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1. La seconda adolescenza dei genitori
Quando un figlio segnala, con il corpo che cambia, la fine dell'infanzia e l'inizio dell'adolescenza, i genitori entrano in crisi e si apprestano ad affrontare, essi stessi, una seconda adolescenza. Il passaggio viene sottolineato con una serie di commenti allarmati: ' E' finita la tregua', 'Chissà cosa mi aspetta', ' mio figlio adolescente mi fa impazzire'. L'ansia viene poi costantemente alimentata dalle terribili notizie diffuse dai mass-media, come se l'adolescenza fosse una questione patologica o di ordine pubblico. In realtà la maggior parte dei ragazzi non dà grandi problemi: non si droga, non fugge di casa, non viene espulsa dalla scuola. Sono piuttosto i genitori, turbati dall'improvviso cambiamento dei figli, a fare un bilancio della loro vita. Emergono allora sentimenti di dubbio, di rimorso e di rimpianto che mettono a dura prova l'equilibrio personale e la stabilità della coppia.
Questa constatazione fa sorgere un interrogativo: ' è possibile che l'adolescenza sia particolarmente difficile - e a volte costituisca una crisi - non tanto per i ragazzi e le ragazze quanto per gli adulti che li crescono?' .
Laurence Steimberg, psicologo della Temple University, una delle maggiori autorità degli Stati Uniti in materia di pubertà, pensa che ci siano forti elementi a favore di questa tesi. ' La maggior parte degli adolescenti, spiega, sembra attraversare la vita in una sorta di piacevole annebbiamento. Questo non esclude che molti ogni tanto stiano male e che alcuni soffrano sul serio. E' tutto vero. Ma è anche vero che vivono intensamente altre esperienze importanti: cotte, rapporti sentimentali con tutti i rischi che comportano, esperimenti sulla loro identità. I genitori non possono fare altro che digerire questi cambiamenti e adeguarsi quando i figli si allontanano'. Difficile, almeno per noi, comportarsi con tanta serena accondiscendenza rinunciando a sostenere, promuovere e incentivare i figli sino alla maturità e oltre.
Ma, senza prevaricare, resta comunque il compito di adottare un atteggiamento meno allarmistico, di non formulare previsioni pessimistiche che rischiano, proprio perché ansiosamente attese, di verificarsi. Meglio valutare l'adolescenza considerandola per quello che è: una età della vita carica di vigore, di potenzialità, di risorse e di speranze. In un'epoca di crisi, come quella che stiamo vivendo, non dobbiamo dimenticare che figli e nipoti sono l'unico futuro che abbiamo. Cerchiamo di gestirlo bene senza sprecare il patrimonio che essi rappresentano.
2. Adolescenti in crisi d'identità
L'adolescenza sta diventando, nel nostro paese, sempre più anticipata - sino a delineare una preadolescenza ancora poco studiata, che va dai 9 agli 11 anni- e, d'altro canto, sempre più protratta, tanto che risulta ormai impossibile individuare un passaggio all'età adulta valido per tutti.
Lo sviluppo precoce, abbreviando il periodo infantile, rischia di impoverire i processi mentali connessi al gioco, alla fantasia, alle attività disinteressate, particolarmente favorevoli al sorgere di abilità cognitive divergenti rispetto ai percorsi prefissati, le uniche in grado di proporre domande innovative e soluzioni creative.
Analogamente il prolungamento della dipendenza dei giovani dalla famiglia indebolisce le spinte alla contrapposizione generazionale, alla ribellione, all'utopia. Sappiamo che la trasmissione da una generazione all'altra si giova della continuità ma la società, per progredire, ha anche bisogno che s' introducano elementi di critica, di confronto e di scontro perché i rapporti possano evolvere e le relazioni divenire più eque e soddisfacenti.
Ma procediamo per ordine. I nostri bambini sono pochi, in maggioranza figli unici, e vivono in famiglie che investono molto su di loro in termini affettivi ed economici.
