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La ricerca storica – in quanto tale – è un modo di osservare il passato e sottintende sempre una visione complessiva. L’articolazione in storie settoriali, inclusa la storia dell’architettura, è essenzialmente un’eredità ottocentesca, un resto della gnoseologia positivista per la quale ogni sapere, ogni competenza seguiva proprie linee di sviluppo interne. Oggi, al netto del revival strutturalista di metà Novecento, le storie settoriali trovano la loro ragion d’essere nella necessità di una prima, sommaria, delimitazione dei campi di interesse dei singoli ricercatori, accanto agli altrettanto utili, ma strumentali limiti spazio-temporali. È ovvio: solo entro un perimetro di ragionevole estensione è possibile sviluppare metodi d’indagine specifici, più penetranti. La qualità di una ricerca si giudica anche nella capacità di delimitare, nell’ambito infinitamente vasto e complesso della storia, in questa geometria non irrazionale ma non cartesiana, una propria area in cui siano possibili osservazioni più profonde.
La storia dell’architettura e la storia dell’arte illustrano bene i conflitti fra le concezioni di ascendenza ottocentesca e le loro successive metamorfosi e la difficoltà di leggere persone e cose, cultura e oggetti entro più vasto contesto della storia della società. Entrambi hanno perso da oltre un secolo il compito di estrarre dall’arte del passato repertori di modelli, letterali o traslati che fossero. È stato lungo e difficile rinunciare a un compito chiaro, quello teorico di ricostruire leggi e regole dedotte dal patrimonio ora dell’uno ora dell’altro momento storico, in pratica di anticipare e orientare il gusto e con questo perdere un diritto di ingerenza riconosciuto nei fatti del presente. Oggi in entrambi i settori la storia dovrebbe ormai essersi separata dalla critica operativa, specie nella misura in cui quest’ultima – sotto le mentite spoglie di “storia contemporanea” si è progressivamente ridotta ad agiografia. Opere d’arte ed edifici, e ovviamente la loro concezione e la loro realizzazione, dovrebbero essere ordinati non tanto e non solo in sequenze determinate da un autonomo sviluppo, ma continuamente correlate alla cultura e alla vita sociale loro contemporanee.
Non è però ancora scomparsa l’abitudine di pubblicare disegni, meglio se noti o di scarso significato, con testi che valgono al più come lunghe didascalie, o in carenza di disegni, riassunti più che regesti di documenti. Le categorie della prima metà del Novecento, essenzialmente morfologiche, possono essere una fra le numerose componenti di un orizzonte di ricerca molto più esteso, e reggono solo quando siano sorrette da un’elevata specializzazione, poiché è diventato molto più complesso controllare repertori e fonti a fronte dei quali il sistema circoscritto di riferimenti degli studi novecenteschi appare ormai ristretto e obsoleto. È quindi arretrato e pericoloso considerarle fondamenti metodologici o criteri di perimetrazione di un ambito disciplinare. Ben diverso è il più ampio universo in cui bon gré- mal –gré questi campi di ricerca sono stati ricollocati. Qui, nella storia della società e della cultura, a fini meramente accademici sussistono delimitazioni di massima, su parametri temporali e su temi generali, ma soprattutto si sono molto più sviluppati i metodi di analisi e i criteri di verifica e di verità, in particolare nell’attività specifica di ogni ricerca storica, cioè la valutazione e la rigorosa esegesi delle proprie fonti, pratiche che solo in subordine possono risentire degli interessi e degli oggetti della ricerca. Per la storia dell’architettura, la questione si fa delicata quando le fonti tradizionali si fanno più scarse ed è necessario lavorare anche, in diversa misura, su una documentazione indiretta, cioè su quanto, nella visione corrente, pertiene la storia delle istituzioni e di altri aspetti della vita sociale per i quali si sono sviluppati vari e specifici strumenti di indagine. Di essi si impone quindi la preliminare conoscenza, poiché ne dipende l’interpretazione corretta di testi e oggetti. A queste necessità si è dalle sue origini adeguata la ricerca storica che privilegia le fonti materiali, dalle archeologie postclassiche al più recente ambito della storia della costruzione. Non di rado, gli stessi singoli documenti possono fornire un contributo modesto, mentre esso si accresce, quando l’indagine diventa quantitativa. Nel complesso, i risultati possono ricomporsi in racconti che si collocano entro i vasti orizzonti della storia della società e della cultura, anche se sugli edifici, sul loro progetto, sulla loro costruzione le informazioni possono sembrare limitate. Sulla scrivania, possono rimanere molti materiali inutilizzati – ma non inutilizzabili – che tuttavia bisogna resistere alla tentazione di reimpiegare fuori dall’ambito che è loro più proprio.
Committenti ed edifici
Edoardo Grendi soleva dire sorridendo che l’unica effettiva scusante che può addurre chi studia gli edifici a giustificazione di tale scelta, è il fatto che, se lo fa con rigore e metodo, è costretto a occuparsi delle persone. Si potrebbe rispondere che già nel cantiere gli attori sono numerosi, a partire dagli stessi architetti. Dipende da quali aspetti si privilegiano. Il bel libro dedicato più di trent’anni fa da Barry Bergdoll a Léon Vaudoyer(1) ricostruisce la formazione, l’ambiguo rapporto fra scelte politiche e ruoli professionali, le relazioni sociali di un grande accademico, e in questo senso offre un punto di vista preziosissimo sulla cultura e sulla società francese tra Restaurazione e secondo Impero. Lo spazio dedicato agli edifici è assai minore, e le osservazioni appaiono qualche volta sommarie. Era una via obbligata, si dirà: la Cattedrale di Marsiglia – anche ai più latitudinari – appare troppo corrispondente al non tenero giudizio di Benjamin – che Bergdoll cita e non smentisce(2) – per consentire una chiave interpretativa diversa. Ma, simmetricamente, un edificio di grande qualità, come la Alte Pinakothek di Klenze a München non meriterebbe la prolissa, tradizionale analisi morfologica di Peter Böttger(3), servirebbe una visione ben altrimenti complessa per spiegare la singolare raffinatezza costruttiva, non solo formale, dei suoi interni, fra i più colti ed eleganti dell’Ottocento europeo.
La committenza è una fondamentale chiave di lettura, già acquisita alla storia dell’arte attraverso opere celeberrime(4). Ma come, con grande preoccupazione di non poche grandi figure del Settecento e del primo Ottocento, l’architettura non è diretta imitatrice della natura come le altre arti, così il coinvolgimento della committenza nelle sue opere è ben altrimenti complesso. Questa percezione non è mancata, ma – dai dilettanti di architettura alle vere e proprie politiche delle istituzioni – spesso i temi che coinvolge sono stati ricondotti a schemi tradizionali o a trattati in modo schematico, come un dato estrinseco.
