Carlo Olmo  
  casa-della-cultura-milano      
   
 

SPAZIO E UTOPIA NEL PROGETTO DI ARCHITETTURA


Commento al libro curato da A. De Magistris e A. Scotti



Carlo Olmo


altri contributi:



  carlo-olmo-utopia-architettura.jpg




 

In una società in cui quasi ogni mossa appare se non strumentale di brevissimo periodo, in cui trionfano le ideologie, secondo la più ferrea visione marxista, curare un libro, sia pur dal titolo pessimista, Utopiae finis?, appare quasi una sfida. L'utopia ha una storia carsica, fiorisce in fasi storiche di grande mutamento e quasi scompare quando la società sembra trovare una sua stabilità (autoritaria o democratica qui poco interessa). E quella che noi viviamo, almeno per come ce la raccontano quasi tutte le forze politiche nel mondo, sarebbe una fase storica di cambiamento… per eccellenza. Questo libro curato da Alessandro De Magistris e Aurora Scotti - Utopiae finis? Percorsi tra utopismi e progetto (Accademia University Press, 2018) - pur con tutte le discontinuità che un testo curatoriale con tredici contributi necessariamente presenta, appare così quasi rompere il silenzio sulla mancanza di profondità temporale di quasi tutti i protagonisti in campo, sia politico che culturale.

Se non c'è una riflessione sull'utopia, forse è perché la narrazione che ci ossessiona è più simile a una leggenda metropolitana, che un tentativo di leggere la realtà? Forse alcuni spunti che il libro offre ci possono aiutare. Non certo cercando di attualizzare analisi che discutono, con idee anche diverse, sull'origine del pensiero utopico - in ballo c'è persino la discussione sulla natura di un testo come La Repubblica di Platone - ma per la riflessione che il libro consente su "relazioni pericolose" che il pensiero utopico comunque propone.

La prima è quella tra spazio e società. Le società occidentali sono vissute in questi ultimi trent'anni accompagnate da una relazione, data quasi per scontata, tra uno spazio divenuto quasi inutile, persino come dimensione concettuale (siamo tornati al flat space che ben altro senso aveva prima di Copernico!) e l'emergere prepotente di uno spazio che si torna addirittura a difendere con mura, fisiche, giuridiche, persino architettoniche. Il povero Ledoux e il suo progetto, tante volete entrato nel catalogo delle utopie urbane, del muro dei Fermiers Gènéraux, come ricorda nel libro Edoardo Piccoli, appare quasi un gioco da bimbi di fronte all'ipotesi di costruire un muro lungo al frontiera tra Usa e Messico! E sia il mur francese che il muro americano nascono sotto l'egida di un pensiero tutt'alto che utopico!

Eppure almeno quel mur fu il secondo "monumento" assalito e bruciato dopo la Bastille, uno scandire il procedere della rivoluzione francese! Ma forse i famosi caselle divennero utopici… dopo la rivoluzione! Se si vuole usare una blanda ironia, le nazioni murate dentro le quali si vuole che regni l'ordine e la ricchezza, richiamano prepotentemente un altro topos del pensiero utopico: una delle svariate isole in cui sono immaginate vivere le città di utopia, come ci racconta nel suo saggio di Agostino Petrillo. Anche temi centrali delle diverse epoche del pensiero utopico, ed è la seconda, importante riflessione che il libro propone, il rapporto con la natura. Il riappropiarsi del rapporto tra uomo e natura - come racconta Catherine Maumi nel suo saggio su Broadacre City - oggi diventa quasi un valore aggiunto alla tirannia di un valore, come scriverebbe Carl Schmitt: la misura economica.

La città verde e sostenibile si misura non rispetto a modelli, magari estremi come quelli di Rousseau: e nell'antologia manca, dell'utopia forse quella più concreta e influente, l'origine della specie di Charles Darwin. Un intreccio, quasi da leggenda, di due topos del pensiero utopico e delle sue traduzioni tardo settecentesche: il viaggio e la scoperta. De Bouganvillee e von Humboldt, ma anche Carl Linnaeus che a parte le due spedizione in terre prossime - la Lapponia e la Svezia centrale - costruisce, senza più muoversi da Uppsala, le basi stesse della catalogazione scientifiche, botaniche universali, e una delle parole chiave del rapporto tra spazio e utopia: la misura e la misurabilità. Il mondo di utopia è un universo dove tutto è misurabile e in cui la misura è il metro presunto di ogni azione umana. Il rapporto tra utopia, misura e scoperta emerge forse come il tratto più interessante del volume. È presente in forme giustamente diverse, nei saggi di Patetta, Piccoli, Scotti. Ed è proprio il doppio rapporto con la misura e la scoperta, che fa… soffrire il lettore contemporaneo del volume, perseguitato da semplificazioni, algoritmi, misure persino della più equivoca attività umana: il viaggio! Si viaggia non solo per riconoscere e non per scoprire, ma per misurare il proprio livello di… internazionalizzazione: povero Linnaeus!

