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LA STORIA DELL'ARCHITETTURA È LA STORIA
Commento al libro di Carlo Olmo
Andrea Bonaccorsi
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Con Storia contro storie. Elogio del fatto architettonico (Donzelli, 2023) Carlo Olmo ha sentito l’esigenza di mettere in ordine il grande lavoro storiografico e critico svolto negli ultimi anni e consegnato alla quadrilogia dei saggi, tutti editi presso Donzelli nel decennio 2010-2020. Lo ha fatto però nel modo più paradossale, ovvero prendendo come filo narrativo il testo più difficile e criptico del Novecento, quel Finnegans Wake di Joyce che ha fatto impazzire generazioni di traduttori e studiosi. Come a dire: preparatevi a una lettura stratificata e molteplice, in cui l’apparente linearità della trattazione maggiore (in alto nella pagina) apre a innumerevoli rimandi, alcuni espliciti in nota (sei o sette per pagina, in media), altri tutti da dipanare a cura del lettore.
Il quale lettore, se vuole non solo dipanare ma anche arrivare in fondo al libro, deve aver prima acquisito una certa familiarità con i testi della quadrilogia, da Architettura e Novecento (2010) a Architettura e storia (2013), da Città e democrazia (2018) a Progetto e racconto (2919), oltre che con la magnifica ricostruzione degli archivi di Le Corbusier per lo studio della Villa Savoye, con Susanna Caccia Gherardini (2016). Ma è anche possibile il percorso inverso, a cui inviterei il lettore che si imbatte in questo libro: partire dai Finnegans di Storia contro storie, accettare la sfida della densità tematica, disseminare il tavolo di lavoro di appunti e poi tornare indietro alla quadrilogia. Lavoro impegnativo ma enormemente gratificante.
Sfilano infatti nel testo maggiore di Storia contro storie tutti i principali obiettivi polemici di Olmo, con i quali ha ingaggiato da anni un appassionato confronto. Prima di tutto con la sua comunità scientifica, la storia dell’architettura: una storia che avrebbe potuto ambire al ruolo di storia generale, soprattutto nel Novecento, ed è invece relegata tra le storiografie minori. Colpa di una involuzione scientifica, che ha legittimato storie ridotte a biografie autoriali, sovente di architetti giunti alla notorietà globale e mediatica, o storie iper-specialistiche di singoli edifici o tipologie o tecnologie, prive di spessore storico e documentario. Olmo non perdona la naturalizzazione delle fonti tipica dei lavori monografici su singoli architetti, largamente basati su collezioni di disegni e progetti, del tutto ignari delle grandi lezioni della storiografia del Novecento sulla possibile manipolazione degli archivi, la necessità di una pluralità di fonti indipendenti, l’uso politico della storia e della memoria. Come non perdona la superficialità con cui la auto-narrazione con cui le archistar raccontano le proprie opere all’interno del circo mediatico della notorietà viene presa per buona, dimenticando le distinzioni critiche introdotte da Ricoeur tra narrazione e racconto, tra memoria e storia. E ignorando che la complessità dell’artefatto architettonico richiede di problematizzare il progetto, studiando i modi con cui nel processo storico cambiano notevolmente i requisiti d’uso e le specifiche tecniche, si svolgono conflitti a tutti i livelli tra gli attori in gioco e si negoziano accordi politici o economici, e infine si chiamano a raccolta competenze tecniche che modificano invariabilmente le ipotesi iniziali. La storiografia che ipostatizza il progetto è storiografia fragile.
Poi con la comunità accademica nel suo insieme: si è persa dietro una specializzazione estrema e soffoca dentro un inutile affaticamento burocratico. Le carriere si giocano sempre di più entro confini disciplinari ristretti, protetti da indicatori quantitativi e sedi editoriali asfittiche. In altri tempi gli storici dell’architettura si offrivano come analisti della società e teorici del cambiamento, integrando nell’insegnamento universitario la conoscenza degli artefatti architettonici e urbanistici (scienza e tecnica delle costruzioni, tecnologie, materiali, disegno) con la vastità dei riferimenti storici. Perché la storia dell’architettura richiede di convocare spiegazioni diverse, dallo studio dell’evoluzione giuridica per comprendere i rapporti tra pubblico e privato, all’economia urbana per seguire i prezzi dei terreni e l’andamento delle rendite, dalla storia culturale alla storia dell’editoria, delle professioni, delle istituzioni culturali. Perché per comprendere le riforme urbanistiche di Parigi occorre non solo studiare i manuali degli architetti illuministi, come Olmo aveva già fatto negli anni ’80 con Gabetti, ma anche risalire alla storia delle categorie professionali, delle scuole e delle accademie. O per comprendere gli Editti reali di Carlo Emanuele III a Torino a metà Settecento serve studiare i 16 libri delle perizie di estimo sulle cui basi si sono articolati per anni i conflitti tra proprietari e il ridisegno dei confini tra pubblico e privato.
