Giovanni Carosotti  
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PIÙ INDIVIDUALISMO CHE PERSONALISMO


Le nuove Linee guida di Educazione civica



Giovanni Carosotti


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Le nuove Linee guida relative all’Educazione civica erano previste già dall’introduzione del nuovo curricolo nelle scuole italiane di ogni ordine e grado, avvenuta nell’anno 2020, e già oggetto di un nostro commento. Le riserve che allora avanzammo, per essere comprese, devono contestualizzare quell’iniziativa all’interno della quasi trentennale azione di riforma della scuola italiana, finalizzata a ridurre l’importanza del sapere disciplinare rispetto a quello cosiddetto trasversale, in nome dell’acquisizione di competenze, mai veramente definite, non solo dal punto di vista teorico, ma anche nella concreta azione didattica. L’Educazione civica sembrava funzionale più a introdurre un nuovo paradigma riguardo al metodo d’insegnamento, piuttosto che a valorizzare contenuti decisivi per la maturazione civile degli studenti. Un metodo incentrato su pochi percorsi pluridisciplinari, all’interno dei quali i singoli docenti avrebbero inserito pochi contenuti della propria disciplina, totalmente decontestualizzati.

   La difficoltà evidente di realizzare progetti ben poco fattibili sul piano pratico, in particolare poi nell’anno dell’emergenza pandemica, lasciò larga autonomia alle scuole per impostare il curricolo nel modo più ragionevole. Poiché infatti l’impatto doveva essere a costo zero, i docenti avrebbero dovuto sottrarre ore di insegnamento alla propria disciplina, a favore delle nuove tematiche; prevalse allora l’idea di far convergere nel monte ore di ciascun docente i contenuti inerenti alla materia insegnata, in modo da garantire coerenza al programma svolto. Il ministero aveva comunque stabilito che, dopo qualche anno (per la precisione doveva essere l'anno scolastico 2023_2024) sarebbero state emanate nuove linee guida.

   Queste sono state pubblicate all’inizio del presente anno scolastico: possiamo dire che, dal punto di vista metodologico, pur ribadendo tutte le note parole d’ordine (trasversalità, multidisciplinarità, laboratorialità, ecc.) non compare alcuna indicazione stringente per mettere in pratica quanto finora disatteso. Viene sicuramente ribadito non solo il carattere trasversale della disciplina, ma anche l’impossibile obiettivo di valutare gli stessi comportamenti degli alunni:

 

«Il tema della Costituzione primario e fondante, non può esaurirsi nel proporre la lettura e la memorizzazione di una serie di articoli e neanche nella conoscenza, pure necessaria e imprescindibile, dell’ordinamento e dell’organizzazione dello Stato [...] Le conoscenze e le abilità connesse all’educazione civica trovano stabilità e concretezza in modalità laboratoriali, di ricerca, in gruppi di lavoro collaborativi, nell’applicazione in compiti che trovano riscontro nell’esperienza, nella vita quotidiana, nella cronaca. [...] tutte attività concrete, da inserire organicamente nel curricolo, che possono permettere agli studenti non solo di “applicare” conoscenze e abilità, ma anche di costruirne di nuove e di sviluppare competenze.»

 

   Al di là dell’assunzione di un lessico che abusa di espressioni quali conoscenze, abilità e competenze, come se la distinzione, in particolare fra questi ultimi due concetti, fosse ormai chiara, rimane problematica un’applicazione di contenuti civici in momenti collettivi comunque indotti, dove la consapevolezza della valutazione non renderebbe certo spontaneo un comportamento responsabile e rispettoso dei principi di solidarietà. Poiché, come spesso è capitato in questi anni, risulta problematico tradurre in realtà quanto formulato in via teorica, le prescrizioni concrete risultano piuttosto vaghe:

 

«I docenti della classe e il consiglio di classe possono avvalersi di strumenti condivisi, quali rubriche e griglie di osservazione, finalizzati ad accertare il conseguimento da parte degli alunni delle conoscenze e abilità e del progressivo sviluppo delle competenze previste nella sezione del curricolo dedicata all’educazione civica.»

