assai rilevante. Assieme al mondo delle imprese e del lavoro, con loro, dovremo discutere seriamente su un nodo decisivo: chi dovrà pagare il prezzo della riconversione ecologica dell'economia (la vicenda francese dei gilets jaunes è esplosa proprio su questo).
E, infine, confesso di essere stato molto colpito il 2 marzo scorso dalla manifestazione "People", quella straordinaria manifestazione promossa da un cartello amplissimo di associazioni. Quel giorno una folla imponente ha percorso le strade di Milano nel nome del solidarismo, del mutualismo, della cooperazione, della responsabilità ambientale. Una manifestazione di persone che non accettano l'esibizione della disumanità e la condanna alla solitudine involontaria. Non era mai accaduto prima. Si è trattato del venire alla luce, o meglio del condensarsi assieme per la prima volta, di mille energie che sono già all'opera, che nei fatti si muovono in un
orizzonte diverso rispetto all'ossessiva centralità dell'homo oeconomicus imposta dal pensiero neoliberale e che ora, a quanto hanno lasciato intravedere, vorrebbero tentare di mettersi assieme per fare sentire la propria voce, per imprimere un segno diverso allo spirito del nostro tempo.
Insomma, ragionare di nuovo umanesimo non è esercizio per acchiappanuvole. Può incrociare e mettere in movimento forze reali. Può essere l'humus per alimentare nuovi progetti sociali e politici.
Ovviamente so bene che la ragione consiglierebbe di essere pessimisti, ma qualche volta - ricordiamocelo - c'è anche il diritto e il dovere di mettere l'accento sull'ottimismo della volontà.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 31 OTTOBRE 2019 |