Non è quindi scontato né marginale che Marica Forni scelga di esplicitare già nel titolo l’inversione di prospettiva – Abitare da principe. Le residenze e le collezioni di Alberico XII Barbiano di Belgiojoso (Gangemi, 2020) – e sancisca la centralità del committente, che, con sicura competenza, inserisce in un più complessivo disegno anche le iniziative edilizie. Il ruolo che egli gioca nella società milanese consente molto bene all’autrice di pagare almeno in parte i propri debiti – di metodo e di ricorso alle fonti – verso la storia moderna – ove si voglia rimanere legati a vecchi steccati disciplinari – o, con un lessico più aperto e più attuale, ad offrire informazioni e argomenti ad un più vasto ambito delle scienze storiche.
D’altro canto, poche figure avrebbero offerto in modo tanto compiuto una duplice chiave di lettura, l’autorappresentazione, il cerimoniale, e l’attività e le abitudini della vita quotidiana. I primi due termini sono di fatto la razionalizzazione e una attentamente proporzionata esaltazione dei secondi, questa doppia endiadi definisce l’appartenenza a un ben determinato gruppo sociale. Negli edifici essi governano la distribution, per i trattatisti francesi del Sei e del Settecento il commodum vitruviano.
Gli studi di Monique Eleb Vidal e Anne Debarre Blanchard(5) e di Patricia Waddy(6) hanno goduto di ampi riconoscimenti, ma non sono stati molto imitati. Anche fra gli storici, tuttavia, la linea di ricerca per certi versi parallela avviata da Daniela Frigo(7) trasferendo al panorama italiano e puntualizzando una prospettiva aperta dal vecchio libro di Otto Brunner(8), si è mossa un po’ in secondo piano, continuata ad una scala più ravvicinata, per Roma, in curioso parallelo con la Waddy, da Völkel(9), o in un’altra chiave, negli interni secenteschi delineati da Renata Ago(10). Altre riflessioni potrebbe suggerire, fra gli altri, l’ambiente genovese, tanto attento a questi argomenti, per gli studi paralleli di Ennio Poleggi, di Edoardo Grendi, di Giorgio Doria, e più di recente, più orientate sugli oggetti e sulle opere d’arte, e sugli interessi culturali più generali della committenza, di Lauro Magnani e di Osvaldo Raggio, anche perché diversi sono gli intervalli temporali(11).
Le élites e le loro residenze nella Milano di Ancien Régime
Nel panorama lombardo i medesimi temi(12), affrontati negli Anni Novanta dalla stessa Marica Forni, hanno avuto nel nuovo millennio un seguito esiguo(13). Appare più fortunato un generico e ormai consunto concetto di autorappresentazione o di “magnificenza”(14) o l’attenzione manifestata è proporzionale alla presenza di connotati formali, come gli ordini architettonici o più semplicemente la decorazione di facciate e interni, come postulavano accezioni arretrate della storia dell’architettura, tanto da indurre una ricercatrice attenta e sistematica come Albane Cogné a concludere un po’ curiosamente che L’absence d’études de la part des historiens de l’art ou de l’architecture, sul palazzo Crivelli, per esempio, è dovuta al fatto che le palais ne constitue pas un groupe omogène, réalisé de manière unitaire, e selon un projet précis(15) mettendo involontariamente il dito in altre piaghe… Cercando di ancorare ad una consistenza materiale le evidenze documentarie, si è scontrata con la mancanza di opere d’insieme non meramente discorsive, con la discontinua qualità delle monografie su singoli palazzi, in generale legate all’occasione, agli intenti promozionali dei proprietari recenti, non a una strategia coerente di ricerca. Sicuramente, le massicce distruzioni del secondo Ottocento e dell’intero Novecento, che hanno spesso cancellato ogni traccia di edifici anche molto rilevanti, hanno favorito una visione distorta, parziale anche della residenza aristocratica dell’Età Moderna e in generale delle trasformazioni urbane. Tuttavia, più complessi percorsi fra documenti di differente natura, più remoti ma anche più recenti, dagli inventari ai danni di guerra, permetterebbero una cognizione molto migliore di quanto si è perduto, come mostrano le indicazioni di Nadia Covini sul palazzo di Cicco Simonetta(16) o il saggio di Edoardo Rossetti sui noti resti di un palazzo di età sforzesca, quello di Filippo Eustachi(17), di cui sarebbe di cattivo gusto indagare le molteplici metamorfosi in talune affrettate sintesi del secolo passato sul Quattrocento milanese. Quantunque il campione scelto, il patriziato, comprenda nella capitale solo la metà circa degli aristocratici, e la stabilità politica della Milano di Antico Regime sia garantita dalla labilità sociale(18), dalla capacità di cooptazione, Albane Cogné riesce a delineare un quadro verificabile a scala urbana delle dinamiche patrimoniali, più che residenziali, delle élites. Proprio la coerenza di questa visione d’insieme mostra per differenza l’impossibilità, allo stato attuale degli studi sugli edifici, di capire se e in che misura ne restino condizionati i modi di concepirli e di costruirli. In realtà, una delle rare carenze dell’ampio e ammirevole studio sulle proprietà del patriziato(19) è la non nitida percezione che l’identità di ceto si traduce in modi di vivere, in attività, in abitudini, prescinde dalle tipologie, o meglio dà loro un diverso senso essenzialmente funzionale, e in questa dimensione concreta può chiarire anche le strategie di investimento immobiliare. Nella Milano dell’Età Moderna, nel Ducato tutto, i contemporanei hanno ben chiara una categoria, la “casa da nobile”, qualifica del tutto indipendente dallo stato giuridico del proprietario o dei residenti a vario titolo. È una sorta di standard utile nelle transazioni immobiliari ma soprattutto sintesi di un costume abitativo, la vita more nobilium, l’insieme degli ambienti necessari a realizzarlo, disposti in sequenze opportune(20). Corrisponde perfettamente al concetto di tipo enunciato da Quatremère de Quincy, «serve di regola al modello» e produce oggetti «che non si somigliano punto fra loro». Dimensioni, caratteristiche costruttive, planimetrie possono variare fortemente. Attraverso questo concetto – che contiene una cultura dell’abitare ma declina anche la vita quotidiana e si trasforma continuamente rispecchiando più generali dinamiche della società – si ricollegano la città di pietra, la urbs, e le persone che la vivono, la civitas, interagiscono la gestione della proprietà e la configurazione della residenza. L’architettura, come disegno degli spazi e degli elementi costruttivi, può avere diversi gradi di complessità, ma è un momento successivo, subordinato, nelle scelte di abitanti e/o proprietari. Tuttavia, anch’essa è un tramite con la vita culturale e la realtà produttiva. Abitare da principe è quindi un’espressione fortemente significativa, ben più di un titolo felicemente sintetico, riassume in tre parole questa interazione fra edifici e società. È invece una visione astorica, quando non antistorica, ogni classificazione tipologica fondata su ricorrenze formali, senza considerarne l’origine e gli eventuali diversi ruoli assunti nel tempo. Basta ricordare il mito delle case veneziane a portego negli scritti di Muratori e Maretto, o il largo uso della facile ed elastica categoria delle case a corte in tanti piani urbanistici della fine del XX secolo.
