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Mentre stavo terminando di leggere il libro di Justin Gregg Se Nietzsche fosse un narvalo (Aboca, 2023) mi sono sorpreso a fischiettare una canzone di Lucio Dalla del 1977, Come è profondo il mare. Anziché considerarla una semplice coincidenza mi sono andato a rileggere il testo e mi sono imbattuto in questi versi:
È chiaro che il pensiero dà fastidio anche se chi pensa è muto come un pesce anzi è un pesce e come pesce è difficile da bloccare perché lo protegge il mare come è profondo il mare Certo chi comanda non è disposto a fare distinzioni poetiche il pensiero è come l'oceano, non lo puoi bloccare, non lo puoi recintare così stanno bruciando il mare così stanno uccidendo il mare così stanno umiliando il mare così stanno piegando il mare.
Dalla non si atteggiava a intellettuale, ma il suo pensiero era profondo come il mare di cui parla qui. Se, leggendo, ho cominciato a fischiettare senza volerlo il motivo che accompagnava queste sue parole è perché, con tutta probabilità, mi sono reso inconsciamente conto che non ha molto senso tentare di muovere obiezioni a un'argomentazione dichiaratamente semplice con argomenti complessi, che ne sono il principale obiettivo polemico. Meglio affidarsi alla leggerezza penetrante di una canzone che paragona il pensiero all'oceano che non si può bloccare, non si può recintare.
Intendiamoci bene, argomentazione semplice non vuol dire argomentazione banale, tutt'altro. Il libro di Gregg è denso di temi proposti con ragionamenti sensati e condivisibili, basati su conclusioni ineccepibili della ricerca scientifica, su prove sperimentali, su dati di fatto. Come l'osservazione iniziale che "i ricercatori della Intelligenza artificiale non concordano su come definire questa cosa che hanno tanta ansia di cercare". In un recente sondaggio su 567 massimi esperti che lavorano nel settore, solo una risicata maggioranza (il 58,6%) era d'accordo che la definizione operativa di intelligenza come forma di razionalità relativa del ricercatore di IA Pet Wanh fosse probabilmente la migliore: "L'essenza dell'intelligenza è il principio di adattamento all'ambiente sulla base di conoscenze e risorse insufficienti. Di conseguenza un sistema intelligente dovrebbe poter contare su una capacità di elaborazione finita, agire in tempo reale, aprirsi a compiti inattesi e imparare dall'esperienza". (p. 15) È difficile non concordare sulla paradossalità di uno stato di cose che si concentra esclusivamente sul cercare qualcosa che non si sa definire e sugli affannosi sforzi per misurare un fenomeno, considerandolo così quantificabile, senza disporre di un metodo condiviso per quantificarlo. Forse per questo, saggiamente, Turing con il test da lui proposto nell'articolo Computing machinery and intelligence, apparso nel 1950 sulla rivista 'Mind', per stabilire se e a quali condizioni fosse lecito parlare di intelligenza artificiale si è basato su un confronto comparativo delle prestazioni dell'uomo e della macchina e sulla possibilità o meno di distinguere le une dalle altre, senza neanche provare a cimentarsi con una definizione di intelligenza.
Altro indubbio motivo di interesse delle argomentazioni di Gregg è quello riguardante un fatto sul quale stanno riflettendo anche molti neuroscienziati autorevoli, in Italia ad esempio Giorgio Vallortigara. Si tratta di dati ed evidenze che corroborano "l'idea che i cervelli degli insetti, nonostante le dimensioni, abbiano tutto ciò che serve per generare una organizzazione complessa, compresa l'esperienza soggettiva. Il principale argomento a favore della posizione 'i cervelli grossi servono a poco in termini di coscienza' è che, quando si tratta di generare complessità, non è il numero di neuroni a fare la differenza, ma il modo in cui si connettono tra loro'. I cervelli delle api hanno solo un milione di neuroni rispetto agli ottantacinque miliardi degli esseri umani, ma questo misero milione di neuroni può creare fino a un miliardo di sinapsi (connessioni con gli altri neuroni), e questo è più che sufficiente a stabilire una gigantesca rete neurale dotata di un considerevole potere di elaborazione" (p. 163-164). Che se ne fanno allora gli esseri umani del loro voluminoso cervello? "Nei cervelli più grossi", risponde l'autore citando Lars Chittka, esperto di cognizione delle api, "in genere non troviamo una maggiore complessità, ma solo una ripetizione infinita degli stessi circuiti neurali. Questo potrebbe aumentare il dettaglio delle immagini e dei suoni ricordati, ma senza aggiungere nessun grado di complessità. I cervelli più grossi in molti casi potrebbero essere hard drive più voluminosi, non per forza processori più efficienti (p. 164). Questione di memoria, quindi, non di prestazioni cognitive per le quali saremmo, più o meno, a livello delle api.
