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Il libro di Antonella Galli e Pierluigi Masini, I luoghi del design in Italia. Quattordici viaggi d’autore alle sorgenti del progetto (Baldini & Castoldi, 2023), è un testo particolarmente interessante non solo per la storia del design nel nostro Paese, ma anche per una riflessione profonda sul legame tra territori, culture, modelli produttivi e oggetti. Un ossimoro particolarmente intrigante che caratterizza il volume è quello della “localizzazione globalizzata”: del fatto cioè che oggetti ideati a livello locale poi assurgono a prodotti desiderati, amati, celebrati, copiati in tutto il mondo. E devo dire che questa magnifica tensione si avverte in tutto il volume (che tra l’altro è molto bello e curato nella forma complessiva e nell’inserto iconografico a colori) lasciando il lettore sulla soglia ad osservare un mondo intimo e privato, familiare e aziendale che improvvisamente genera una bellezza che vale per tutti.
È l’dea della sorgente (ripresa anche nel sottotitolo) a fare da guida al volume: il fatto che le cose nascano in un luogo preciso per poi diffondersi ovunque. È, infatti, proprio lì e in nessun altro posto che si genera quel rigagnolo che poi diventa fiume e sfocia nel mare nostrum per poi arrivare agli oceani. È una questione di genius loci, si potrebbe dire. Ma è possibile una descrizione del genius loci?
Il concetto di genius loci è molto difficile da definire nonostante sia al centro di numerose riflessioni, soprattutto a partire dal celeberrimo libro di Christian Norberg-Schulz, Genius Loci: Towards a Phenomenology of Architecture del 1979. Richiama un’idea di sacralità del luogo, una dimensione fondativa, dell’origine di una comunità che si insedia in un territorio per trovarvi identità e difendersi dagli invasori possibili. Gli antichi romani lo rappresentavano come uno spiritello in forma di serpente che si pone a protezione di un luogo e della sua storia. Questo spirito era una divinità minore che comunque era opportuno venerare. Per ottenere la sua benevolenza, si doveva invocarlo, fargli offerte di fiori e di frutti. Soprattutto, bisognava rispettare il luogo affinché il genius loci dispensasse la sua grazia proteggendo le persone che lo abitavano. Viceversa, in caso dunque di mancato rispetto, il genio si sarebbe vendicato causando sciagure a più non posso. Per questo motivo il genius loci può persino intimorire chi non si presta a una qualche forma di ossequio.
Oggi con il termine genius loci si intende comunemente l’insieme di elementi tipici di un dato luogo, tali da renderlo distintivo, cioè diverso dagli altri e come tale riconoscibile. Molto probabilmente, nell’epoca contemporanea, il serpentello del genius loci si troverebbe a fronteggiare il processo di globalizzazione, i fenomeni che spingono verso una omologazione delle realtà territoriali o ad una loro riduzione a non-luoghi, negandone l’identità specifica. In ogni caso, il genius loci, nelle sue forme tangibili e intangibili (Markevičienė 2012, Vecco 2020), va difeso dalle minacce incombenti. In questa prospettiva si pone anche la riflessione di Hillman il quale, nel suo testo L’anima dei luoghi (2004), riscontra una anestetizzazione degli esseri umani dovuta ad una sorta di frastuono della modernità e ad una pura razionalizzazione dei luoghi tali da renderli del tutto irriconoscibili e uguali tra di loro perché scevri dalle componenti più intimiste.
Aperta e chiusa questa parentesi sul genius loci possiamo tornare al libro di Galli e Masini che ci propongono esattamente questa sfida, alludendo a ciò che prende forma in uno specifico territorio e per certi verso lo caratterizza per poi affacciarsi sul pianeta intero gridando ad alta voce: Signori e signore questa è bellezza che vale per tutti! Credo che il concetto di design sia proprio questo: la produzione in serie di oggetti che nel nome della componente estetica e funzionale e anche della loro dimensione sorgiva miracolosa (di volta in volta da riconoscere perché spesso – anche se non sempre – quel che succede dipende da dove succede) salva gli oggetti dalla loro pura banalità pur con il rischio incombente ma anche gioioso di una loro feticizzazione di massa. Troppo facile è il richiamo Walter Benjamin e al suo testo L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica (1936) con la perdita dell’aura che ne consegue. Leggendo il libro di Galli e Masini si prova proprio questa sensazione: un processo di attribuzione di nobiltà agli oggetti che non è a valle ma a monte, cioè dove questi sono nati.
