Robert Musil, tra i maggiori scrittori del Novecento, si interroga sulla crisi della cultura europea negli anni intorno alla Grande guerra. Una crisi che, anzi, dell’immane catastrofe bellica può essere considerata prodromo. Tre suoi saggi del periodo postbellico, riuniti sotto il titolo quanto mai significativo di L’Europa smarrita (Meltemi, pp. 314, eur 20), offrono numerosi spunti di riflessione, alcuni dei quali vere e proprie illuminazioni utili ad osservare il nostro presente
Rispetto all’avanzata odierna dei nazionalismi, Musil liquida le categorie di nazione e di razza. Lo slogan “prima gli italiani” non può aver senso se “le nazioni sono un miscuglio di razze” (p. 151). La categoria di razza, a sua volta, non è che un feticcio mistico, un’illusione, un’astrazione perché la razza “non ha altra possibilità di assumere un’esistenza concreta se non tramite degli individui, e non esercita altro effetto se non quello degli individui” (p. 153). Musil ripudia la logica tassonomica attraverso la quale si inventano le razze. Persino in botanica – aggiunge – la distinzione tra le specie di rose è incerta. Figurarsi quella tra gli esseri umani.
A fronte, dell’essenzialismo pericoloso della razza, lo scrittore austriaco intravvede un uomo “mancante di forma, inaspettatamente malleabile, capace di ogni cosa” (p. 185). Da qui il monito: “non si dovrebbe ritenere sempre che si fa ciò che si è, bensì che si diviene ciò che si fa. Il monaco fa l’abito, ma anche l’abito fa il monaco” (p. 215).
A fare la differenza, è la contingenza della storia. Di essa non è indicabile un motore decisivo e propulsivo che ne orienta il corso in modo lineare e progressivo. La storia è un continuum incerto, “che solo in determinati punti si manifesta per condensazione o, si potrebbe dire, che a determinate condizioni precipita” (p. 209) in una configurazione designabile come “epoca”. Punti e condizioni che vanno ricercati nelle periferie, nelle circostanze, negli accidenti che un’impostazione rigidamente storicistica rischia di non riuscire a cogliere, appianandoli invece su una sola e determinata struttura, mentre il presente “si svolge su anelli politici, economici, culturali, biologici e illimitatamente su molti altri anelli, ciascuno dei quali con cadenza e ritmo propri” (p. 125).
Questa indisponibilità a ricondurre la storia a binari predeterminati e univoci, a categorie astratte e semplificatrici, porta Musil a cogliere il suo tempo nella molteplicità esasperante delle sue sfumature. “Un manicomio di proporzioni babiloniche: da mille finestre mille diverse voci, pensieri, musiche urlano all’unisono contro il passante, ed è evidente che l’individuo diviene il collettore di motivi anarchici e la morale si sfarina assieme allo spirito. Ma nei seminterrati di questo manicomio martella la volontà di creazione di Efesto, si realizzano i sogni primordiali dell’umanità, il volo, gli stivali delle sette leghe, la capacità di vedere attraverso i corpi solidi e un incredibile numero di fantasie della stessa risma, che nei secoli scorsi erano i più beati sogni della magia; il nostro tempo crea questi prodigi, ma non li percepisce più come tali” (pp. 239-241). Una descrizione perspicua e anticipatrice di tutto quello che sarà il secolo breve per come lo stesso Hobsbawm lo ha raccontato nel suo ormai classico volume storiografico.
Forse però una descrizione che continua ad aver presa sul nostro presente, incapace di trovare una via d’uscita da un disordine politico globale e da una contemporanea proliferazione di innovazioni tecno-scientifiche che innervano impercettibilmente la nostra vita quotidiana. Musil ci aiuta così a cogliere lo smarrimento culturale di allora che forse è simile a quello di oggi o addirittura si riverbera su quello di oggi. E ci indica, con la sua intransigente confutazione degli schematismi, la necessità sempre rinnovata di forgiare categorie all’altezza delle sfide che i tempi pongono, categorie capaci di interpretare la nostra vita in tutta la sua complessità. Ecco dunque che la nostra Europa smarrita, l’Europa del nostro millennio, può ritrovarsi, può reinventare sé stessa solo riuscendo a comprendere la connessione tra il proprio passato che continua ad avere influenza e le circostanze del presente. Senza nostalgie o mitologie ma con la fatica di un pensiero che leghi concetti e sentimenti, scienza e vissuto, intelletto e anima ed eviti così di sottovalutare i presupposti, i presagi, i segnali di una sempre possibile nuova catastrofe.