Il modo in cui questo aspetto viene presentato ne potrebbe fare un argomento di confronto serio e di discussione meritevole di attenzione. Il fatto è che Gregg ne trae invece spunto per mandare, letteralmente, "al diavolo la complessità" (p. 223) e per sostenere che "è la cognizione semplice – non quella complessa degli esseri umani – a risultare ogni volta vincente" (Ibidem). In un confronto tra colon e cervello nel nostro corpo, a suo giudizio, non ci sarebbe partita, a tutto vantaggio del primo. E si spinge fino a ricordarci che "i batteri sono la forma di vita più vincente mai vissuta", il che, a suo parere, "dimostra che tratti cognitivi semplici come il vecchio, barboso apprendimento associativo che troviamo nelle cimici dei letti, vantano un curriculum imbattibile quando si tratta di generare comportamenti efficaci" (p. 276).
Ecco il tentativo di bloccare e recintare il pensiero, di cui ci canta Lucio Dalla, dimenticando che è come il mare e non lo puoi bloccare:
così stanno uccidendo il mare così stanno umiliando il mare così stanno piegando il mare.
"Se giudichiamo il valore della cognizione non dalla sua complessità, ma dal suo successo biologico, allora gli esseri umani sono troppo nuovi sulla scena per ricevere una valutazione adeguata, e hanno troppe probabilità di scontrarsi con la selezione naturale a causa della loro miopia prognostica", vale a dire, cioè della scarsa lungimiranza, dovuta alla capacità di pensare e alterare il futuro abbinata alla incapacità di interessarsi davvero a quello che succederà domani, perché le nostre menti si sono evolute prima di tutto per affrontare gli esiti immediati e non futuri. Ne consegue che "i coccodrilli potrebbero essere candidati più papabili alla definizione di animale intelligente se valutiamo la cognizione per la sua capacità di generare comportamenti vantaggiosi da un punto di vista evolutivo (p. 228).
Poi però, in mezzo a tutti questi motivi di sconforto e di frustrazione, dispensati a piene mani, fa capolino la classica eccezione che mette quanto meno in discussione questa massiccia dose di pessimismo cosmico. Vale la pena di riportarla per intero. Ricordando quanto la democrazia sia oggi in serio pericolo nell'attuale era di fake news e interferenze internazionali nel processo elettorale attraverso la disseminazione di propaganda sui social media Justin Gregg si premura di ricordare che:
"Lo stato finlandese si preoccupa di questo problema da quasi un decennio. Dopo essere stata bombardata di notizie farlocche provenienti dalla Russia, nel 2014 la nazione ha riorganizzato il suo sistema scolastico per aiutare a insegnare agli studenti a riconoscere le bugie sui media. 'Lo scopo è di creare cittadini ed elettori attivi e responsabili' ha raccontato Karl Kivinen al 'Guardian'. Karl Kivinen è preside della scuola franco-finlandese di Helsinki ed ex segretario generale del sistema scolastico europeo. 'Pensare in modo critico, controllare i fatti, interpretare e valutare tutte le informazioni che si ricevono, da qualsiasi fonte provengano, è fondamentale. Ne abbiamo fatto una parte essenziale di quello che insegniamo in tutte le materie". (p. 89)
Ahi, dunque la scuola serve, e serve perché insegna a "pensare in modo critico", e non come un batterio o un coccodrillo. E per lo stato è fondamentale assumere questa funzione e farsene carico. Allora ha ragione l'ex Rettore di Harvard Derek Bok, al quale si deve la severa e fulminante sentenza di trent'anni fa: "Se pensate che l’istruzione sia costosa, provate con l’ignoranza" e che, in una lettera di allora agli studenti scriveva: "Se pensate di venire in questa università ad acquisire specializzazioni in cambio di un futuro migliore state perdendo il vostro tempo. Noi non siamo capaci di prepararvi per quel lavoro che quasi certamente non esisterà più intorno a voi. Ormai il lavoro, a causa dei cambiamenti strutturali, organizzativi e tecnologici è soggetto a variazioni rapide e radicali. Noi possiamo solo insegnarvi a diventare capaci di imparare, perché dovrete reimparare continuamente».
