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UN "CRESCENTE DEFICIT DI UMANITÀ"?

1. Durante un dibattito in Casa della carità colpirono i partecipanti le parole di Livia Pomodoro, che parlò del "crescente deficit di umanità" in corso nella nostra società. Parole che ne richiamano altre di noti personaggi: per esempio dello scrittore Don De Lillo ("è accaduto qualcosa di strano alla nostra società: una sorta di disumanizzazione quasi contagiosa") o del filosofo Michael Walzer ("il neoliberismo ha incoraggiato l'indifferenza per le sofferenze della gente").

Ma è davvero in corso un fenomeno del genere? Per dare una risposta si è anzitutto cercato di definire i processi avviati dal neoliberismo, e quindi le modalità con cui la 'disumanizzazione' si manifesterebbe: avendo però chiare alcune cose. Primo, se molto si discute degli effetti economico-sociali delle politiche neoliberiste, meno lo si fa dei mutamenti indotti nei comportamenti e, prima ancora, nel modo di pensare degli uomini (e dunque sarebbe interessante approfondire l'argomento). Secondo, se si guarda con attenzione, si individuano anche fenomeni che parrebbero andare in direzione opposta a quella della disumanizzazione: la realtà è qualcosa di complesso e bisogna fare attenzione a non semplificarla troppo. Infine, la discussione non dovrebbe farsi trascinare da episodi significativi ma che richiamerebbero su "quel che è successo oggi" l'attenzione; né, tanto meno, dalle polemiche politiche quotidiane. Si provi invece a guardare ai processi di fondo: le migrazioni, certo, ma anche la crisi più lunga del secolo, il lavoro che non c'è, la precarietà, lo spaesamento di chi si trova globalizzato a casa propria. L'effetto sta nel sentimento di solitudine del cittadino, che si sente non rappresentato, con il mondo fuori controllo, non più coperto dalla politica: del resto non c'è più una cultura politica che sappia rappresentare queste fragilità disperse, riconducendole entro un discorso collettivo. Sgomenta anzi in generale il vuoto di pensiero politico.

2. In società come la nostra - in cui spicca la perdita di peso della classe operaia e il frammentarsi del ceto medio - la gente si trova a percepire tendenze quali strapotere di finanza, banche e multinazionali (con la sensazione che il potere sia altrove e dunque una sorta di angoscia di impotenza), oltre ai processi immigratori (per cui non si intravvede una fine). Se poi la crescita è tornata, la sua velocità è modesta rispetto agli anni felici del trentennio postbellico; l'occupazione ha una forte componente di precariato sottopagato e la produttività è ferma; ma soprattutto, le disuguaglianze sociali sono ai massimi. Serve però una premessa: la globalizzazione si è rivelata un meccanismo in grado di favorire l'uscita dalla povertà di gran parte delle economie arretrate, ma che spiazza gran parte di quelle avanzate (specie quelle che non hanno adeguatamente modernizzato l'economia: tra le quali l'italiana). Inoltre, se in molti paesi la quota di reddito nazionale finita nelle tasche della minoranza più ricca è cresciuta smisuratamente, l'Italia risulterebbe tra quelli con una struttura sociale più squilibrata (fatto dovuto anche alle profonde differenze a livello territoriale); mentre la disuguaglianza tende sempre più a trasmettersi da una generazione all'altra.

Un contesto simile tende in più paesi a fare riemergere la rabbia sociale e a generare un senso diffuso di esclusione, insicurezza e perdita d'identità, assieme a una sfiducia crescente in classi dirigenti, partiti e istituzioni (e alla speranza in soluzioni miracolistiche: personaggi improbabili, uscita dall'Ue, secessioni ecc.). Di ciò approfittano certi politici, dato che sfruttare la sfiducia appare più facile che generare fiducia. E se dovrebbe essere chiaro come ciò comporti rischi per la democrazia, ebbene il modo migliore per salvarla sta anzitutto nel ridurre le disuguaglianze: avendo presente che per gestire un problema come l'immigrazione, oltre a coniugare il concetto di accoglienza con quello di integrazione, occorre ascoltare chi fra noi vive nelle condizioni socio-economiche più vicine a quelle degli immigrati. Prendersi insomma a cuore la situazione degli ultimi, ma anche dei penultimi: sapendo che una società anche appena intollerante corre il rischio di diventare in breve tempo fortemente razzista.