Un grand siècle di transizione
Il grand siècle milanese, fra il 1748 e il 1848, fa perno certo su alcune grandi figure – dal Verri al Cattaneo – ma è tale poiché al loro fianco il panorama è animato da una grande quantità di attori – non semplici comparse, che formano un contesto, una società: senza di esso si rischia di fraintendere i protagonisti, anch’essi uomini del loro tempo. Basta ricordare lo smarrimento di Pietro Verri, descritto da Carlo Capra con tanta simpatia, davanti alla divisione dell’eredità paterna, incapace di liberarsi di un’idea sedimentata della famiglia, e del ruolo in essa del primogenito. Per quanto conscio quant’altri mai delle piaghe del mondo patrizio, anzi proprio per questo, restava ancora, e pienamente, patricius mediolanensis(21). Come scrisse Julien Benda di La Bruyère(22), mentre apriva un’epoca nuova, per la sua educazione e le sue radici credeva ancora a quella che chiudeva.
Alberico di Belgiojoso è una tessera fondamentale di questo variopinto mosaico, anzi, il ruolo pubblico che ricopre e i comportamenti che esso impone, incluso il mecenatismo, mettono in luce aspetti sottovalutati della società milanese. Il compito che si è prefisso è quello di costruirsi e di giocare un ruolo, per sé e per le future generazioni della famiglia, quello del Principe del Sacro Romano Impero, figura cardine nell’universo dell’assolutismo illuminato kakanier in cui la «Lombardia Austriaca» è solo geograficamente, ma certo non culturalmente periferica. Il modello più evidente non potrebbe non essere Anton Wenzel von Kaunitz(23), ma non mancano su un più remoto sfondo altre figure. Il trattato di architettura di Karl Eusebius von Liechtestein è pensato come codicillo del testamento(24) ed in realtà è l’istruzione agli eredi sul comportamento che un Grande dell’Impero deve tenere rispetto alle scienze e alle arti, una sorta di decalogo per quella missione del ricco, che è un tratto specifico dell’alta aristocrazia absburgica, continuamente aggiornato e riproposto, profondamente condiviso anche dai governanti della Lombardia del Settecento, e fra essi da tutto il gruppo dell’Accademia dei Pugni, dai Verri al Biffi… (25). Più precisa, forse più vicina a un certo cattolicesimo giansenista, quello comune a Manzoni e a Grillparzer, suona l’espressione « doveri del proprio stato».
Il modello transalpino è sicuramente ambizioso, presuppone patrimoni con i quali le pur rilevanti fortune milanesi pare fatichino a reggere il confronto. Forse incidono le diverse modalità di gestione: oltralpe una ricognizione anche superficiale mette in luce attività diversificate accanto alla produzione agricolo-alimentare, dalla silvicultura fino alle vetrerie, alle fonderie, alle stesse tessiture, organizzate in aziende direttamente gestite dai grandi proprietari(26). In Lombardia, l’apologia del grande affitto fondiario ha un po’ distratto dallo studio della formazione e della gestione dei maggiori patrimoni. La complessa vicenda della redenzione delle regalie potrebbe nascondere in parte un disimpegno progressivo dai fronti non agricoli (27). I successivi tentativi di differenziazione, verso l’industria, sono rari, tardi e spesso poco fortunati, vedi i casi Archinto(28) e Litta(29), i più rispondenti, per dimensioni al modello transalpino.
Il tallone di Achille di tutta la costruzione di Alberico di Belgiojoso è proprio di natura patrimoniale. Il suo programma ha richiesto immobilizzazioni sproporzionate rispetto agli investimenti produttivi e al loro reddito. Forse il primogenito Rinaldo fondava i suoi comportamenti tanto aspramente deprecati dal padre e dallo zio Ludovico su una percezione più realistica dei tempi e delle fortune familiari, come suggeriscono i suoi avveduti (e non certo incolti) investimenti…(30). Naturalmente il venir meno più precoce, rispetto agli altri stati ereditari, dei sistemi di protezione delle fortune nobiliari, in Lombardia essenzialmente i fedecommessi, avrebbe implicato un più rapido mutamento di mentalità, nei fatti molto difficile, come mostrano le traversie già ricordate del certo non passatista Pietro Verri. Il suo caso veniva replicato in mille specchi di cui sicuramente quello dei Belgiojoso è uno dei più vasti e significativi.
Tra Milano e Vienna, una rete di contatti
Non solo le incontrovertibili scelte politiche, ma gli stessi progetti culturali di Alberico di Belgiojoso sottolineano i legami di reciproca appartenenza fra la Corte e il governo viennesi, tanto compositi e cosmopoliti, e il solo apparentemente distante Stato di Milano. Questa complessa e feconda rete di scambi si è progressivamente appannata nella memoria fino ad oscurarsi fra le due guerre mondiali, in un più generale regresso civile e culturale. Nei decenni seguenti, per gli storici non è stato semplice ricostruirla e molto ancora resta da comprendere.
Alcuni strumenti istituzionali erano pienamente attivi: è tale la Società Patriotica(31) – rigorosamente con un “T” sola, fino al patriotismus solo culturale di Max Dvorak(32), sull’orlo dell’abisso, parte di una rete che si estende di là delle Alpi. È noto l’impegno della Patriotische Gesellschaft di Brünn – che pubblica due volte alla settimana un Tagblatt, cui sono abbonati (ma sarebbe potuto essere diverso?) anche patrizi milanesi con proprietà in luogo…(33). La presenza dei Milanesi a Vienna era cresciuta nel corso del Settecento e si mantenne per tutta l’Età napoleonica. Gli scambi fioriscono nei più impensati settori: la termolampada, il primo sistema di illuminazione a gas, viene realizzata a Milano proprio in palazzo Belgiojoso, nel 1803, nell’appartamento affittato dal Marchese Alessandro Carlotti, con l’assistenza dell’abate Carlo Amoretti, già segretario della Patriotica, seguendo le istruzioni redatte da Zachaeus Andreas Winzler, «portate da Vienna da un colto Signore», difficile da identificare perché i sospettabili sono troppi(34). Nella promozione della Thermolampe si era naturalmente distinto il Patriotisches Tagblatt, e oltre che a Vienna, in Moravia sorgevano i grandi impianti realizzati da Winzler che Amoretti visiterà nel 1807(35).