Il viaggio - come ricordano i due curatori - nel pensiero utopico, soprattutto settecentesco, ma ancora novecentesco, ha la funzione di costruire il tempo necessario a rompere la continuità con la realtà (splendida nel testo la citazione del piccolo libro di Ivan Kremenev) e rendere credibile la rottura tra realtà e utopia. Come la città, lo esemplificano molto bene la vicenda di Antolini che Aurora Scotti restituisce nel volume e la rilettura de L'An 2440 di Sébastien Mercier che recupera a una letteratura distratta Edoardo Piccoli - non è solo la congelata manifestazione di una presunta coincidenza tra spazio e società, quasi lo sberleffo alle attuali pretese di Trump, Horban, Kurtz, Kaczynski. La città è la sede fondamentale in cui il progetto utopico sperimenta innovazione e scoperta, progettuale e sociale. In questa chiave il lavoro di Federico Deambrosis su Tomás Maldonado e sul suo testo centrale - La speranza progettuale (Einaudi, 1970) - offre l'esempio più delicato e allo stesso tempo più intrigante, di quanto il concetto di utopia possa "contenere", quasi un vaso di Pandora. D'altronde basterebbe studiare la ricezione del pensiero di Saint-Simon - anche solo nella straordinaria esposizione universale di Parigi del 1867 - per cogliere quanto poco statico fosse il pensiero utopico o catalogato come tale, persino in pieno Ottocento.

Ma il libro è in primo luogo un libro di storici e un libro sul valore quasi talmudico del progetto di architettura e sarebbe sbagliato non darne conto. Una riflessione, la terza, che porta in luce un problema e la difficoltà della scelta editoriale compiuta: la curatela. L'antologia riflette una scelta canonica di temi della vicenda dell'utopia e del suo rapporto con lo spazio, soprattutto con la città. Ci sono utopie anti urbane che hanno radici antiche che il libro tuttavia non tratta. Ma è una scelta curatoriale assolutamente in linea con la chiave di lettura scelta. Come i temi che scandiscono una periodizzazione moderna e contemporanea copre le scansioni necessarie. Forse le utopie francesi del dopo Jules Verne, tanto per usare il più facile degli esempi, o legate alla fortuna di testi come News from Nowhere di Wiilliam Morris, avrebbero completato il panorama ricercato su una così lunga periodizzazione. E qui entra il problema della curatela. Nella vulgata accademica le curatele sono ormai… fuori dal mercato editoriale. Meglio scrivere due articoli in riviste, ovviamente di categoria A, che dedicarsi davvero a una curatela! Pensiero quasi generale, nato come spesso succede dalla mancanza di conoscenza dei dati che lo potrebbero sostenere, perché le curatele autentiche, ad esempio, nelle due tornate di valutazione della ricerca universitaria, hanno avuto la più alta valutazione. Certo nelle procedure di valutazione si è fatta grande attenzione a distinguere tra raccolta e curatela. E non mancano certo i criteri: dalla costruzione della curatela ai percorsi che i saggi che la compongono devono seguire, sino all'esistenza di un'ipotesi scientifica che regga la raccolta esplicitata in un'introduzione di cui il o i curatori si assumono la responsabilità.

In questo caso l'ipotesi che regge l'antologia di testi è resa esplicita nel saggio introduttivo di Alessandro De Magistris e Aurora Scotti ed è, come detto, il rapporto che esisterebbe tra utopia e progetto di architettura, non l'architettura realizzata. Un'ipotesi che la natura prevalentemente testuale o disegnata delle utopie che vengono considerate nella raccolta supporta come fonti, ma che non in tutti testi risulta così chiara. Lo è certamente nei testi di Edoardo Piccoli, Aurora Scotti, Catherine Maumi. Altri saggi toccano un piano assai diverso e per altro interno alle riflessioni utopiche: la natura fondamentalmente didascalica, sino a diventare normativa, della riflessione sull'utopia: e questo vale soprattutto per i saggi di Luka Skansi e Manfredo di Robilant. Altri saggi sono quasi istituzionali per la storia sull'utopia, come quello di Luciano Patetta, o toccano temi importanti, ma che poco hanno a che fare con il rapporto tra progetto e utopia, come quello di Manuel Orazi.