Ma – vien da chiedersi – dove sono nati? Ecco, dunque, la necessità di venire ai territori specifici. Di tutti i tipi: la città, la costa, la pianura, la prima collina, la laguna: ognuno dotato di una forza generativa, capace di produrre epifanie industriali. Quattordici per la precisione quelli a cui fanno riferimento gli autori, tra cui: la Pianura Padana, dei terreni fertili, dei trattori che procedono con saggia lentezza ma scatenano la voglia di correre, su strade dritte come la Via Emilia; la costiera sorrentina accarezzata dalla brezza marina e luogo di villeggiatura con le sfumature del blu delle acque; e poi ancora Roma con un museo proiettato verso la modernità in lotta dunque con l’antichità dell’Urbe, quasi a provocarne il genius loci; le colline toscane nelle quali il far maioliche affonda le radici nel Rinascimento o quelle marchigiane dove si lavora da sempre la pelle; le istituzioni che esibiscono l’ordine meneghino nella forma pignola della catalogazione industriale-museale; gli appartamenti-studio-fondazione della borghesia a Milano; i luoghi della Bassa dove la conservazione delle tradizioni (non solo culinarie) fa rima con archiviazione; il Veneto scalpitante; l’area metropolitana milanese dove la plastica che cerca di farsi sostenibile è di casa; e poi, più a nord, la Brianza dove invece da sempre si lavora il legno; infine, l’acqua cheta della laguna veneziana che serve da modella per la lavorazione di un vetro trasparente, colorato e sinuoso come l’acqua stessa.
Natura e cultura, geografia fisica e sociopolitica. Se proviamo a mappare queste località (Fig. 1) possiamo facilmente riconoscere quel che resta delle cosiddette Tre Italie di Arnaldo Bagnasco (1977). La prima, a occidente, è quella del triangolo industriale motore dello sviluppo del Paese a partire dal secondo dopoguerra e caratterizzata dalla presenza di grandi fabbriche. Se si esclude Milano e il suo intorno, gli autori però non si sono spinti molto a nord-ovest. Come naturale, l’attenzione è viceversa andata sulle regioni del centro-nord-est. Proprio quella parte definita come “terza Italia”, fatta di bien vivre, imprese medie, distretti industriali e orgogli familiari: da qui, peraltro, la moltiplicazione dei musei aziendali. Al centro-sud – la “seconda Italia” – troviamo ben poco: Roma è pur sempre la capitale e la costiera sorrentina è attraente. Ma poi ci si ferma lì, perché è indubbio che design e sviluppo economico vanno a braccetto e il turismo non è sufficiente a risollevare le sorti del Mezzogiorno. Un discorso a parte merita Milano (con le sue esposizioni e i laboratori creativi dei grandi designers) che rappresenta il ponte del nostro Paese verso l’Europa e il mondo intero. Milano, dunque, città che non è propriamente parte della terza Italia ma dove si progetta, museizza e vende ciò che viene prodotto proprio in quei territori limitrofi.
Certo, occorre richiamare un caveat. Anche se sino ad ora abbiamo cercato di contestualizzare a livello territoriale i casi trattati nel volume non possiamo affermare che esista un determinismo geografico, non è detto cioè che dato uno specifico territorio ne consegua necessariamente un determinato fenomeno. Le variabili intervenienti sono molte. Dalla formazione della classe imprenditoriale alla struttura della popolazione, da una cultura diffusa della innovazione alla più semplice circostanza fortunata degli eventi. Tutto questo si chiama serendipity: le situazioni si determinano inaspettatamente, a volte i cambiamenti sono sedimentati e lenti, ma in altri casi tutto avviene quando nessuno se lo aspetta. Ogni storia è una storia a sé. Non è certamente il caso di entrare nel merito dei vari luoghi-esperienze trattati nel volume: dal Design Museum di Milano al Museo Ferruccio Lamborghini di Funo Argelato, dall’Hotel Parco dei Principi a Sorrento allo CSAC di Parma, dalle Fondazioni di Achille Castiglioni e Vico Magistretti di Milano al Molteni Museum di Giussano e via dicendo. Lasciamo al lettore questo compito di leggersi e immergersi nelle quattordici realtà raccontate, con la fantasia o con il desiderio di recarsi in persona sui luoghi descritti.
È il caso però di dire qualcosa sul taglio narrativo dei due autori. Entrambi giornalisti ma non freddi ciceroni, bensì narratori emozionalmente coinvolti in questa avventura, come attori circondati da quinte ricchissime di oggetti e significati. Un po’ impegnati a recitare la loro parte di esperti ma anche ad improvvisare, mi piace pensare a Galli e Masini come studiosi capaci di esplorare la quotidianità della bellezza. Harvey Molotch ha scritto un libro particolarmente importante sulla origine degli oggetti per la forma che hanno, F
La domanda da cui nasce questo libro non è: “Cosa è il design?”, ma: “Dove si trova?” Naturalmente, il design ci circonda: è nelle nostre case, ma anche negli studi di architettura, nei negozi di arredamento, negli hotel; ma dove sono le sorgenti nascoste di questa disciplina? Dove possiamo scoprirne davvero la storia, le declinazioni assunte nel tempo, le curiosità legate a oggetti e idee che hanno cambiato la nostra vita senza che, magari, neppure ce ne accorgessimo?