Era una scelta meditata, non mancanza di informazione: l’installazione parigina di Philippe Leon non aveva commosso Volta e Brugnatelli, che pure l’avevano visitata nel novembre 1801(36). L’ingegnere francese, che primo mise a punto e pubblicizzò un prototipo, offriva del resto soltanto solo opuscoli pubblicitari, in vista di incarichi.
Le riforme stesse, anche quelle più decisive, procedono parallele in Lombardia e negli altri stati absburgici, anzi poter confrontare strategie e risultati in contesti diversi permette di migliorare l’azione di governo. Ne è un esempio la soppressione di conventi e monasteri, i cui effetti, come dimostrano gli studi, furono attentamente controllati. E’ significativa anche la contemporaneità di talune decisioni: quando, nel 1782, le malversazioni spingono alla soppressione delle Certose di Pavia e di Garegnano, le piaghe di Mauerbach sono sotto gli occhi di Giuseppe II e di Kaunitz, e condurranno alla soppressione anche di Gaming(37).
L’assimilazione fra le aristocrazie dei diversi domini absburgici – pur non semplice, dati i loro diversi statuti – era una politica ovvia, ed è giustamente passata in secondo piano in una stagione tutta rivolta ad obiettivi di ben più alta e sostanziale portata. La nonna tirolese – Wolkenstein Trostburg – di Alberico di Belgiojoso rinvia all’ubiquità – vedi il tanto discusso plenipotenziario Carl Gotthardt von Firmian(38) – di un gruppo di comune origine geografica che, nei massimi ruoli dell’amministrazione, aveva consolidato la sua presenza in tutti i domini absburgici. L’intervento – non certo sgradito – di Maria Teresa nelle vicende familiari degli Ala Ponzone nella fedelissima Cremona, è stato studiato dettagliatamente e proprio per questo ha tutta l’aria di non essere isolato(39), e gli stretti legami, non solo con l’«Eccelsa Casa Imperiale», ma con il sistema, con l’apparato di governo, coinvolgono l’alto patriziato, basti pensare ai Fraganeschi(40) o ai Soresina Vidoni, in una città in cui la stagione dei Lumi è l’ultima occasione (mancata) per uscire da un plurisecolare declino(41). Riescono, in questa prospettiva, meglio comprensibili la presenza e i ruoli, spesso di primo piano, dell’aristocrazia lombardo veneta nella corte e nello stato absburgici, fino al 1918, e accanto ad essa, ovviamente, e ben più consistente, di un forte nucleo di funzionari e di tecnici.
La missione del ricco e quella del Principe del S.R.I.
La protezione attiva delle arti, il collezionismo, sono una parte della più complessa missione del ricco di cui Alberico di Belgiojoso è interprete tanto fedele: serve loro non da contraltare, ma da indispensabile integrazione, in una sostanziale parità di rango, la promozione delle attività produttive vere e proprie, a partire dall’agricoltura, che ben più delle manifatture, contribuisce al prodotto interno lordo dello Stato di Milano. Ne consegue una partecipazione molto intensa del proprietario alla gestione dei suoi beni, a partire proprio dagli edifici(42). Duhamel du Monceau (1700 – 1782) ha cominciato pubblicando il rilievo della sua fattoria(43), orgoglioso delle modifiche introdotte, e lo ha seguito una serie di volumi di gentiluomini, da Charles Philippe de Lasteyrie du Saillant(44), a Léon de Pertuis de Laillevault(45), i cui scritti figurano nella biblioteca di Giuseppe Pollack, successo al padre come architetto di fiducia dei Belgiojoso(46), a Charles de Morel de Vindée(47), a Armand Joseph de Saint Félix de Mauremont(48) da cui Urbain Vitry, pure lui tolosano, ha in parte ripreso il titolo famoso “le Propriétaire architecte”(49). Jean Philippe Garric ha tentato una sintesi del tema, soprattutto per lo spazio culturale francese(50), visto giustamente in rapporto a una più generale circolazione delle competenze nel campo della costruzione, mentre in Italia sulle abbondanti tracce, anche solo bibliografiche, non si è ancora tentata una ricerca sistematica, forse proprio perché l’argomento coinvolge più complessi rapporti fra cultura tecnica e società. Corte Sant’Andrea, grande complesso pianificato di edifici rurali, una realizzazione trascurata ma di grande significato nel panorama lombardo assume a buon diritto un ruolo rilevante in Abitare da principe(51). Ne è un significativo parallelo – nonostante i conflitti generazionali – la proprietà di Carlo Rinaldo a Velate, ed entrambi invitano ad una diversa attenzione per il patrimonio edilizio della campagna lombarda, pesantemente manomesso o in abbandono, non certo riconducibile ai corrivi concetti di vernacolo o di architettura contadina, o all’ambiguo folklore della cascina. Su questi temi quarant’anni qualche interesse era emerso, ma fu presto abbandonato fors’anche per il permanere, anche nel campo delle altre storie, di interpretazioni - forse troppo – consolidate.
Sulla necessità della presenza dell’architettura nella formazione delle élites, è ben noto, non sussisteva dubbio fin dalla metà del Seicento(52), quando si erano definiti i programmi educativi dei Collegia Nobilium. In termini più diretti e più pratici queste competenze sono richieste concordemente dai corrispondenti cui Filippo Re si rivolge per realizzare l’inchiesta sullo stato dell’agricoltura nel Regno Italico che pubblicherà sulla sua rivista(53). Il gentiluomo costruttore, in città e in campagna, è il riflesso di una più complessiva evoluzione del costume che passa dal gusto ai modi di vita alla gestione del patrimonio. Non ne mancano testimonianze nella letteratura più strettamente agronomica, dal Dictionnaire del Rozier, con la celebre vice sul pisé(54) alle voci «Abitazione» o «Costruzioni rurali», ma anche “Casone” “finestra…”nella tarda silloge del Dizionario di Agricoltura del Gera, che molto ne dipende (55).