 

   Si comprende allora come, dal punto di vista operativo, tale documento non è destinato a sconvolgere l’attività del docente. Probabilmente perché la principale preoccupazione degli estensori sembra essere stata più di carattere contenutistico e non metodologico. Con un tono che inevitabilmente fa sorgere il sospetto di voler mettere un “cappello” ideologico alla Costituzione. Per esempio:

 

«formare gli studenti al significato e al valore dell’appartenenza alla comunità nazionale che è comunemente definita Patria, concetto che è espressamente richiamato e valorizzato nella Costituzione.»

 

   Con alcune indicazioni che troviamo alquanto superficiali:

 

«Comprendere gli errori fatti nella violazione dei doveri che discendono dalla appartenenza a una comunità, a iniziare da quella scolastica, e riflettere su comportamenti e  azioni volti a porvi rimedio.»

 

   Nelle poche annotazioni che possiamo proporre in queste righe, preferiamo sottolineare un’altra caratteristica che sembra emergere da queste Linee guida, e che ne evidenziano un carattere falsamente rispettoso del pluralismo. Come già notato nelle citazioni appena proposte, il richiamo alla Costituzione è costante e, in alcuni punti, addirittura ossessivo. Circostanza che interpretiamo con il fatto che la Costituzione serve in questo caso per legittimare la priorità di concetti e principi in essa non certo assenti, ma di cui si intende offrire un’interpretazione unilaterale. Forzando lo stesso testo costituzionale, rispetto alla pluralità delle testimonianze e delle interpretazioni già dei padri costituenti.

   Stupisce per esempio il considerare fondamento politico-culturale esclusivo della Costituzione il personalismo; con una discutibile interpretazione dello stesso come se coincidesse  con un modo di concepire  la proprietà privata in un’ottica prettamente individualistica. Rimandiamo agli studi di Emilio Renzi in proposito, per offrire una  valutazione ben più credibile del tema, in chiave  totalmente laica ed anti economicistica.

   Nelle Linee guida poi si legge:

 

«È importante educare i giovani ai concetti di sviluppo e crescita. Per questo, la valorizzazione del lavoro, come principio cardine della nostra società, e dell’iniziativa economica privata è parte fondamentale di una educazione alla cittadinanza. La diffusione della cultura di impresa “trasferisce” alle studentesse e agli studenti attitudini e conoscenze relative al mondo del lavoro e all’autoimprenditorialità.»

 

   L’intento è quello di valorizzare la fantomatica competenza all’imprenditorialità, richiesta persino nei cicli inferiori, che nessuno ha ancora capito bene come individuare. È un modo di impostare lo studio al fine di proporre agli studenti la figura dell’imprenditore quale riferimento antropologico di maggior valore, e non una delle possibili figure sociali (a fianco dei lavoratori dipendenti) che contribuiscono in pari modo alla solidarietà sociale. Nelle indicazioni operative (Competenza n.2), è scritto:

 

«Analizzare le norme a tutela della libertà di iniziativa economica privata e della proprietà privata anche considerando la nuova normativa della Carta dei diritti fondamentali dell’UE che la collega al valore di libertà.»

 

   Non pensiamo di peccare di faziosità se interpretiamo queste righe come un’apologia di un modello economico liberista, che è problematico far coincidere con lo spirito autentico del testo costituzionale. In particolare, preoccupa la scelta espressiva, posta nel testo tra virgolette, di “trasferisce”, come se si stesse facendo riferimento a un contenuto privo di potenzialità interpretative, che gli studenti dovrebbero apprendere secondo la prospettiva ideologica concepita dal ministero, quasi fosse un concetto logico-scientifico. Senza alcuna volontà di problematizzare quanto contenuto nel testo costituzionale: la libertà quale diritto non negoziabile per qualsiasi individuo, per difendere il quale è necessario regolare in parte la stessa proprietà privata. Questa invece diventa condizione imprescindibile della libertà, e va di conseguenza difesa senza alcun limite. Tanto che la stessa impresa appare quasi un soggetto destinatario dei diritti costituzionali, alla pari del singolo cittadino.

