BULLISMO: COME NEL PASSATO MA CON STRUMENTI MUTATI

In questi giorni si legge spesso sui giornali dei cosiddetti fenomeni di bullismo e delle reazioni che essi suscitano nelle famiglie di adolescenti perseguitati e in generale nel pubblico. Mi sono improvvisamente ricordato di un episodio di circa settanta anni fa, quando giocavo per strada con i miei coetanei in un quartiere allora alla periferia di Milano. Capitò un giorno un nuovo ragazzino tra noi, caratterizzato dall’essere, come si dice oggi, decisamente sovrappeso, oltre a differenziarsi da noi per la pronuncia, aperta o chiusa, di certe vocali. Ciò fu sufficiente per far scattare la nostra coordinata e molto crudele persecuzione: gliene facemmo di tutti i colori, sino a che sua madre non scese in strada e ci disse quello che ci meritavamo. L’episodio si chiuse felicemente: la vittima venne finalmente accolta nel gruppo come componente “alla pari”, tolte naturalmente le sacramentali gerarchie interne che esistevano anche prima del suo arrivo. Come si poteva essere tanto cattivi? Ma il fatto è che il piacere di sentirsi parte di un gruppo e di essere in esso accolti e riconosciuti in modo complice e narcisisticamente lusinghiero era troppo forte, soprattutto per chi ancora è ben lungi da una maturazione adulta della personalità; questo fatto del riconoscimento e dell’autostima naturalmente si ribadiva e si incrementava creando la frontiera dell’altro, del difforme, dell’estraneo (dello straniero) in base a fattori e circostanze del tutto casuali: peggio per chi ci capitava sotto; la sua innocenza in proposito non leniva affatto la nostra ferocia autoreferenziale.

Nella sostanza penso che il meccanismo profondo della esclusione e della persecuzione dell’estraneo rispetto a un gruppo complice, attivatosi in tacita collaborazione, sia il medesimo ancora oggi rispetto al passato. Radicalmente mutati sono gli strumenti disponibili per la persecuzione, che ingigantiscono le sofferenze sino a livelli di totale intollerabilità. Il punto non è quello di indignarsi contro “i giovani di oggi”, ma di trovare soluzione al gigantismo degli strumenti nel nostro tempo disponibili, cioè di ricondurne l’uso entro limiti socialmente e moralmente efficaci e condivisibili, grazie alle leggi e all’educazione, che diviene fattore del quale tutti devono farsi carico ben più che in passato. Insomma: tirare un pugno o tirare un missile sono fatti che hanno una evidente radice comune, ma per evitarne gli effetti molto difformi e imparagonabili, la cultura e cioè la coscienza politico-sociale di tutti è ben altrimenti sollecitata e posta in questione. È di qui che si deve partire nella vita individuale di ognuno e poi nell’uso della informazione che oggi raggiunge tutti, innocenti e colpevoli.

LA FAMIGLIA E LA NATURA

Come è ovvio, il dibattito sulle leggi relative al riconoscimento delle unioni tra omosessuali e, ancor più, sulle relative possibili adozioni di minori sta suscitando nel paese molta emozione e partecipazione. Questi fenomeni generali credo che siano anzitutto un bene per la vita democratica di una nazione: siamo indotti a confrontarci gli uni con gli altri e perciò, poco o tanto, dobbiamo prestare orecchio alle ragioni e alle emozioni dell’altro.

Non sono così ingenuo da non accorgermi come, in queste occasioni, si manifestino anche ragioni meno nobili e non in buona fede, per la presenza di prepotenze ideologiche e interessi economico-politici che fomentano il dibattito falsandolo e, per così dire, avvelenandolo con prese di posizione volutamente tanto estreme quanto menzognere. Tuttavia penso che questo male inevitabile nella grande società dell’informazione trovi comunque nel dibattito pubblico un efficace correttivo. In questo spirito e con tutto il rispetto di cui sono capace verso le opinioni che non condivido, cerco di sintetizzare, in pochissime parole, alcune cose che mi sembra sia difficile negare o, quanto meno, trascurare.

La prima riguarda la cosiddetta famiglia naturale: naturale in che senso? Se l’appello è alla natura in generale, quella che è innegabile è l’estrema varietà delle soluzioni che la natura ha per così dire inventato per la riproduzione delle specie (sino a esseri viventi che, nel corso della loro vita biologica, cambiano sesso ecc.). Maschio e femmina sono nozioni molto variabili e pensare di appellarvisi per definire la coppia umana è assolutamente avventuroso, per non dire impossibile.

Se poi, parlando di famiglia naturale, il riferimento è alla famiglia umana, solo una straordinaria ignoranza della storia dell’homo sapiens consente di identificare l’attuale famiglia con i sistemi di aggregazione che in centinaia di migliaia di anni, nelle più diverse condizioni di vita economica e sociale, hanno caratterizzato i rapporti famigliari, le relazione tra adulti (e adolescenti) di ambo i sessi e in generale le relazioni di parentela.

Naturalmente le persone sono più o meno affezionate alle loro tradizioni e non stanno a pensare a vecchie storie antropologiche e sociali; però non possono non riconoscere che, appunto, le tradizioni sociali cambiano nel tempo e il problema non è la loro giustificazione a priori o per principio, ma le conseguenze che dalle novità che premono possono derivare: questo è l’unico punto serio, a mio avviso, sul quale confrontarsi.

Quanto poi a coloro che invocano il dettato religioso e la presunta volontà di Dio (“volontà” che è privo di senso, per non dire di peggio, invocare a proprio vantaggio e sostegno), mi limito a ricordare che una legge di tutela di una minoranza non obbliga certo la maggioranza a imitarla. Aggiungo che viviamo da tempo, in Europa, entro un patto sociale (costato nei secoli lacrime e sangue) per il quale le credenze religiose sono tutelate come fatto privato e personale, ma non hanno alcuna rilevanza o cogenza sul piano politico e giuridico generale. So con certezza che molte persone di fede cattolica la pensano nello stesso modo. Sono le prime che dovrebbero indignarsi e allarmarsi di fronte a cartelli, che abbiamo visto sui giornali, del tipo “Dio lo vuole”. Di questa barbarie ci siamo liberati tanto tempo fa, elevando la dignità delle persone e della stessa fede religiosa. Chi ancora è tentato quella barbarie di frequentarla, anche solo per il vezzo originale di esibire un cartello “di colore”, si qualifica da sé.