Ovviamente, il libro non poteva essere esaustivo delle molte altre realtà locali da cui origina il design (penso alla Olivetti nella Ivrea del profondo nord-ovest, che sia questo il motivo per fare un secondo volume). Ma già questa mappa ci offre spunti molto importanti per coglierne una geografia e pertanto costituisce un’occasione di lettura da non perdere. Apre anche a nuovi approcci metodologici nel campo delle discipline sociali ed economiche laddove la narrazione giornalistica ed emozionale dei luoghi può contribuire alla indagine sul rapporto tra il genius loci (da cui siamo partiti) sedimentato nei territori e i fenomeni che nel tempo trovano in essi configurazione.
Giampaolo Nuvolati
Bibliografia Bagnasco A., 1977, Tre Italie. La problematica territoriale dello sviluppo italiano, Il Mulino, Bologna. Benjamin W., 1936, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino [2000]. Norberg-Schulz C., 1979, Genius Loci: Towards a Phenomenology of Place, Rizzoli, Milano. Hillman J., 2004, L’anima dei luoghi, Rizzoli, Milano. Markevičienė J., 2012, “The spirit of the place - the problem of (RE)creating”, Journal of Architecture and Urbanism, Vol. 36, n. 1, pp. 73-81. Molotch H., 2005, Fenomenologia del tostapane Come gli oggetti quotidiani diventano quello che sono, Raffaello Cortina Editore, Milano. Vecco M., 2020, “Genius loci as meta concept”, Journal of Cultural Heritage, Vol. 41, pp. 225-231.
N.d.C. Giampaolo Nuvolati è professore ordinario di Sociologia dell’ambiente e del territorio all’Università degli studi di Milano Bicocca dove insegna Sociologia urbana. Nello stesso Ateneo è stato presidente del Corso di laurea Magistrale di Sociologia e direttore del Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale. È prorettore dell’Ateneo per i Rapporti con il Territorio.
Tra i suoi libri: La qualità della vita delle città. Metodi e risultati delle ricerche comparative (FrancoAngeli, 1998); Popolazioni in movimento, città in trasformazione. Abitanti, pendolari, city users, uomini d'affari e flâneur (il Mulino, 2002); Lo sguardo vagabondo. Il flâneur e la città da Baudelaire ai postmoderni (il Mulino, 2006); Mobilità quotidiana e complessità urbana (Firenze University Press, 2007); L'interpretazione dei luoghi. Flanerie come esperienza di vita (Firenze University Press, 2013); Un caffè tra amici, un whiskey con lo sconosciuto. La funzione dei bar nella metropoli contemporanea (Moretti & Vitali, 2016); (a cura di), Sviluppo urbano e politiche per la qualità della vita (Firenze University Press, 2018); con Giorgio Bigatti (a cura di), Raccontare un quartiere. Luoghi volti e memorie della Bicocca (Scalpendi, 2018); Interstizi della città. Rifugi del vivere quotidiano (Moretti & Vitali, 2019); (a cura di), Enciclopedia sociologica dei luoghi (Ledizioni, vol.1-2019; vol.2-2020; vol.3-2020; vol. 4-2021; vol. 5-2021; vol. 6-2022); (a cura di), con Sara Spanu, Manifesto dei Sociologi e delle Sociologhe dell’Ambiente e del Territorio sulle Città e le Aree Naturali del dopo Covid-19 (Ledizioni, 2020); (a cura di), con Rita Capurro, Milano, ritratto di una città. Il paesaggio culturale (Silvana Editoriale, 2020); con Alessandra Terenzi, Qualità della vita nel quartiere di edilizia popolare a San Siro, Milano (Ledizioni, 2021); a cura di, Esperienze di vita nei giorni del silenzio. La Bicocca al tempo del coronavirus (Nomos, 2021); con Marianna D'Ovidio, a cura di, Temi e metodi per la sociologia del territorio (UTET Università, 2022); a cura di, Il campus Bicocca. Storia passata e nuova vita degli edifici dell'Ateneo (Rubbettino, 2022).
Per Città Bene Comune ha scritto: Città e paesaggi: traiettorie per il futuro (8 dicembre 2017); Tecnologia (e politica) per migliorare il mondo (13 luglio 2018); Scoprire l’inatteso negli interstizi delle città (20 settembre 2019); Città e Covid-19: il ruolo degli intellettuali (29 maggio 2020); Abitare la diversità (4 giugno 2021); Per una riflessione olistica sul vivere urbano (17 febbraio 2022); Anche lo spazio fa la società (25 novembre 2022); Emanciparsi (e partecipare) camminando (10 marzo 2023).