E anche qui Olmo non passa sotto silenzio la progressiva perdita del modello politecnico, fondato su un confronto paritario tra architettura e ingegneria, tra saperi storici e filosofici e discipline tecniche, ma anche su un approccio problematico e riformatore, capace di farsi carico di grandi tematiche sociali e urbane. Nel venir meno dell’insegnamento per seminari e problemi Olmo legge la rassegnazione ad un sapere parcellizzato e acritico.
E infine ingaggia una contesa con il vasto mondo della politica e della comunicazione. Se nel Novecento le metafore con cui l’architettura si presentava alla società erano l’acciaio e il cemento dei modernisti, la verticalità dei progettisti dei grattacieli, o il neon colorato del post-moderno, nell’architettura del nuovo secolo prevalgono metafore illusorie, come le smart cities o il green, tutte parole depotenziate e prive di riflessione critica, espressioni, come dice Olmo in modo fulminante, che sono “parole senza padrone”. La politica ha cessato di essere un interlocutore credibile dell’architettura, cedendo del tutto alla fascinazione delle narrazioni delle star, accettando la trasformazione dell’edificio in icona, invocando la spettacolarizzazione ad uso dei media. La politica, che dovrebbe tutelare le esigenze di vita degli utilizzatori dell’architettura, accetta la trasformazione dell’architettura in immagine: è singolare e inquietante, nota Olmo, che tutte le foto delle realizzazioni degli architetti più famosi, nelle monografie come nei cataloghi, siano prive di esseri umani. Sono immagini di perfezione formale, non edifici abitati.
A fronte di questi limiti la proposta di Olmo combina in modo originale e profondo numerose fonti di ispirazione. Innanzitutto l’esigenza che il lavoro storiografico includa in modo esplicito la metodologia della costruzione della prova. Lo storico viene convocato al tribunale e deve spiegare con quali prove afferma ciò che afferma. La prova si costruisce solo in contraddittorio, offrendo argomenti induttivi e abduttivi, e sottoponendoli a critica. Qui Olmo riprende dai suoi maestri Ginzburg e Levi il paradigma indiziario e da Holbwachs l’approccio critico alle fonti, ma integra queste lezioni con il Walter Benjamin dei Passages e con la tesi di Gramsci sul ruolo storico dei conflitti. Il conflitto lascia sempre tracce ed è quindi occasione principe per lo storico per raccogliere indizi e suggerire spiegazioni. Il conflitto disallinea funzioni e strutture, progetto e realizzazione. L’epistemologia dello storico è una epistemologia del conflitto. Che include anche la possibilità dell’errore, come fonte di conoscenza. Ed è avvertita della necessità di distinguere il vero, il falso, il finto, dietro ogni pretesa di giustificazione offerta come evidente.
Ma lo storico deve anche accettare di basare i suoi argomenti sul rinvio ad una assenza. Gli edifici non hanno solo funzioni d’uso sociali e materiali, ma evocano significati e mobilitano risorse simboliche. Qui entrano in gioco Freud, Ricoeur e Foucault, ma anche, in modo originale e illuminante, il Lacan della lettera rubata e del cane giallo. Ovvero il Lacan che spiega come il rimosso trova un altro linguaggio, cifrato, nascosto e nevrotico, che non appare se non all’analista consapevole della presenza dell’assente. E quindi lo storico deve poter accedere ad un livello di spiegazione che non si ferma alla dichiarazione che l’edificio (e i suoi progettisti) fanno di sé, non si ferma al progetto, ma decodifica e demistifica. Oppure induce ad un doveroso silenzio, come nel caso dell’architettura destinata a ripensare la Shoah nella Berlino unificata.