La preparazione di Alberico di Belgiojoso è tuttavia a più ampio spettro, non si limita ad una dimensione utilitaria. La sua è la “cultura media” o medio alta dell’aristocrazia milanese, dei gentiluomini della corte di Francesco III d’Este o di quella dell’Arciduca Ferdinando, formata sulla trattatistica francese, da Daviler al très grand Blondel, fin dalla metà del Settecento(56) e, nel suo come in altri casi, corroborata da lunghi soggiorni a Parigi, nelle sue missioni militari e diplomatiche, e dai più tardi e meno ufficiali soggiorni a Montpellier(57). I libri sono uno strumento essenziale del progetto, che è solo in parte invenzione, anzi, spesso in prevalenza, è assemblaggio, replica, citazione. Delle opere di successo prosperano le contraffazioni, fra le quali raggiungono qualità singolare quelle dei librai di Augsburg(58) che spaziano dall’Oppenordt al De Rossi – e non a caso sono ancor oggi presenti nelle biblioteche pubbliche milanesi. La circolazione di testi e incisioni qualifica una civiltà urbana. Sempre usando una testimonianza quantitativa, che conclude questo periodo, l’inchiesta di Filippo Re, sull’agricoltura, chi risponde dai centri meno attrezzati sottolinea la mancanza dell’essenziale supporto librario, e indica già una geografia di carenze che pare decrescente via via che ci si avvicina a quella che allora è la capitale del Regno Italico(59).
Risorsa comune di architetti e committenti, anzi a Milano più di questi ultimi, a causa della chiusura corporativa del Collegio degli Ingegneri(60) attorno ai libri si svolge il dialogo che porta alla definizione dei progetti, ma si forma anche il professionista dell’Ottocento “liberale”. Allora, le competenze e i ruoli di proprietario ed architetto rispetto al cantiere e rispetto agli edifici realizzati diventeranno diversi e distanti, riflettendo diversi gradi di specializzazione. Si consolidano anche critica e storiografia, ed è comprensibile che queste cerchino di proiettare nel passato gli schemi in uso nel loro tempo.
Il mutare del gusto e degli indirizzi degli Anni Settanta è in primo luogo una scelta dei grandi committenti – una decisione politica, una strategia culturale(61), del Principe di Kaunitz in prima linea. I fogliolini da lui riempiti di disegni si conservano ancora nei Vorträge la sua corrispondenza con l’Imperatrice(62), il suo primogenito, Ernst Christoph, futuro suocero di Metternich, diresse dal 1772 l’Hofbauamt e dal 1783 divenne responsabile della Oberhofbaudirektion, che coordinava i lavori pubblici dell’Impero(63).
Il Cancelliere rifugge chi sia trop grand seigneur pour obéir. Ha scelto Piermarini non tanto perché replica il moderato classicismo di Vanvitelli, ma perché è docile. Saprà però trovarsi un ruolo nella Milano dei Fé la cui ambiguità non sfuggirà all’ormai vecchio Cancelliere di Corte e Stato(64), né a Giuseppe II e Leopoldo II.
Non meraviglia quindi che nel proprio palazzo Alberico di Belgiojoso dispieghi fin dalla facciata la sua passione per gli emblemi, il suo programma iconografico e i ricordi della Francia e dei suoi libri, in una sintesi che è parsa ovviamente distante dalla cultura e dagli interessi del compiacente Folignate. Gli interni procedono secondo la regia del proprietario che non esita a ricorrere all’opera del più aggiornato Simone Cantoni(65), al quale lo legano anche letture condivise. Anche il Polacchino – con il quale si instaura un solido rapporto di stima – si presterà ai programmi e alle cartelle di disegni inglesi del fratello Ludovico, e la forte dissonanza fra le opposte facciate del palazzo in Contrada Isara è probabilmente fra le testimonianze delle abitudini di famiglia.
In altre parole, un mito storiografico, quello della Milano neoclassica, acquista contorni realistici, una solida base documentaria. In fondo, dal punto di vista concettuale, era rimasto forse troppo a lungo là dove era partito, negli Anni Venti, al momento in cui un gruppo di architetti milanesi, con oltre vent’anni di ritardo decise di “scimiare”, come si diceva nel Settecento, “Um 1800” e il revival Impero fra Parigi e Vienna… La Milano dei Lumi, in questo campo, ha subito anche di recente l’ipoteca di una sempre più incerta critica operativa, o dell’ambiguo e vago universo dell’antiquaria, del gusto, delle arti minori… l’universo dei conoscitori.
Riportata alla sua sede naturale, quella delle scienze storiche, è ritornata la stessa città indagata da Albane Cogné, nella quale le élites perseguono le proprie politiche immobiliari e decidono di che panni rivestirle, come già si è ricordato. È la città atelier di Luca Mocarelli(66) dove un concetto storiografico largamente diffuso, quello della “pietrificazione” del capitale, cade una volta di più per carenza di motivazione, poiché invece l’animazione dei cantieri e delle botteghe che ne integrano il lavoro è in una fase espansiva dell’economia un efficace strumento di redistribuzione della ricchezza e può diventare un utile – se usato in modo proporzionato – strumento anticongiunturale. Sicuramente la ricerca sui reali attori, sulle fonti, avrebbe evitato una vecchia letteratura in cui le fronti dei palazzi scorrono sui Navigli con la leggerezza delle quinte di una scenografia, o cimiteri dell’Ottocento vengono gratificati di cent’anni in più, e altri simili «solecismi quali il potebam»(67) … Ma ormai anche questo è passato, e tutto è bene, ciò che finisce bene.