Sguardo orientato al futuro, dunque, e alla necessità di apprendere ad apprendere, al quale il programma della scuola di Helsinki si è ispirato, e con successo. Lo ammette anche Gregg: "E sta funzionando. Il Media Literary Index 2019 – che misura quanto un paese è immune alle fake news – metteva la Finlandia al primo posto in un grosso margine. La morale è che se una persona, o un paese, vuole diventare più capace di smascherare le stronzate, ci vuole uno sforzo concertato e prolungato per superare la nostra tendenza predefinita a credere a tutto ciò che sentiamo. Almeno, però, è possibile, anche in un mondo in cui nelle stronzate stiamo annegando" (pp. 80-90).
Ecco, se è possibile abbiamo il dovere di crederci e di farlo. E per riuscirci ci vogliono pensiero forte e progettualità, non stronzate, appunto. È vero, "la scienza e la matematica ci hanno regalato anche la bomba atomica, e le pratiche di agricoltura industriale ci hanno portato un negozio di alimentari pieno di banane, ma anche un'atmosfera piena di anidride carbonica. Dunque, non è tutto oro quel che luccica" (p. 236). Ma abbiamo anche "raddoppiato la durata media della nostra vita nel giro di appena due secoli, e ridotto la povertà globale ai suoi livelli (i più bassi di sempre)" (p. 241) come ci ricorda lo psicologo e linguista di Harvard Steven Pinker, il quale, proprio per questo, sostiene che "i problemi sono inevitabili, ma si possono risolvere, e le soluzioni creano nuovi problemi che possono a loro volta essere risolti" (Ibidem).
È del tutto ragionevole, come punto di partenza di una rinnovata e sempre più necessaria e indifferibile consapevolezza critica sui pericoli concreti che corre l'umanità, lanciare un grido d'allarme anche provocatorio sulle inevitabili conseguenze del protrarsi della sua attuale scarsa lungimiranza e riluttanza ad affidarsi a un pensiero che sappia guardare alle conseguenze di lungo periodo delle sue scelte e delle sue decisioni. Lo fa ad esempio, in maniera impareggiabile, Norbert Wiener in un suo un breve testo del 1954 dal titolo Invention: The Care and Feeding of ideas, già tradotto in Italia nel 1994 da Bollati Boringhieri, e riproposto nel 2022, per iniziativa di Andrea Bonaccorsi, da Rubbettino. In questo suo testo Wiener mostra che per una grande classe di fenomeni della realtà (il vivente e il tecnologico, cioè l’artificiale e l’umano) il controllo della validità e dell’efficacia si articola secondo orizzonti temporali molto differenziati, per cui se cerchiamo feedback in tempi brevi a problemi progettuali che richiedono tempi lunghi non arriviamo mai allo stato desiderato. Si tratta di una questione cruciale e ineludibile, in quanto la sopravvivenza dell’umanità dipende dalla sua capacità di dedicare una parte del suo pensiero e delle sue strategie alle imprese a lungo termine. Wiener, già sett'ant'anni fa, ci invitava a riflettere sul fatto che "ogni iniziativa che si protragga per un certo periodo di tempo, deve essere regolata e corretta, per quanto concerne il rendimento, dai suoi stessi risultati. Essi rappresentano, dal punto di vista dell’informazione, qualcosa di strettamente analogo a ciò che nell’ambito di un sistema di controllo si definisce retroazione" (p. 136). La conclusione, ineccepibile e attualissima che ne traeva è che per realizzare futuri possibili e desiderabili occorre una coprogettazione del tutto inedita tra istituzioni con orizzonti temporali diversi, alcuni a breve (ad esempio le imprese), altri a lungo (le istituzioni della ricerca, in particolare, ma non solo). Il problema che non si può più evitare di porsi e di affrontare è allora quello di fare in modo che questa strategia possa trovare un certo grado di conferma della propria validità.
Questo è l'unico modo serio e responsabile di affrontare l'enorme paradosso di cui parla Gregg, che ci propone nelle pagine del suo libro esempi su esempi diretti a mostrare come "la nostra mente eccezionale sembri così decisa ad autodistruggersi". L'unica speranza che ci lascia, avvertendoci però "che non so ben capire quando sconfina nell'allucinazione" (p. 241) è che "riusciamo a tirar fuori all'ultimo momento una soluzione pinkeriana alla Star Trek" (244).