3. Sta di fatto che 'non voglio condividere' è la parola d'ordine che segna questi tempi: ma ciò produce la regressione da cittadino a individuo. E non è un caso che la tendenza a un individualismo crescente (con una propensione a trasformarsi in egoismo) contribuisca a produrre allentamento dei legami sociali, venir meno del senso di collettività e di responsabilità verso la comunità. Ciò si coglie tra l'altro anche nella crisi dei corpi intermedi; ma gli effetti più pesanti si vedono nel conseguente incremento di immoralità e illegalità, con un'assuefazione crescente a comportamenti immorali e illegali (favorita anche da un portato fondamentale delle politiche neoliberiste quale la tendenza alla mercificazione di tutto, in atto da più decenni e che non può che favorire il progressivo sgretolamento di una serie di principi e valori). Si pensi ad esempio al peso in Italia dell'evasione fiscale (stimata in 130 md di euro, 8% del pil) o a quello della corruzione.

4. L'individualismo trae spinta anche dall'enorme diffusione dei social media, da cui non proviene certo uno stimolo al dialogo e al confronto: perché nella sostanza ti fanno ascoltare esattamente quello che vuoi ascoltare. Su di essi non c'è spazio per le sfumature o la possibilità che due visioni contrapposte abbiano dei punti in comune, tutto è molto bianco o molto nero: parliamo tutti ma ci confrontiamo sempre meno con chi la pensa diversamente (e anche questo può contribuire a un certo logoramento morale della società). Senza dimenticare che esiste poi una notevole differenza (spesso sottovalutata) tra parlarsi di persona e comunicare via e-mail.

I social media stanno insomma cambiando le persone e non solo il loro modo di comunicare, stimolando per di più un crescente narcisismo (dato che attraverso questi si è sotto gli occhi di tutti e dunque si è spinti a cercare di distinguersi e di apparire unici e irripetibili). "Il narcisismo - scriveva tra l'altro Zygmunt Bauman nell'ultima sua opera - è ormai diventato la norma che regola di fatto il comportamento umano". Lo sviluppo tecnologico ha insomma una quantità di informazioni senza precedenti e questo può avere effetti positivi, ma anche negativi: tra cui si potrebbe porre il sorgere di un'età dell'incompetenza, segnata dall'incapacità di riconoscere i limiti del proprio sapere e in cui una sorta di egualitarismo narcisistico disinformato pretende di dibattere con chiunque alla pari. Non è solo questione di insofferenza verso l'establishment ma verso le competenze e l'esperienza in generale, che non vengono riconosciute ma delegittimate: e da qui breve è il passo verso la crisi del principio di autorità. Pare incontestabile che anche questo contribuisca alla disumanizzazione di una società che sta perdendo la fiducia nel futuro, oltre che la memoria del passato ("presentismo").

5. A questo punto il meglio delle culture e delle morali cristiana e laico-progressista dovrebbero guardarsi negli occhi e parlarsi: urge un pensiero che sappia alimentare uno sguardo umano, e a tale scopo Casa della cultura e Casa della carità hanno iniziato a cercare un percorso comune finalizzato a promuovere una discussione che tenda a estendersi, una battaglia culturale che coinvolga altre realtà che possano esserne interessate, senza assolutamente dimenticarsi delle giovani generazioni. Questa iniziativa è cioè generata dalla convinzione che troppo drammatico sia il momento che si sta vivendo, troppo grandi e complessi i problemi da affrontare e che quindi le risposte vadano cercate, perchè non arrivano da sole. Se si sta fermi, confidando che i vecchi argomenti ritrovino automaticamente la forza di imporsi, si è già perso, il mondo cambia troppo rapidamente; e la visione e l'impegno comune tra credenti e non credenti di cui parlava Carlo Maria Martini è fondamentale, se si vuole pensare a quel futuro che oggi non si riesce neppure a immaginare. Non è un caso che anche Papa Francesco abbia richiamato all'urgenza di realizzare "coalizioni culturali, educative, filosofiche, religiose", armando "la nostra gente con la cultura del dialogo e dell'incontro".

 

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23 GENNAIO 2019