In questi giorni di coronavirus, stanno circolando in modo virale simpatici meme di politici italiani alle prese con parole e immagini della più stretta attualità.
Occasione giusta per segnalare il volume di Gianpietro Mazzoleni e Roberta Bracciale, La politica pop online (il Mulino, Bologna, 2019, pp. 152) che riprende il concetto di politica pop, riconoscibile nell’ibridazione tra fatti politici e frammenti della cultura popolare, già esplorato una decina di anni addietro da Mazzoleni e Sfardini, e lo attualizza nel nuovo scenario dei social media. Un agile volume di messa a fuoco del quadro d’insieme della comunicazione politica online e di un suo particolare ma decisivo elemento: i meme, artefatti culturali che i pubblici connessi creano, diffondono e riutilizzano sulle reti telematiche. Molto spesso si tratta artefatti legati alle varie declinazioni del comico, dall’umorismo al sarcasmo.
Un lavoro che evidenzia in modo equilibrato diverse questioni interessanti. Due in particolare meritano un richiamo:
1) la politica pop online presenta un profilo ambivalente: da un lato, sdogana il politicamente scorretto, anche nelle sue forme peggiori ed eccessive legate alla denigrazione e all’intolleranza (segnando dei rischi per il dibattito democratico); dall’altro, apre le porte a “forme più désengagé di partecipazione”, a una partecipazione non convenzionale che comunque avvicina pubblici lontani dalla politica tradizionale.
2) la politica pop online e i meme in particolare possono essere ben utilizzati sia dalla destra che dalla sinistra. I due casi emblematici di processi di memizzazione che chiudono il libro sono rappresentati dall’utilizzo di Pepe the Frog da parte di Trump e dell’immagine in quadricromia con la scritta Hope da parte di Obama.
Un volume a cui avrebbe sicuramente giovato un approccio teorico più denso, possibile sia restando nel campo dei media studies (per esempio, ci si sarebbe potuti giovare maggiormente dell’insegnamento di Jenkins) sia attingendo a riferimenti più ampi (per esempio, le forme carnevalesche descritte da Bachtin avrebbero gettato luci più brillanti sui problemi del presente).