Alberto Grimoldi
Note 1) Barry Bergdoll Léon Vaudoyer. Historicism in the age of industry, London, Cambridge Mass., MIT Press 1994. 2) Ivi, p. 274. 3) Peter Böttger, Die Alte Pinakothek in München: Architektur, Ausstattung und museales Programm, München, Prestel 1972. 4) Francis Haskell Patrons and painters. A study in the relations between Italian art and society in the age of the Baroque, New York, Knopf 1963. 5) Monique Eleb Vidal, Anne Debarre Blanchard Architectures de la vie privée, maisons et mentalités. XVIIème – XIXème siècle. Bruxelles, AAM 1989. 6) Patricia Waddy Seventeenth - century Roman palaces: use and the art of the plan Cambridge, Mass., Mit Press 1990. 7) Daniela Frigo, Il padre di famiglia. Governo della casa e governo civile nella tradizione dell'Economica tra Cinque e Seicento, Bulzoni, Roma 1985. 8) Otto Brunner, Adeliges Landleben und Europäischer Geist, Salzburg, Otto Müller Verlag 1949. 9) Markus Völkel, Römische Kardinalshaushalte des 17 Jahrhunderts: Borghese, Barberini, Chigi. Tübingen, Niemeyer 1993. 10) Renata Ago Il gusto delle cose: una storia degli oggetti nella Roma del Seicento Roma, Donzelli 2006. 11) Le opere sulle quali si basano le considerazioni svolte sono tanto numerose e note che sarebbe sia problematico, sia pletorico citarle, e si tacerebbero poi i contributi anche molto rilevanti di altri studiosi. Per orientare il lettore, basti ricordare che Edoardo Grendi I Balbi. Una famiglia genovese fra Spagna e Impero, Torino, Einaudi 1997, delinea nel modo più esteso e coerente la genesi della celebre strada e anche degli interessi tecnici e culturali dei membri della famiglia, e ritorna nei medesimi luoghi e ai parenti più prossimi - alla fine del Settecento - Osvaldo Raggio, Storia di una passione: cultura aristocratica e collezionismo alla fine dell’ancien régime, Venezia, Marsilio 2000, mentre Lauro Magnani ( a cura di) Collezionismo e spazi del collezionismo : temi e sperimentazioni, Roma, Gangemi 2013, ben si presta nel titolo a riassumere un campo di indagine. 12) Marica Forni Cultura e residenza aristocratica a Pavia tra ‘600 e ‘700, Milano, Franco Angeli 1989. 13) Per il contesto lombardo, le monografie su singoli edifici possono contenere cenni, diversamente approfonditi, sugli aspetti dell’abitare. Nelle miscellanee Aurora Scotti ( a cura di) Aspetti dell’abitare in Italia tra XV e XVI secolo: distribuzione, funzioni, impianti. Milano, Unicopli 2001 e Augusto Rossari (a cura di) Aspetti dell’abitare e del costruire a Roma e in Lombardia tra XV e XIX secolo, Milano, Unicopli 2005, molto discontinue, specie nella pertinenza rispetto ai titoli, qualcuno dei numerosi, brevi saggi riguarda effettivamente aspetti distributivi e attrezzature, e più raramente la vera e propria cultura dell’abitare o è dovuto a studiosi che si sono dedicati in modo non estemporaneo a questi temi in altri contesti. Più mirati e ampi Giacinta Jean La casa da nobile a Cremona, Milano, Electa 2000, Laura Giacomini Costruire una lauta dimora: Milano nell'età dei Borromeo 1560-1631, Benevento, Hevelius 2007. 14) Dianne Harris The nature of authority, villa culture, landscape, and representation in eighteenth-century Lombardy. University Park PA, Pennsylvania University press 2003. 15) Albane Cogné’ Constitution, usages et transmission d’un patrimoine urbain. La famille Crivelli d’Agliate à Milan (XVIIème – XVIIIème siècle, in Économie et construction dans l’Italie Moderne, Mélanges de l’école française de Rome 2008 pp. 475 – 99, p. 492 n.48. 16) Maria Nadia Covini Potere, ricchezza e distinzione nella Milano del Quattrocento, nuove ricerche su Cicco Simonetta, Milano, Bruno Mondadori 2018 pp. 56-60. 17) Edoardo Rossetti L’incompiuto palazzo del castellano Filippo Eustachi a porta Vercellina, in «Archivio storico lombardo : giornale della Società storica lombarda », Anno 131-132, vol. 11 (2005-2006), p. 431-461. 18) Antonio Alvarez-Ossorio Alvariño Corte y provincia en la Monarquìa catolica. Corte de Madrid y Estado de Milan, 1660 -1700 in Elena Brambilla, Giovanni Muto (a cura di), La Lombardia Spagnola. Nuovi indirizzi di ricerca. Milano, Unicopli 1997 pp.283 – 342. 19) Albane Cogné’ Les propriétés urbaines du patriciat (Milan, XVII-XVIIIème siècle), Roma, Ecole Française de Rome 2017. 20) Ennio Poleggi (L’invenzione dei Rolli: Genova città di palazzi, Milano, Skira 2004) aveva proposto una simile chiave di lettura per l’istituzione genovese dei Palazzi dei Rolli, le residenze dei patrizi tenuti ad accogliere gli ospiti di Stato, ma la “casa da nobile” milanese ha un rilievo quantitativo del tutto superiore. 21) Carlo Capra I progressi della ragione. Vita di Pietro Verri. Bologna, il Mulino 2002, pp. 482-489. 22) Julien Benda, Introduction a J.de la Bruyère Oeuvres Complètes, Paris, Gallimard 1951, p. XX. 23) Grete Klingenstein Der Aufstieg des Hauses Kaunitz. Studien zur Herkunft und Bildung Staatskanzlers Wenzel Anton. Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht 1975; e il quadro più generale, per il secondo centenario Grete Klingenstein, Franz Szabo; Hanna Begusch Raffler, Marlies Raffler (a cura di) Staatskanzler Wenzel Anton von Kaunitz-Rietberg - 1711-1794 - neue Perspektiven zu Politik und Kultur der europäischen Aufklärung, Graz, Andreas Schnider Verlagsatelier 1996. 24) Viktor Fleitscher Fürst Eusebius von Liechtentsein als Bauherr und Kunstsammler, Wien und Leipzig, Stern 1910, che contiene la trascrizione del Werk von der Architektur (pp. 88-209). 25) Carlo Capra, Domenico Sella Il Ducato di Milano, Torino, UTET 1984 p. 524. 26) La bibliografia sarebbe estesissima basti ricordare il ruolo delle manifatture nella fortuna dei Kaunitz ( Grete Klingenstein Der Aufstieg … op.cit.) , o l’attività di Hugo zu Salm Reifferscheid-Krautheim, uno dei sostenitori della Thermolampe di cui infra (cfr. Constatin Wurzbach von Tanneberg Biographisches Lexikon des Kaisertums Österreich, Bd. XXVIII. Wien, Zamarski 1874, pp.140-144. 