Più che una curatela e la dimostrazione di una chiave interpretativa, il libro offre così al lettore un panorama cronologico dal quattrocento a oggi, una serie di spunti su temi centrali della storia del rapporto tra spazio e utopia, lasciando a chi lo legga forse la voglia di capire di più proprio rispetto alla chiave scelta per leggere quel legame: il progetto di architettura. In questo senso la figura che si ha voglia di tornare a studiare è Tomás Maldonado, per il suo… viaggiare, insegnare, scrivere, organizzare il pensiero, e forse come ultimo aspetto lo scrivere. La speranza progettuale è insieme al testo di De Carlo, La Piramide Rovesciata, recentemente rieditata da Filippo De Pieri (Quodlibet, 2018), il frutto italiano più interessante dell'interrogare anni, quelli attorno al 1968, oggetto di commemorazioni davvero modeste. Ma sono testi, come il tafuriano Progetto e Utopia (Laterza, 1973) e forse ancor di più, portatori di un progetto che riguarda le istituzioni (le riviste, le scuole, le organizzazioni politiche). Sono testi dalla forte carica critica - benjaminiana più che adorniana in questo - forse non direttamente riconducibili a un pensiero utopico, a meno che utopia non si voglia che contenga ogni forma di rifiuto di un'identità così fortemente ricercata oggi negli "altri" attori della scena culturale e politica, evocati o dichiarati dai pensatori utopici. Ma forse questo è un altro enigma, direbbe Maigret.

Carlo Olmo

 

 

 

N.d.C. - Carlo Olmo, professore emerito di Storia dell'Architettura del Politecnico di Torino, è stato preside della Facoltà di Architettura e ha coordinato il dottorato di ricerca in Storia dell'Architettura e dell'Urbanistica. Ha insegnato all'École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, al Mit di Boston e in numerose università straniere. Ha inoltre curato mostre di architettura a Torino, Venezia, Roma, Parigi, Bruxelles e New York.