E lo storico deve avere una riflessione filosofica sofisticata sul tempo, perché gli edifici partecipano di diversi regimi di storicità. Innanzitutto il regime della storia in cui sono stati concepiti e realizzati, che deve essere compreso alla luce della tradizione precedente e dei conflitti ideologici e culturali contemporanei. Poi il regime di uso, che ospita al proprio interno processi di riuso e risignificazione, spesso paradossali. Qui la lezione di Olmo sulle vicende storiche della Mezquita di Cordoba è memorabile e va oltre le tesi sulla migrazione dei simboli di Wittkower, sugli archetipi o su analisi iconologiche ripetitive e prive di spiegazione dei meccanismi storici di attribuzione simbolica. Occorre studiare sui documenti, risalendo fino alle opere degli autori ebrei, cristiani e musulmani, fino a Averroè e Maimonide, i processi di slittamento semantico e re-interpretazione messi in campo dai vari attori nel tentativo di ri-funzionalizzare l’edificio di Cordoba. La consapevolezza dei regimi di storicità porta ad una lettura stratificata e multidimensionale. Infine il regime di uso strumentale e politico della memoria, che sovente assegna agli edifici significati manipolati allo scopo di creare consenso o legittimazione. Gli edifici sono dunque oggetti anacronistici per natura e costituzione, il che però impone una disciplina allo storico che giunge a mobilitare autori come De Certeau e Koselleck, Hartog e Pomian, ma anche a convocare la sociologia francese che con Hilti e Heinich sta studiando da anni i processi di patrimonializzazione e di creazione della celebrità. Il presentismo che schiaccia le dimensioni della storia su interessi immediati è nemico della buona storiografia. Mentre oggi la buona conoscenza storica viene rimossa e falsificata, oppure manipolata, perché disturba. Il presentismo domina la comunicazione pubblica e impoverisce gli orizzonti.
In questo percorso la conoscenza storica diviene spazio teorico per tenere in conto la categoria della cura. L’architettura utilizza risorse scarse come il suolo e lo spazio e le trasforma in modo duraturo e irreversibile. Il pensiero economico non ha gli strumenti adeguati a ottimizzare le scelte, perché la cura del pianeta non rientra nei suoi orizzonti temporali. Ne è testimonianza la perdurante trascuratezza per i problemi di manutenzione degli edifici e dei territori, causa immediata di disastri (in buona parte prevedibili) e causa remota di degradazioni del paesaggio e del tessuto urbano. L’assenza di manutenzione è spia di errori profondi nella identificazione dell’orizzonte temporale delle scelte: in economia si insegna ad ammortizzare il capitale fisso per ricostituirlo alla fine della vita economica, ma non si insegna a manutenere le risorse territoriali. Nei recenti disastri ambientali solo gli storici dell’architettura locale hanno avuto le competenze per suggerire ricostruzioni adeguate.
Solo la storia dell’architettura offre la profondità temporale per compiere scelte rispettose dell’umanità che nei luoghi e negli edifici vive e abita. La cura è quindi esigenza epistemologica prima ancora che politica. Con Storia contro storie Carlo Olmo, storico e filosofo, rilancia la ambizione della storia dell’architettura a parlare come storia generale.
Andrea Bonaccorsi
N.d.C. - Andrea Bonaccorsi è stato professore ordinario di Economia e gestione delle imprese alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Chiamato alla Facoltà di Ingegneria della stessa città, ha insegnato diversi corsi di economia e di gestione e nel 2011 ha chiesto il cambio di raggruppamento disciplinare, diventando ordinario di Ingegneria gestionale. È stato visiting scholar alla Carnegie Mellon University (Pittsburgh, USA), nel 2002 ed è stato invitato come visiting professor alla Università di Marne-la-Vallée, Parigi. È invitato regolarmente come guest speaker in conferenze in vari paesi del mondo.
L’attività di ricerca di Bonaccorsi si è concentrata sull’economia della scienza e della tecnologia. È autore di numerose pubblicazioni sulle principali riviste internazionali di economia dell’innovazione e della ricerca, nonché autore e curatore di diversi libri. Ha promosso un gruppo di ricerca multidisciplinare, composto da ingegneri, fisici, economisti e linguisti computazionali, che sta lavorando ad una teoria generale della tecnologia, con applicazioni al design, al problem solving creativo, alla generazione di idee di prodotto innovative, alla lemmatizzazione di documenti tecnici. È incluso nella lista del top 2% mondiale degli studiosi più produttivi in tutte le discipline.