27) Mario Taccolini Per il pubblico bene, Roma, Bulzoni 2000, p. 135, e, per il dazio delle calci, Laura Fieni Calci Lombarde. produzione e mercati dal 1641 al 1805, Firenze, all’insegna del Giglio, 2000, pp.44 -45. 28) L’encomio di Cesare Cantù nella Grande illustrazione del Lombardo Veneto vol.I Milano, Corona e Caimi 1858 p. 501, o gli accenni di Bruno Caizzi sul Monte Sete (Bruno Caizzi L’economia lombarda durante la Restaurazione (1814-1859) Banca Commerciale Italiana, Milano 1972, p.73) non sono state seguite da uno studio complessivo. Un quadro del mondo del commercio e della finanza traccia invece Stefano Levati, La nobiltà del lavoro: negozianti e banchieri a Milano tra ancien régime e restaurazione, Milano, Franco Angeli 1997. 29) Qualche dato sulla società «Duca Litta», che realizzava impianti di riscaldamento in A. Grimoldi, A.G. Landi Pursuing comfort in late 19th century school buildings in Milan: Technical knowledge and role of the enterprises in Joao Mascarenha Mateus, Ana Paula Pires (a cura di) History of the construction cultures, vol.II , pp. 255-263, p. 259. 30) Marica Forni Giuseppe Pollack architetto di Casa Belgiojoso Roma, Gangemi 2012. 31) La bibliografia del XX secolo sull’istituzione in Carlo Capra I progressi… op.cit. p.426, e sull’attività del Verri pp.426-428. 32) P.es. Max Dvorak Gedanken über Denkmalpflege, in «Jahrbuch der K.K. Central Commission für Erhaltung und Erforschung der Baudenkmale», 1910, p. 210 (Capoverso Denkamlpflege und Patriotismus). 33) Antonio Meraviglia Crivelli e la moglie, cfr. Angelo Giuseppe Landi Una deutsche Thermolampe a Palazzo Belgiojoso: saperi e sperimentazioni nella Milano di inizio Ottocento, in Luce artificiale e vita collettiva Alberto Grimoldi, Angelo Giuseppe Landi (a cura di), Milano – Udine, Mimesis 2021, pp. 61-78. 34) Ivi p. 71. 35) Il viaggio è citato da tutti i biografi di Amoretti (in particolare Franco Arato Carlo Amoretti e il giornalismo scientifico nella Milano di fine Settecento, in «Annali della Fondazione Luigi Einaudi», vol. XXI, 1987, pp. 175-220, cui nulla aggiunge il più recente Libera Paola Arena. Carlo Amoretti: l’esperienza di un poligrafo ligure al servizio dei governi austriaco e francese tra il 1781 e il 1816, in «Phisis» vol.LX, 2016 pp.117-128. 36) Epistolario di Alessandro Volta, edizione nazionale, sotto gli auspici dell’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere e della Società Italiana di Fisica, 1800-1805, vol. IV, Zanichelli, Bologna 1953, p. 500. 37) Martin Scheutz Ein „Lutheraner“ auf dem Habsburgerthron. Die josephinischen Reformen und die Klosteraufhebungen in der Habsburgermonarchie, in «Mitteilungen des Instituts für Österreichische Geschichtsforschung», 2012 pp. 321-338. 38) Elisabeth Garms Cornides Carlo Gottardo di Firmian in DBI vol.48 1997 è ancora la sintesi più completa su una figura spesso controversa. 39) Alice Pizzocaro La 'gran guerra delle due dame': relazioni familiari e ruolo della donna nell'aristocrazia lombarda a metà Settecento, in «ACME: Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Milano», volume II, fascicolo 2, Maggio-Agosto 1996 pp.3-26; Alice Pizzocaro Potere e ricchezza di un'élite aristocratica lombarda: il patriziato cremonese nella prima metà del XVIII secolo in «Archivio storico lombardo: giornale della Società storica lombarda », Anno 120, vol. 1 (1994), pp. 209 – 242. 40) Anna Paola Montanari, Freganeschi Ariberti Giovan Battista in DBI vol.50 1998. 41) Franco Venturi Settecento Riformatore V, 1 Torino, Einaudi 1987 pp. 660-699. 42) A tal compito richiama anche Ludwig Mitterpacher; nella prima edizione italiana Elementi di Agricoltura di Lodovico Mitterpacher di Mitternburg, Milano, I.R. Monastero di S. Ambrogio Maggiore 1784, in termini generici nel capitolo CCCCXXX T.II p. 571, che diventano una sorta di sintesi della costruzione rurale milanese nelle annotazioni del traduttore Paolo Lavezzari, ibidem, pp. 583-591. 43) Henri Louis Duhamel du Monceau Eléments d’agriculture Paris, V.ve Desaint 1779, T.II 44) Traité des constructions rurales,…ouvrage publié par le bureau d'agriculture de Londres, et traduit de l'anglais Paris, Buisson 1802. 45) Traité d’architecture rurale, Paris, Crapelet imp.- Deterville ed. 1810, e il precedente Mémoire sur l'art de perfectionner les constructions rurales, Paris, Huzard an XIII (1805), estratto dal Tomo VIII dei «Mémoires de la Société d'agriculture». 46) Marica Forni, Giuseppe Pollack…, cit. pp. 105-106. 47) Essai sur les constructions rurales économiques, contenant leurs plans, coupes, élévations, détails et devis, établis… avec l’approbation de l’auteur par A. L. Lusson, Architecte. Paris, Huzard 1824. 48) Architecture rurale, théorique et pratique à l'usage des propriétaires et des ouvriers de la campagne Toulouse, J.-M. Douladoure 1820. 49) Le Propriétaire architecte contenant un précis sur les constructions en général, des modèles de maisons de ville et de campagne, de fermes, orangeries, portes, puits, fontaines, etc. Paris, Audot 1827. 50) Vers une agritecture: architecture des constructions agricoles (1789-1950) Bruxelles, Mardaga 2014. 51) Cfr. pp. 276 – 290. 52) Gian Paolo Brizzi La formazione della classe dirigente nel Sei-Settecento : i Seminaria nobilium nell'Italia centro-settentrionale, Bologna, il Mulino 1976, ma una visione generale dell’educazione superiore, e nel suo ambito dell’educazione nobiliare non può prescindere dall’opera di Elena Brambilla, di cui una parziale silloge è in Università e professioni in Italia da fine Seicento all'età napoleonica, Milano, UNICOPLI 2018, particolarmente attenta alla realtà lombarda. 53) Orazio Valeriani Memorie relative all’agricoltura nel Dipartimento del Tronto, in «Annali di Agricoltura del regno d’Italia», T.XIII, 1812, pp.59 – 88 e 92-138, pp.132 -134: «si propaghi il disegno fra i proprietari, ed abbiano un’idea del bello, comodo e solido». 54) François Rozier Cours Complet d’agriculture… ou dictionnaire universel d’agriculture T.VII, Paris, Rue et Hôtel Serpente 1786, che ripubblica l’opuscolo di Claude George Goiffon, L'Art du maçon piseur Paris, Le Jai 1772. 