La domanda che si affaccia alla mente del lettore responsabile una volta giunto all'ultima pagina è quanto possano servire, per evitare che questa speranza sia una semplice allucinazione, provocazioni pur accattivanti, ma semplicistiche e non semplici, come quella di cercare di convincerci, in conclusione, che "alla fin fine, Nietzsche se la sarebbe passata meglio se fosse stato un narvalo. E, se desideriamo seriamente aumentare il piacere e ridurre l'infelicità su scala globale – l'utopia utilitaristica – allora il mondo se la passerebbe meglio se fossimo tutti narvali. Pensate alla felicità che si diffonderebbe nel regno animale se gli esseri umani smettessero di colpo di fare tutte le cose distruttive che ci rendono umani" (p. 241).
Per fortuna, a renderci umani non sono solo le cose distruttive:
il pensiero come l'oceano, non lo puoi bloccare, non lo puoi recintare.
Il mare è più profondo di come spesso lo si vuol presentare.
Silvano Tagliagambe
N.d.C. Silvano Tagliagambe, professore emerito di Epistemologia del progetto dell'Università di Sassari, ha insegnato Filosofia della Scienza nelle università di Cagliari, Pisa, Roma "La Sapienza" e Sassari.
Tra i suoi testi più recenti: Il sogno di Dostoevskij. Come la mente emerge dal cervello (Raffaello Cortina, 2002); Come leggere Florenskij (Bompiani, 2006); Lo spazio intermedio (Università Bocconi Editore, 2008); con G. Maciocco, People and Space. New Forms of interaction in City Project (Springer-Verlag, 2009); Identità personale e neuroscienze, in S. Rodotà, M. Tallacchini, Trattato di Biodiritto. Ambiti e fondi del Biodiritto (Giuffré, 2010, pp. 323-360); con A. Malinconico, Pauli e Jung. Un confronto su materia e psiche (Raffaello Cortina, 2011); con D. Antiseri e P. Maninchedda, La libertà, le lettere, il potere (Rubbettino, 2011); Il cielo incarnato. L'epistemologia del simbolo di Pavel Florenskij (Aracne, 2013); con A. Malinconico, Jung e il Libro Rosso. Il Sé come sacrificio dell'io (Moretti&Vitali, 2014); Il nodo Borromeo. Corpo, mente, psiche (Aracne, 2015); con F. Merlini, Catastrofi dell'immediatezza. La vita nell'epoca della sua accelerazione (Rosenberg & Sellier, 2016); con G. Rispoli, La divergenza nella Rivoluzione. Filosofia, scienza e teologia in Russia (1920-1940) (Ed. La scuola, 2016); Epistemologia del confine (New Press, 2017); Oltre il muro di pietra. La concezione antinomica della verità in Florenskij alla prova delle neuroscienze (Insedicesimo, 2017); Lo sguardo e l'ombra (Castelvecchi, 2017); Il paesaggio che siamo e che viviamo (Castelvecchi, 2018); Placido Cherchi. La cultura dell'ologramma (Il Maestrale, 2018); con A. Malinconico, Tempo e sincronicità. Tessere il tempo (Mimesis, 2018); con G. Biggio e D. Sirigu, Metamorfosi. Cervello in divenire, benessere psicofisico e nuove strategie terapeutiche (Mimesis, 2019); Come in uno specchio. Il cervello e il suo ambiente (Mimesis, 2020); con P. Bartolini, Per una filosofia del tra. Pensare l'esperienza umana sulla soglia (Mimesis, 2020); con E. Facco, Ritornare a Ippocrate. Riflessioni sulla medicina di oggi (Le Monnier Università, 2020); Il paesaggio. Glossario (Libria, 2021); Dal caos al cosmo. Introduzione al cosmismo russo (Teti, 2021); Chiralità. La vita e l'antinomia. Gli eroi dei due mondi (Mimesis, 2021); con Alberto Felice De Toni e Roberto Masiero, a cura di, Per un manifesto del digitale nella scuola (Mimesis, 2022); Metaverso e gemelli digitali. La nuova alleanza tra reti naturali e artificiali (Le Monnier Università-Mondadori Education, 2022); a cura di, Mente, cervello, ambiente. Questioni (Moretti & Vitali, 2023).
Per Città Bene Comune ha scritto: Senso del limite e indisciplina creativa (28 aprile 2017), L’urbanistica come questione del sapere (19 marzo 2021).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R.
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