Tra le altre cose è stato membro eletto dell’Executive Commitee del Network of Excellence PRIME (Policies for Research and Innovation in the Move towards the European Research Area) del 6° Programma Quadro della Commissione Europea (2004-2009). Nel 2011 è stato nominato Rapporteur per l’importante Rapporto che la Commissione deve presentare sulla European Research Area nel 2012. Ha collaborato con la DG Regio della Commissione Europea redigendo nel 2009 un paper nell’ambito del Libro bianco sulle politiche regionali (“Barca Report”) e con l’OCSE, nel 2010, con un paper sulle politiche regionali per l’innovazione nell’ambito della Strategia per l’innovazione. Presso il Ministero dello Sviluppo Economico è stato membro del Comitato per la Legge 46/82, del Comitato Tecnico del Fondo Nazionale per l’Innovazione (FNI) e del Comitato per la analisi fattuale e l’identificazione delle aree tecnologico-produttive strategiche per le regioni del Mezzogiorno. È stato inoltre componente del Consiglio direttivo dell’ANVUR e vice-coordinatore VQR 2004-2010.
Tra i suoi libri: con Cinzia Daraio, a cura di, Universities and strategic knowledge creation. Specialization and performance in Europe (Edward Elgar, 2007); Migliorare le politiche di ricerca e innovazione finanziate con i Fondi strutturali. Teoria e pratica della condizionalità, rapporto per DG Regio - Unione Europea (Centro stampa Giunta Regione Toscana, 2010); con Massimiano Bucchi, a cura di, Trasformare conoscenza trasferire tecnologia. Dizionario critico delle scienze sociali sulla valorizzazione della conoscenza (Marsilio, 2011); con Gualtiero Fantoni e Riccardo Apreda, Progetto di foresight tecnologico. Metodi e tecniche non convenzionali per immaginare il futuro della tecnologia (Pisa University Press, 2013); Knowledge, diversity and performance in European higher education. A changing landscape (Elgar, 2014); La valutazione possibile. Teoria e pratica nel mondo della ricerca (il Mulino, 2015); The evaluation of research in social sciences and humanities, Lessons from the Italian experience (Springer, 2018); Le sfide della scienza (Istituto della Enciclopedia italiana, 2018); Business and project management (McGraw-Hill Education, 2021).
Sui libri di Carlo Olmo, v. anche i commenti di: Cristina Bianchetti, Lo spazio in cui ci si rende visibili… e la cerbiatta di Cuarón (5 ottobre 2018); Giampaolo Nuvolati, Scoprire l’inatteso negli interstizi delle città (20 settembre 2019); Carlo Magnani, L’architettura tra progetto e racconto (11 settembre 2020); Piero Ostilio Rossi, Modi (e nodi) del fare storia in architettura (2 ottobre 2020); Gabriele Pasqui, La storia tra critica al presente e progetto (23 ottobre 2020).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 26 GENNAIO 2024 |
CITTÀ BENE COMUNE
Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, l'ambiente, il paesaggio e le relative culture progettuali
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Conferenze & dialoghi
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M. Venturi Ferriolo, La città vivente, commento a: S. Mancuso, Fitopolis, la città vivente (Laterza 2023)
G. Pasqui, Città: fare le cose assieme, commento a: B. Niessen, Abitare il vortice (Utet, 2023)
C. Merlini, Fragili? Aperture sui territori produttivi, commento a: M Fior et al. (a cura di), Fragilità nei territori della produzione (FrancoAngeli, 2022)
P. Ceccarelli, Addis Abeba insegna ancora, commento a: C. Diamantini, D. Patassini, Addis Ababa (ListLab, 2023)
A. Delera, Una periferia metropolitana (privata), commento a: A. Di Giovanni e Jacopo Leveratto (a cura di), Un quartiere mondo (Quodlibet, 2022)
A. Grimoldi, Scienze storiche e dell'architettura, commento a: Abitare da principe (Gangemi, 2020)
G. C. Maestri, Lo spazio e le forme, commento a: C. Torricelli, Dell’organizzazione dello spazio, (Nottetempo)