L' infanzia, circondata da parenti adoranti, è spesso così ricca di gratificazioni che i ragazzi non vorrebbero lasciarla mai. Per tutta la vita sarà ricordata e rimpianta come ' l'età dell'oro'. Tuttavia dura poco in quanto la fretta che caratterizza questa società tende ad 'adultizzare' i bambini, a renderli adolescenti precoci, copie in miniatura di quei 'fratelli maggiori' che conoscono soprattutto attraverso gli spot pubblicitari dove l'adolescenza regna incontrastata, quasi fosse l'unico periodo in cui si è davvero sani, belli, felici. Di fronte alle 'divinità' proposte dai mass-media come esseri compiuti e perfetti, i mutamenti puberali, non sempre immediatamente estetici, vengono recepiti dai ragazzi con ansia e paura.
- Come diventerò? Come sarà il mio corpo adulto? Sarà all'altezza dei miei intransigenti ideali? - si chiedono i preadolescenti, rischiando di innescare in misura crescente quel meccanismo dei disturbi alimentari che in casi estremi esita nella temuta sindrome 'anoressia-bulimia'.
Dinnanzi alla difficoltà di crescere si assiste a frequenti dinamiche di regressione verso i comportamenti della prima infanzia connessi alle fasi dello sviluppo psicofisico. Il ritorno alla fase orale si manifesta con la tendenza a divorare in modo compulsivo caramelle, gomme da masticare, panini tondi e morbidi come il seno materno, pacchi di patatine e pop-corn, a ingurgitare bevande dolci e frizzanti. Senza contare che, sempre più frequentemente, si riscontrano abusi di bevande alcoliche già a dodici anni.
In generale, la crescente diffusione di situazioni di sovrappeso e obesità dipende da molti fattori, tra cui le condizioni ambientali e la solitudine in cui vivono molti ragazzi che, abbandonati a se stessi, divengono schermo-dipendenti.
La stessa spinta regressiva li induce anche a sperimentare le prime sigarette, i primi spinelli, cui attribuiscono una funzione trasgressiva e al tempo stesso aggregante e coesiva del gruppo dei pari. Si assiste anche al riemergere delle pulsioni che erano state regolate, nella prima infanzia, dall'educazione alla pulizia. Esse si rivelano con comportamenti differenti nei due sessi. Mentre i maschi si crogiolano in maglioni sudati e scarpe puzzolenti, le femmine si dedicano con cura maniacale all'igiene del corpo e alla manutenzione dei capelli che divengono molte volte un oggetto transizionale, intermedio tra il me e il non-me, sul quale proiettare difese narcisistiche e desideri esibizionistici.
Durante la Scuola media inferiore, l'identità sessuale ancora imperfetta induce maschi e femmine alla separazione dei generi. Benché condividano gli stessi banchi e la medesima educazione, dominano tra di loro atteggiamenti sessisti, fondati sui peggiori stereotipi della tradizione secondo i quali le ragazze sarebbero stupide e pettegole, i maschi infantili e volenti.
Nonostante questa polarizzazione spontanea, la composizione eterosessuale delle classi scolastiche (spesso criticata) costituisce un buon mezzo di conoscenza reciproca, dove la complementarietà modera l'antagonismo e relativizza la contrapposizione.
3. Dalla colpa alla vergogna
Tuttavia maschi e femmine hanno un modo diverso per uscire dalla famiglia. Per i maschi sarà il gruppo dei pari ad aiutarli a traghettare dalla sfera privata al mondo esterno grazie a un 'io collettivo' in cui ciascuno si riconosce diverso rispetto al bambino fissato dallo sguardo dei genitori dei genitori e all' alunno codificato dagli insegnanti. Per le ragazzine questa funzione è svolta piuttosto dall'amica del cuore con cui tessere una trama fittissima di messaggi ad alto indice di emotività e di sentimenti.
Nelle ultime generazioni la contrapposizione tra genitori e figli è minima. La famiglia 'sì', la famiglia permissiva, offre ben pochi pretesti di contrasto e di conflitto. Il divario con la generazione dei nonni, che 'hanno fatto il 68', non potrebbe essere maggiore. Mentre quella generazione si era definita attraverso la contestazione dell'autoritarismo nella famiglia e nelle istituzioni, questa si pensa in continuità anziché in alternativa con il passato.