55) Francesco Gera Nuovo dizionario universale e ragionato di agricoltura : economia rurale, forestale, civile e domestica [...]. Venezia, Giuseppe Antonelli 1834-1850. 56) Marica Forni Il Palazzo Regio ducale di Milano a metà del Settecento, Milano, Civiche Raccolte d’Arte Applicata 1997, in part. pp. 28-34 e 105-107, e più in generale, Marica Forni, La cultura architettonica milanese nella prima metà del Settecento. Considerazioni ed ipotesi sulle relazioni con il quadro europeo tesi di dottorato, Politecnico di Milano, 1993, soprattutto sulla circolazione dei libri. 57) Marica Forni, Abitare… cit. p. 21 e p. 283. 58) Philippe Poindront, Augsbourg, centre de reproduction de gravures d’ornement parisiennes au XVIIIème siècle in «Histoire de l’art», n. 61, 2007, pp. 27-37. 59) Il già citato Orazio Valeriani (Squarcio di lettera del sig. professor Valeriani al compilatore che serve di appendice alla storia agraria del Piceno in «Annali di Agricoltura del regno d’Italia», T.XIX, 1813,pp.179 -181) « non ha potuto trovare qui » (a Fermo) il De remediis utriusque fortunae del Petrarca… 60) Sull’istituzione, Edoardo Bregani Vita del Collegio degli Ingegneri e Architetti di Milano. Dal 1563 al 1926. Milano, Telesma 2010, e Giorgio Bigatti (a cura di) Il Collegio degli Ingegneri di Milano: gli archivi e la storia, Milano, Franco Angeli 2008. Sempre utili Maria Luisa Gatti Perer, Fonti per la storia dell’architettura milanese dal XVI al XVIII secolo: il Collegio degli Agrimensori Ingegneri e Architetti in «Arte lombarda» 10.1965, pp.115-130, e Gian Battista Maderna Fonti per la storia dell’architettura milanese dal XVI al XVIII secolo : il collegio degli Agrimensori Ingegneri e architetti ; le nomine degli architetti dal 1735 al 1800 in «Arte lombarda» 15.1970, 2, pp. 69-75. 61) Alberto Grimoldi La restauration de la Renaissance. Sauvegarde et projet dans la Lombardie Autrichienne 1748 – 1848 in Frédérique Lemerle, Yves Pauwels (a cura di) Le XIXe siècle et l’architecture de la Renaissance Paris, Picard 2020 pp.163-180. 62) Haus- Hof- und Staatsarchiv Wien, Staatskanzlei, Vorträge 109 - 112 (1772-73). 63) Die Gründung der Oberhofbaudirektion und die Etablierung länderübergreifender Baunormen im habsburgischen Bauwesen (1783–1784), in: Nora Fischer und Anna Mader-Kratky (a cura di), Schöne Wissenschaften. Sammeln, Ordnen und Präsentieren im josephinischen Wien (Veröffentlichungen zur Kunstgeschichte 20; Wien 2021, 155–167. e Eadem Das Hofbauwesen unter der Direktion von Silva-Tarouca, Losy und Kaunitz-Rietberg (1743–1783) in Verwaltungsgeschichte der Habsburgermonarchie in der Frühen Neuzeit; «Mitteilungen des Instituts für Österreichische Geschichtsforschung», Ergänzungsband 62 Bd.I, 1 pp. 187-188. 64) Silvia Bobbi La Milano dei Fè. Appalti e opere pubbliche nel Settecento Soveria Mannelli, Rubbettino 2006 soprattutto pp. 345-50. 65) Marica Forni, Abitare… cit., pp.146-147 ; Nicoletta Ossanna Cavadini Simone Cantoni architetto, Milano, Electa 2003 p. 82. 66) Luca Mocarelli Una realtà produttiva urbana nel Secolo dei Lumi: Milano città atelier Brescia, CLUB 2001 e anche Luca Mocarelli Costruire la città. Edilizia e vita economica nella Milano del secondo Settecento, Bologna, il Mulino 2007. 67) Vittorio Alfieri Vita scritta da esso, Epoca II, capitolo IV.
N.d.C. Alberto Grimoldi si è laureato in architettura al Politecnico nel Milano nel 1974. Visiting professor all’Università di Ginevra (1991-96) e all’Ecole Nationale des Chartes (2004). Dal 2000 ordinario di restauro architettonico al Politecnico, coordinatore del Dottorato di Conservazione dei Beni Culturali (2001 – 2009), Direttore della Scuola di Specializzazione in tutela dei beni architettonici e del paesaggio (2011 -2019), presidente di Corso di laurea in architettura (2003 – 2012), vicepresidente della Società italiana del restauro architettonico (2014 – 2017).
Ha condotto numerosi restauri di edifici storici pubblici e privati e fra questi Palazzo Pallavicino a Cremona, Istituto per l’artigianato liutario e del legno. È stato consulente del Comune di Verona per la conservazione delle facciate e della cavea dell’Arena, responsabile degli studi e del progetto pilota per il restauro degli interni di Sant’Andrea a Mantova e ha condotto più progetti di inventariazione e di recupero degli edifici vincolati del Comune di Cremona. È consulente del Comune di Arquata del Tronto per i progetti preliminari per la Rocca e la Chiesa di San Francesco e dell’ICCD per il rinnovamento del Catalogo dei Beni Culturali. È membro del Consiglio direttivo dell’Association Francophone d’histoire de la construction e di comitati scientifici di riviste nazionali e internazionali. Le pubblicazioni, in francese, inglese, tedesco, italiano concernono in particolare la storia della costruzione, soprattutto in Età Moderna, anche attraverso gli strumenti e le fonti della storia della società e delle istituzioni.
Tra i suoi scritti: Il Palazzo della Ragione. I luoghi dell'autorità cittadina nel centro di Milano (Arcadia, 1983); (a cura di), Omaggio a Camillo Boito (F. Angeli, 1991); con Angelo Landi, Luce artificiale negli edifici fra Sei e Settecento. Letteratura, fonti, esempi (Allemandi, 2019); La Restauration de la Renaissance : sauvegarde et projet dans la Lombardie Autrichienne (1748-1848). In: F. Lemerle, Y. Pauwels Y. Le XIXe siècle et l’architecture de la Renaissance. (Picard, 2010) ; La diffusion de la littérature sur la stéréotomie dans l’Italie du Nord de la première moitié du XVIIIe siècle et ses traces bâties. In: A.Guillerme. Edifice et artifice. Histoires constructives (Picard, 2012); con Angelo Landi Camillo Boito and the School Buildings Indoor Climate in the Unified Italy (1870–1890). In C. Manfredi, Addressing the Climate in Modern Age’s Construction History (Springer, 2019).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri
R.R.
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