L. Tozzi, Milano, un'altra storia, commento a L. Tozzi, L’invenzione di Milano (Cronopio, 2023)
G. Lanza, Città (e territori) oltre l'automobile, commento a: P. Coppola, P. Pucci e G. Pirlo (a cura di), Mobilità & città (il Mulino, 2023)
L. Zevi, Verso una sacralità non convenzionale, commento a: A. I. Lima, La dimensione sacrale del paesaggio (Palermo University Press, 2023)
F. Adobati, Conoscere attraverso il progetto, commento a: E. Colonna Di Paliano, S. Lucarelli, R. Rao, Riabitare le corti di Polaggia (FrancoAngeli, 2021)
M. C. Tosi, Urbanistica? Raccontiamola in positivo, commento a: A. Clementi, Alla conquista della modernità (Carocci, 2021)
A. Petrillo, Satellite: cronaca di un fallimento, commento a: A. Di Giovanni e J. Leveratto, (a cura di), Un quartiere-mondo (Quodlibet, 2022)
P. Colarossi, Le città sono fatte di quartieri e di abitanti, commento a: L. Palazzo, Orizzonti dell’America urbana (Roma TrE-Press, 2022)
M. Agostinelli, Sufficienza? Un antidoto alla modernità, commento a: W. Sachs, Economia della sufficienza (Castelvecchi, 2023)
A. Lazzarini, I luoghi sono un'enciclopedia, commento a: G. Nuvolati (a cura di), Enciclopedia sociologica dei luoghi (Ledizioni, 2019-2022)
G. Laino, Napoli oltre i luoghi comuni, commento a: P. Macry, Napoli. Nostalgia di domani (il Mulino, 2018)
G. Zucconi, Complessità nella semplicità, commento a: G. Ciucci, Figure e temi nell’architettura italiana del Novecento (Quodlibet, 2023)
R. Tognetti, Altre lingue per il "muratore che ha studiato latino", commento a: L. Crespi, Design del non-finito (Postmedia books, 2023)
M. A. Crippa, Il paesaggio (in Sicilia) è sacro, commento a: A. I. Lima, La dimensione sacrale del paesaggio (Palermo University Press, 2023)
A. Petrillo, Dove va Milano?, commento a: L. Tozzi, L’invenzione di Milano (Cronopio, 2023)
A. Clementi, Cercasi urbanista responsabile, commento a: A. Belli, G. Belli, Luigi Piccinato (Carocci, 2022)
F. Visconti, L'ordine necessario dell'architettura, commento a: R. Capozzi, Sull’ordine. Architettura come cosmogonìa (Mimesis, 2023)
V. De Lucia, Natura? La distruzione continua..., commento a: A. Cederna, La distruzione della natura in Italia (Castelvecchi, 2023)
P. C. Palermo, Urbanistica? Necessaria e irrilevante, commento a: A. Clementi, Alla conquista della modernità (Carocci, 2020)
C. Merlini, L'insegnamento di un controesempio, commento a: A. Di Giovanni, J. Leveratto, Un quartiere mondo (Quodlibet, 2022)
I. Mariotti, Pandemie? Una questione anche geografica, commento a: E. Casti, F. Adobati, I. Negri (a cura di), Mapping the Epidemic (Elsevier, 2021)
A. di Campli, Prepararsi all'imprevedibile, commento a: S. Armondi, A. Balducci, M. Bovo, B. Galimberti (a cura di), Cities Learning from a Pandemic (Routledge, 2023)
L. Nucci, Roma, la città delle istituzioni, commento a: (a cura di) A. Bruschi, P. V. Dell'Aira, Roma città delle istituzioni (Quodlibet, 2022)
G. Azzoni, Per un'etica della forma architettonica, commento a: M. A. Crippa, Antoni Gaudì / Eladio Dieste. Semi di creatività nei sistemi geometrici (Torri del vento, 2022)
S. Spanu, Sociologia del territorio: quale contributo?, commento a: A. Mela, E. Battaglini (a cura di), Concetti chiave e innovazioni teoriche della sociologia dell’ambiente e del territorio del dopo Covid-19 ("Sociologia urbana e rurale", n. mon. 127/2022)
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A. Mazzette, La cura come principio regolatore, F. C. Nigrelli (a cura di), Come cambieranno le città e i territori dopo il Covid-19 (Quodlibet Studio, 2021)
P. Pileri, La sostenibilità tradita ancora, commento a: L. Casanova, Ombre sulla neve. Milano-Cortina 2026 (Altreconomia, 2022)
A. Muntoni, L'urbanistica, sociologia che si fa forma, commento a: V. Lupo, Marcello Vittorini, ingegnere urbanista (Gangemi, 2020)
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