Genitori e figli vestono e pensano allo stesso modo in un via vai di abiti identici e di esperienze condivise. La sfida mancata provoca un'identità debole perché viene meno la pars destruens dell'adolescenza, quella fondata sul 'no': non voglio essere come voi, io sono diverso, io sono io.
Un tempo la rivolta verso l'autorità paterna era sollecitata da un sistema di regole e di divieti che l'adolescente avvertiva come vincoli alla sua libertà, come ostacoli all'esercizio della sua sessualità. Ora invece la permissività è tale da rendere assurda la ribellione.
Il senso di colpa di cui parla Freud a proposito dell'antagonismo padre-figlio, rivali nella conquista dell'amore della madre, ha lasciato il posto a un altro sentimento: la vergogna. Non si tratta della vergogna sociale, un tempo indotta da un moralismo rigido e punitivo, ma di una vergogna psicologica, intima e inconfessata.
I ragazzi l'avvertono come una mancanza di autostima, come una carenza dolorosa, indotta dalla constatazione della propria inadeguatezza. A partire dalla pubertà, molti di loro non si sentono all'altezza degli ideali interiorizzati attraverso l'educazione familiare. D'altra parte l'ideale è per definizione irraggiungibile, altrimenti non sarebbe tale. Per crescere non è necessaria la perfezione, è sufficiente tendere verso un orizzonte di valori accettando anche di incontrare, lungo il percorso, ostacoli ed errori. In questi anni prevale la famiglia con un unico figlio e su di lui o lei si riversano ingenti investimenti finanziari e affettivi. Mentre un tempo le aspirazioni dei genitori si distribuivano su più figli per cui vi era l'intelligente, il buono, l'originale, la bella e così via, ora tutti i sogni, tutte le aspettative si concentrano su un solo bambino. E'per lo più la madre a elaborare fantasie, sogni e anticipazioni in base ai quali formulare programmi per la scuola e il tempo libero. I padri si adeguano. Ma non sempre sono progetti realistici, realizzabili, verosimili.
Essendo influenzati dall'onnipotenza del desiderio inconscio, i genitori vorrebbero tutto per l'amatissimo figlio: le Olimpiadi e il Premio Nobel, la notorietà televisiva e una solida carriera professionale, il successo e il potere, una bellezza senz'ombre, una felicità senza limiti. Il senso della relatività, della misura, dell'impossibilità viene così posto a carico dei ragazzi che, ricevendo dai genitori ingiunzioni contraddittorie, non riescono a gestirle. L'impossibilità di essere come la famiglia vorrebbe che fossero si traduce spesso in un sentimento d' inadeguatezza,d' incapacità, d' impotenza. Mentre nella famiglia patriarcale l'ingiunzione interiore era ' non devo', ora è divenuta piuttosto 'non posso, non ce la faccio'. Un' impossibilità vaga e indeterminata che i figli soffrono senza capirne il motivo perché in gran parte questi messaggi circolano a livello inconscio.
A parole, infatti, e in buona fede, i genitori sostengono l'autonomia dei figli, la loro autodeterminazione, ma poi, istituendo un 'doppio legame', sovraimprimono agli ideali adolescenziali, spesso vaghi e contraddittori, le loro aspettative, il loro bisogno di veder realizzato, nella discendenza, ciò che non sono riusciti a ottenere in prima persona.
Spesso, nel corso di colloqui clinici o di attività espressive, si osserva che gli adolescenti provano un grande sollievo nel momento in cui giungono a tematizzare il senso di vergogna. Quando trovano parole per dirlo e riconoscere la dipendenza emotiva che li sottomette all'immaginario parentale, intravvedono, con grande sollievo, la possibilità di essere liberi, di decidere autonomamente, di tentare, di rischiare e, perché no, di sbagliare. Appena il punto focale si sposta dalla colpa alla vergogna, qualche cosa si sblocca e il processo evolutivo, che pareva stagnante, si rimette in moto.