Tra i suoi libri: Politica e forma (Vallecchi, 1971); Architettura edilizia. Ipotesi di una storia (Torino, 1975), con Roberto Gabetti, Le Corbusier e L'Esprit Nouveau (Einaudi, 1975); con Riccardo Roscelli, Produzione edilizia e gestione del territorio (Stampatori, 1979); La città industriale. Protagonisti e scenari (Einaudi, 1980); Aldo Rossi attraverso i testi (Mazzotta 1986): tr. ing. in "Assemblage", 5, 1988: Turin et des Miroirs feles, in "Annales", 3, 1989; con Roberto Gabetti, Alle radici dell'architettura contemporanea. Il cantiere e la parola (Einaudi, 1989); con Linda Aimone, Le esposizioni universali, 1851-1900. Il progresso in scena (Allemandi, 1990; ed. fr. Belin 1993); con Luigi Mazza (a cura di), Architettura e urbanistica a Torino, 1945-1990 (Allemandi, 1991); (a cura di), Cantieri e disegni. Architetture e piani per Torino, 1945-1990 (Allemandi, 1992); Urbanistica e società civile. Esperienza e conoscenza, 1945-1960 (Bollati Boringhieri, 1992); Gabetti e Isola. Architetture (Allemandi, 1993); (a cura di), La ricostruzione in Europa nel secondo dopoguerra (Cipia, 1993); (a cura di), Il Lingotto: 1915-1939. L'architettura, l'immagine, il lavoro (Allemandi, 1994); (a cura di) con Bernard Lepetit, La città e le sue storie (Einaudi, 1995); (a cura di), con Alessandro De Magistris, Jakov Cernihov: documenti e riproduzioni dall'archivio di Aleksej e Dimitri Cernihov (Allemandi, 1995; ed. fr. Somogy editions d'art, 1995; ed. ted. Arnoldsche, 1995); Le nuvole di Patte. Quattro lezioni di storia urbana (FrancoAngeli, 1995); (a cura di), Mirafiori (Allemandi, 1997); (a cura di) con Lorenzo Capellini e Vera Comoli, Torino (Allemandi, 1999); (a cura di), Dizionario dell'architettura del XX secolo (Allemandi, 2000-2001, 5 vol.; ed. Enciclopedia Treccani, 2002); Costruire la città dell'uomo. Adriano Olivetti e l'urbanistica (Edizioni di Comunità, 2001); (a cura di) con Walter Santagata, Sergio Scamuzzi, Tre modelli per produrre e diffondere cultura a Torino (Fondazione Istituto piemontese Antonio Gramsci, 2001); con Michela Comba, Marcella Beraudo di Pralormo, Le metafore e il cantiere. Lingotto 1982-2003 (Allemandi, 2003); (a cura di) con Michela Comba e Manfredo di Robilant, Un grattacielo per la Spina. Torino, 6 progetti su una centralità urbana, catalogo della mostra (Allemandi, 2007); Morfologie urbane (il Mulino, 2007); (a cura di), Giedion, Sigfried, Breviario di architettura (Bollati Boringhieri, 2008); (a cura di) con Arnaldo Bagnasco, Torino 011: biografia di una città. Saggi (Mondadori Electa, 2008); Architettura e Novecento. Diritti, conflitti, valori (Donzelli, 2010); (a cura di), con Cristiana Chiorino, Pier Luigi Nervi. Architettura come sfida (Silvana ed., 2010, 2012); Architecture and the 20. Century: Rights, conflicts, values (List Lab, 2013); Architettura e storia. Paradigmi della discontinuità (Donzelli, 2013); con Susanna Caccia Gherardini, Le Corbusier e il fantasma patrimoniale (Il Mulino 2015) e Metamorfosi americane. Destruction throught neglect: Villa Savoye tra mito e patrimonio (Quodlibet, 2016); con Susanna Caccia, La villa Savoye. Icona, rovina e restauro (1948-1968) (Donzelli, 2016); con Patrizia Bonifazio e Luca Lazzarini, Le Case Olivetti a Ivrea (Il Mulino, 2018); con postfazione con Antonio De Rossi, Urbanistica e società civile (Edizioni di Comunità, 2018); Città e democrazia. Per una critica delle parole e delle cose (Donzelli, 2018).

Sull'ultimo libro di Carlo Olmo - Città e democrazia. Per una critica delle parole e delle cose (Donzelli, 2018) - v., in questa rubrica, il commento di Cristina Bianchetti, Lo spazio in cui ci si rende visibili e la cerbiatta di Cuarón (5 ottobre 2018).

N.B. I grassetti nel testo sono nostri

R.R.

 


© RIPRODUZIONE RISERVATA

15 FEBBRAIO 2019

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, il paesaggio e la cultura del progetto urbano, paesistico e territoriale

ideato e diretto da
Renzo Riboldazzi

prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano

in redazione:
Elena Bertani
Oriana Codispoti

cittabenecomune@casadellacultura.it

powered by:
DASTU (Facebook) - Dipart. di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano
 

 

 

Le conferenze

2017: Salvatore Settis
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

2018: Cesare de Seta
locandina/presentazione

 

 

Gli incontri

- cultura urbanistica:
2013: programma/present.
2014: programma/present.
2015: programma/present.
2016: programma/present.
2017: programma/present.
2018: programma/present.
2019: programma/present.
 
- cultura paesaggistica:
2019: programma/present.

 

 

Gli autoritratti

2017: Edoardo Salzano
2018: Silvano Tintori

 

 

Le letture

2015: online/pubblicazione
2016: online/pubblicazione
2017: online/pubblicazione
2018: online/pubblicazione
2019:

F. Indovina, Che si torni a riflettere sulla rendita, commento a: I. Blečić (a cura di), Lo scandalo urbanistico 50 anni dopo (FrancoAngeli, 2017)

I. Agostini, Spiragli di utopia. Lefebvre e lo spazio rurale, commento a: H. Lefebvre, Spazio e politica (Ombre corte, 2018)

G. Borrelli, Lefebvre e l'equivoco della partecipazione, commento a: H. Lefebvre, Spazio e politica (Ombre corte, 2018); La produzione dello spazio (PGreco, 2018)

M. Carta, Nuovi paradigmi per una diversa urbanistica, commento a: G. Pasqui, Urbanistica oggi (Donzelli, 2017)

G. Pasqui, I confini: pratiche quotidiane e cittadinanza, commento a: L. Gaeta, La civiltà dei confini (Carocci, 2018)

 

 

 

 

 

I post