   C’è da domandarsi se è legittimo da parte di un docente, come è il caso del sottoscritto, proporre, a commento dell’articolo 42 della Costituzione, la lettura dei seguenti pronunciamenti di Amintore Fanfani:

 

«il problema di controllare, dal punto di vista sociale, lo sviluppo dell’attività economica, senza accedere a un’economia collettivizzata, e senza d’altra parte lasciare totalmente libere le forze individualistiche, cercando di sfruttarle, disciplinandole e regolandole al fine di raggiungere determinati obiettivi sociali.»

 

e di Lelio Basso:

«finché non sarà garantito a tutti il lavoro, non sarà garantita a tutti la libertà; finché non vi sarà sicurezza sociale, non vi sarà veramente democrazia politica. O noi realizzeremo interamente questa Costituzione, o noi non avremo realizzato la democrazia in Italia.»

  Si tratta di citazioni conformi o no alle presenti Linee guida? È legittimo poi far riflettere gli studenti sulle prese di posizione di politici e studiosi autorevoli che hanno sottolineato una relazione problematica tra la nostra Costituzione e il Trattato di Maastricht, in merito alla priorità attribuita alla stabilità dei prezzi rispetto ad altri diritti fondamentali?

   Un docente dovrebbe, a nostro parere, proporre l’esame degli articoli della Costituzione a partire dal dibattito che questi hanno sollevato già in Assemblea costituente, per proseguire nei decenni successivi fino a nostri giorni. Per mettere gli studenti in grado di partecipare al dibattito politico-culturale. Non bisogna invece imporre loro un’interpretazione univoca che, fatalmente, finisce per coincidere con quella promossa da ben precise gerarchie di ordine politico ed economico.

   Il messaggio che sembrano veicolare queste Linee guida è che la scuola debba impedire alle menti degli studenti di sviluppare capacità critiche rispetto all’esistente, in un’ottica rispettosa del dibattito pluralistico proprio di una società democratica. L’Educazione civica offrirebbe solo competenze per imparare a integrarsi senza riserve critiche in un sistema che pure presenta diversi aspetti problematici per l’interesse degli studenti, a partire  da un mercato del lavoro caratterizzato dalla precarietà e dalla perdita di alcuni diritti che pure erano stati conquistati in decenni, intesi proprio quale concreta valorizzazione dei principi costituzionali.

   Anche se evitiamo di usare la parola indottrinamento, sicuramente compare la volontà, attraverso un simile studio dell’educazione civica, di depoliticizzarne i contenuti fondamentali, di caratterizzarla quale disciplina di legittimazione conformistica del presente e non invece riferimento democratico per proporre istanze di riforma e di trasformazione. Per cui non si chiede agli insegnanti di affrontare il tema della precarietà e della competitività che caratterizzano oggi la sfera economica – e destinate a condizionate talvolta in modo drammatico la vita futura degli studenti –  confrontandolo con le condizioni di lavoro garantite fino a solo qualche decennio fa; e valutare, sulla base di questo confronto, una maggiore o minore aderenza allo spirito della Costituzione. Nelle Linee guida, invece, questa situazione di incertezza sembra essere giustificata in quanto «valorizzazione dei talenti», e quindi costituire addirittura un vantaggio per le prospettive future di realizzazione individuale. Secondo un criterio che, al di là delle parole di circostanza, sicuramente presenti in questo documento, va in netta collisione con i reali criteri di solidarietà sociale.

  Come è capitato a molti documenti ministeriali di questo tipo, costringere nei fatti il corpo docente a una tale torsione ideologica diventa complesso; per cui, sempre nelle indicazioni operative della “Competenza n.2” si legge:

 

«Individuare, attraverso l’analisi comparata della Costituzione italiana, della Carta dei diritti fondamentali della UE, delle Carte Internazionali delle Nazioni Unite e di altri Organismi internazionali (es. COE), i principi comuni di responsabilità [....]. Rintracciare Organizzazioni e norme a livello nazionale e internazionale che se ne occupano.»

 

A queste indicazioni, relative a un confronto pluralistico tra istituzioni e normative nazionali e internazionali, farà sicuramente riferimento il docente responsabile per evitare la trappola “ideologica” delle Linee guida  e svolgere invece il proprio dovere professionale; sviluppare cioè lo spirito critico degli studenti e non invece promuovere una loro inconsapevole e conformistica adesione ai principi di realtà.


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24 SETTEMBRE 2024