Per quanto riguarda il rendimento scolastico, conosco adolescenti che, allegramente sorretti e spronati dalla famiglia, suonano in una orchestrina Jazz, giocano in una squadra di Basket, fanno vela in un centro specializzato, vagano da un amico all'altro in motorino per tutto il pomeriggio, seguono corsi privati di lingue e computer..... E poi i genitori non capiscono perché abbiano un profitto insufficiente e gli insegnanti siano scontenti e preoccupati. Se vogliamo evitare la dispersione, gli interessi vanno selezionati e gerarchizzati. E ' chiaro che, nella scala delle priorità, il primo posto spetta alla scuola. E non solo a livello di buone intenzioni. In questi anni persino la sessualità adolescenziale è gestita dai genitori che, proiettando sui ragazzi i propri desideri e i propri timori, mettono a loro disposizione, dapprima uno scooter a due posti, poi la macchina, la casa di città e quella di campagna.
Può sembrare un'incentivazione alla maturità ma, così facendo, distruggono la possibilità di fantasticare, annullano lo spazio della vicinanza affettuosa e la sospensione del tempo dell'attesa che caratterizzavano l'adolescenza rispetto alle altre età della vita. I percorsi a piedi per andare a scuola, all'oratorio, a casa degli amici o per ammirare la finestra del primo amore, tracciano percorsi che fanno conoscere e amare il luogo ove si abita sino a diventare circuiti del cuore, forme d'identità.
4. Desiderare per crescere
Se la coppia adolescenziale viene accolta tra gli adulti e considerata tale, cioè una coppia stabile, senza porre limiti e condizioni, e la cameretta dell'infanzia diventa improvvisamente coniugale, non si dà ai ragazzi il tempo necessario per crescere, per scandire la loro relazione secondo ritmi che solo loro possono darsi. Quando tutto è a disposizione, senza ostacoli, senza divieti, le difficoltà di coppia non trovano più alibi. Le impossibilità esterne possono infatti funzionare da ammortizzatori di quelle interne. Posti l'uno di fronte all'altro, ragazzi e ragazze si misurano invece con un'immaturità non protetta dai divieti, con prestazioni non differite, con blocchi emotivi che, nell'urgenza del piacere, non trovano le scadenze e i modi dell'elaborazione psichica. Spesso il rapporto sessuale precede la relazione affettiva, quasi fosse una scorciatoia verso la costituzione della coppia. Si va a letto insieme non perché ci si conosce e ci si ama ma per conoscersi e innamorarsi. Rispetto alle interdizioni del passato può sembrare una forma di autonomia ma la libertà è tale solo se viene compresa e conquistata. L'ingiunzione 'sii libero' finisce invece per disperderla e negarla.
Negli ultimi anni, contrariamente ai timori di molti educatori, la sessualità adolescenziale sembra essere ridimensionata anziché enfatizzata dalla permissività familiare e sociale . Spesso i ragazzi preferiscono attardarsi nel gruppo dei coetanei piuttosto che affrontare i turbamenti del rapporto con l'altro sesso, un'esperienza sempre più ritardata, quasi temuta.
Tuttavia l'innamoramento costituisce ancora un avvenimento importante, capace di ristrutturare la personalità a un livello più elevato rispetto alla prima infanzia .Consente infatti di uscire dal narcisismo, di esporre il proprio desiderio al riconoscimento dell'altro, di ammettere la propria parzialità, di tradurre la diversità in complementarietà.
Più difficile risulta mettersi alla prova nella società, entrare nella sfera degli adulti. 'Il mondo non mi chiede nulla' lamentano gli adolescenti quando sentono di possedere risorse che non si esauriscono nell'impegno scolastico ma aspirano a realizzarsi nella società, a mettersi alla prova con problemi collettivi che trascendono il chiuso orizzonte della casa e della scuola. Il volontariato è stata una risposta spontanea a questa esigenza. Ha però bisogno, per esprimere le potenzialità maturative che contiene, per divenire davvero un'esperienza formativa, di elaborare le motivazioni di fondo, trasformando un agire frammentario e contingente in un progetto di lunga durata responsabile e condiviso.
