(recensione a Paura reverenza terrore di Carlo Ginzburg)
Dal crollo – ancora vivido nei nostri occhi – delle Torri gemelle a New York agli attentati recenti nei luoghi del loisir di Parigi, passando per le torture nel carcere di Abu Ghraib e le decapitazioni sceneggiate dall’Isis, da anni siamo sommersi da immagini forti che incutono terrore. Ma proprio a questo riguardo, Carlo Ginzburg nel suo ultimo libro Paura reverenza terrore (Adelphi, Milano, 2015, pp. 311) invita a tentare di “sottrarsi al rumore, al rumore incessante delle notizie che ci arrivano da ogni parte. Per capire il presente dobbiamo imparare a guardarlo di sbieco. Oppure, ricorrendo a una metafora diversa: dobbiamo imparare a guardare il presente a distanza, come se lo vedessimo attraverso un cannocchiale rovesciato. Alla fine l’attualità emergerà di nuovo, ma in un contesto diverso, inaspettato”.
Da storico attento alle rivelazioni contenute nei frammenti, Ginzburg analizza cinque immagini dense di storia: le decorazioni su una coppa d’argento dorato, fatta ad Anversa e databile al 1530 circa; il frontespizio del Leviatano di Thomas Hobbes; il quadro di Jacques-Louis David, Marat all’ultimo respiro; il manifesto Britons. Join Your Country’s Army! con il volto di lord Kitchener; infine, il celebre murale Guernica di Pablo Picasso. Dettagli visivi della Storia che guardati di sbieco rivelano quelli che sono stati i fili che hanno intessuto la modernità occidentale.
Questi saggi di iconografia politica scavano le immagini per rintracciarne le sedimentazioni accumulate. In particolare, trattandosi di emozioni estreme, Ginzburg riprende come strumento di analisi il concetto di Pathosformeln elaborato da Aby Warburg: il Rinascimento ha recuperato dall’antichità greco-romana modelli visivi per esprimere una gestualità patetica intensificata. Rinvenire questi modelli, intrecciando diagrammi e giustapposizioni formali, genealogie e morfologie, permette di portare alla luce le radici classiche di immagini moderne e il modo in cui quelle radici sono state rielaborate e sono servite per interpretare i problemi della modernità.
Nel frontespizio del Leviatano, l’incisore Abraham Bosse, su indicazione di Hobbes, inserì a destra di chi guarda piccole figure di due medici della peste con la caratteristica maschera a becco ritenuta necessaria a proteggere dal morbo. Un dettaglio rivelatore però di un’influenza decisiva per la strutturazione dell’intero pensiero politico di Hobbes: la lettura di Tucidide che, descrivendo la peste che colpì Atene nel 429 a.C., segnalò come “la paura degli dèi e le leggi umane non rappresenta[ssero] più un freno” agli istinti elementari dei cittadini e come ciò portasse alla distruzione della comunità. Si dà il fatto che Hobbes fosse stato un traduttore di Tucidide e avesse reso il passo con neither the fear of the gods, nor laws of men awed any man (né il timore degli dei né le leggi degli uomini incutevano più soggezione). Nel Leviatano, awe è ciò che origina sia la religione sia, e soprattutto, lo Stato. La paura degli dèi di Tucidide, per il traduttore Hobbes, rimanda al biblico timor di Dio che, a sua volta, traduce l’ebraico yir’ah, reso in italiano con reverenza. Reverenza che deriva dal latino vereor cioè temere. La vera traduzione di awe potrebbe essere dunque terrore, come Hobbes stesso suggerisce essendo il Leviatano “in grado di usare a tal punto il potere e la forza che gli sono stati conferiti, da piegare con il terrore la volontà di tutti” coloro che lo costruiscono e lo guardano con soggezione e reverenza, come la miriadi di uomini fanno nell’immagine del frontespizio.
In questo nodo tra teologia e politica, tra pastorale e spada, si rivela la contraddittorietà della secolarizzazione che “non si contrappone alla religione: ne invade il campo. Le reazioni alla secolarizzazione che si manifestano sotto i nostri occhi si spiegano (ho detto spiegano, non giustificano) alla luce di questa usurpazione”. E ancora: “viviamo in un mondo in cui gli Stati minacciano terrore, lo esercitano, talvolta lo subiscono. È il mondo di chi cerca di impadronirsi delle armi, venerabili e potenti, della religione, e di chi brandisce la religione come un’arma. Un mondo in cui giganteschi Leviatani si divincolano convulsamente o stanno acquattati aspettando. Un mondo simile a quello pensato e indagato da Hobbes”. E forse le cose sono ancora più complicate, forse invece del Leviatano bisognerebbe riferirsi all’Idra dalle tante teste per cogliere lo scontro tra la paura organizzata nell’entità statale e le tante paure scatenate nel nostro mondo multicentrico e turbolento.
Indispensabile è dunque scavare le immagini del presente, decifrarle per tentare di comprenderlo. Perché come insegnava Tacito fingunt simul creduntque, credono in ciò che hanno appena immaginato ovvero: siamo soggiogati da visioni di cui noi stessi siamo gli autori. Conviene dunque non esserne autori inavvertiti e affrontare il piano delle emozioni di massa in cui si spandono le paure e le immagini di terrore dei nostri giorni.
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