Sui libri di Giampaolo Nuvolati, v. i commenti di: Duccio Demetrio (27 settembre 2019); Giancarlo Consonni (29 novembre 2019); Marino Ruzzenenti (29 gennaio 2021); Giovanni Semi (9 aprile 2021); Alfredo Mela (18 marzo 2022).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 07 LUGLIO 2023 |
CITTÀ BENE COMUNE
Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, l'ambiente, il paesaggio e le relative culture progettuali
ideato e diretto da Renzo Riboldazzi
prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano
in redazione: Elena Bertani Luca Bottini Oriana Codispoti
cittabenecomune@casadellacultura.it
iniziativa sostenuta da:
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2017: Salvatore Settis locandina/presentazione sintesi video/testo integrale
2018: Cesare de Seta locandina/presentazione sintesi video/testo integrale
2019: G. Pasqui | C. Sini locandina/presentazione sintesi video/testo integrale
Gli incontri
Gli autoritratti
2017: Edoardo Salzano 2018: Silvano Tintori 2019: Alberto Magnaghi 2022: Pier Luigi Cervellati
Le letture
2015: online/pubblicazione 2016: online/pubblicazione 2017: online/pubblicazione 2018: online/pubblicazione 2019: online/pubblicazione 2020: online/pubblicazione 2021: online/pubblicazione 2022: online/pubblicazione 2023:
C.Olmo, Un'urbanistica della materialità e del silenzio, commento a:C. Bianchetti, Le mura di Troia (Donzelli 2023)
E. Scandurra, Dalle aree interne un'inedita modernità, commento a: L. Decandia,Territori in trasformazione (Donzelli, 2022)
M. Brusatin, Parlare al non-finito & altro, commento a: L. Crespi, Design del non-finito (Postmedia, 2023)
H. Porfyriou, L'urbanistica tra igiene, salute e potere, commento a: G. Zucconi, La città degli igienisti (Carocci, 2022)
G. Strappa, Ogni ricostruzione è progetto, note a partire a: E. Bordogna, T. Brighenti, Terremoti e strategie di ricostruzione (LetteraVentidue, 2022)
L. Bifulco, Essere preparati: città, disastri, futuro, commento a: S. Armondi, A. Balducci, M. Bovo, B. Galimberti (a cura di), Cities Learning from a Pandemic: Towards Preparedness (Routledge, 2022)
A. Bruzzese, Una piazza per ogni scuola, commento a: P. Pileri, C. Renzoni, P. Savoldi, Piazze scolastiche (Corraini, 2022)
C. Sini, Più che l'ingegnere, ci vuole il bricoleur, commento a: G. Pasqui, Gli irregolari (FrancoAngeli, 2022)
G. De Luca, L'urbanistica tra politica e comorbilità, commento a: M. Carta, Futuro (Rubbettino, 2019)
F. Erbani, Una linea rossa per il consumo di suolo, commento a: V. De Lucia, L’Italia era bellissima (DeriveApprodi, 2022)
F. Ventura, L'urbanistica fatta coi piedi, commento a: G. Biondillo, Sentieri metropolitani (Bollati Boringhieri, 2022)
E. Battisti, La regia pubblica fa più bella la città, commento a: P. Sacerdoti, Via Dante a Milano (Gangemi, 2020)
G. Nuvolati, Emanciparsi (e partecipare camminando), commento a: L. Carrera, La flâneuse (Franco Angeli, 2022)
P. O. Rossi, Zevi: cinquant'annidi urbanistica italiana, commento a: R. Pavia, Bruno Zevi (Bordeaux, 2022)
C. Olmo, La memoria come progetto, commento a: L. Parola, Giù i monumenti? (Einaudi, 2022); B. Pedretti, Il culto dell’autore (Quodlibet, 2022); F. Barbera, D. Cersosimo, A. De Rossi (a cura di), Contro i borghi (Donzelli, 2022)
A. Calafati, La costruzione sociale di un disastro, commento a: A. Horowitz, Katrina. A History, 1915-2015 (Harvard University Press, 2020)
B. Bottero, Città vs cittadini? No grazie, commento a: M. Bernardi, F. Cognetti e A. Delera, Di-stanza. La casa a Milano (LetteraVentidue, 2021)
F. Indovina, La città è un desiderio, commento a: G. Amendola, Desideri di città (Progedit, 2022)
A. Mazzette, La cura come principio regolatore, F. C. Nigrelli (a cura di), Come cambieranno le città e i territori dopo il Covid-19 (Quodlibet Studio, 2021)
P. Pileri, La sostenibilità tradita ancora, commento a: L. Casanova, Ombre sulla neve. Milano-Cortina 2026 (Altreconomia, 2022)
A. Muntoni, L'urbanistica, sociologia che si fa forma, commento a: V. Lupo, Marcello Vittorini, ingegnere urbanista (Gangemi, 2020)
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