Tanto più che la scuola non sempre riesce a recepire la complessità della domanda che gli alunni le rivolgono. La maggior parte degli insegnanti ritiene di dover insegnare la propria materia rivolgendosi esclusivamente all'allievo, alle sue funzioni cognitive, alle sue capacità di apprendimento, senza cogliere l'adolescente nella sua complessità, negli stati affettivi ed emotivi che in quegli anni lo avvincono con particolare intensità.
Quando un docente è capace di porsi in relazione con un soggetto e non solo con un oggetto in cui travasare informazioni e competenze, quando sa riferirsi alla classe oltre che ai singoli componenti, tutto cambia e l'adolescenza rivela le sue straordinarie potenzialità.
Potenzialità che i genitori tendono a sottovalutare considerando la Scuola soprattutto in termini di prestazioni e di efficienza: l'importante è che il ragazzo studi e ottenga buoni voti, il piacere di imparare non conta. Invece l'atteggiamento verso il sapere, la curiosità e la voglia di apprendere sono determinanti in una società che richiede continui aggiornamenti.
Se sopravviene qualche problema nei rapporti tra scuola e famigli entrano subito in campo padre e madre, come se il figlio adolescente non potesse cavarsela da solo. L'atteggiamento che spesso la famiglia assume è già deciso: difendere a tutti i costi il ragazzo che, a torto o a ragione, è stato traviato dai compagni e maltrattato dagli insegnanti. Per molti genitori lo studente non è in grado di gestirsi, di riconoscere i diritti e i doveri che gli competono e di farli valere. Ma la responsabilità non viene da sé, come fosse un fisiologico attributo della crescita. E' piuttosto il risultato di scelte, di dilemmi morali che sorgono dal concreto dell'esperienza, dalla necessità di affrontare rischi e risolvere problemi che coinvolgono se stessi e gli altri.
La libertà si coglie solo quando siamo posti di fronte al pericolo di sbagliare, alla possibilità commettere errori non reversibili perché solo nelle fiction la moviola può essere girata all'indietro e tutto può risultare come 'non avvenuto'.
Inoltre la responsabilità si esercita soltanto se si detiene un margine di potere, se alla dipendenza infantile ha fatto seguito una delega di autonomia da parte degli adulti. Per questo è importante che in famiglia e a scuola sia progressivamente concessa ai ragazzi la gestione della propria vita. Che entrino a far parte della collettività come membri attivi, anche a costo che incontrino delusioni, che compiano errori, che siano indotti a regredire perché in molte circostanze tornare indietro consente di prendere la rincorsa per saltare più alto e più in là.
Come sostiene la grande psicoanalista francese Françoise Dolto, la felicità non è obbligatoria: i ragazzi hanno diritto di crescere, di diventare adulti, se poi saranno felici tanto meglio. Il pericolo più grande è, in questi anni, la stagnazione. Quando non si hanno motivazioni per fare ciò che si fa e ci si limita a vivere alla giornata, quando i desideri non riconosciuti costringono a navigare a vista, senza mappe e senza obiettivi, l'adolescenza ha smarrito la sua specificità e il suo senso.
L'apatia del desiderio, il fatto di non volere nulla e non chiedere niente, dipende il più delle volte da un eccesso di gratificazioni, dal fatto che la risposta ha preceduto la domanda e disattivato la capacità di aspettare. Poiché si desidera soltanto ciò che non c'è più e non c'è ancora, colmare prematuramente la mancanza significa tagliare le ali alla spinta propulsiva verso il futuro che dovrebbe mantenersi viva ad ogni età, ma trovare la massima espressione dell'adolescenza.
Da una recente ricerca di mercato, risulta che, a Natale, i bambini chiedono di media quattro regali: ne ricevono undici . Sette di troppo. Un profluvio di oggetti, di cose superflue satura prematuramente il vuoto dal quale sorge la tensione desiderante e, con essa, l'appello all'altro, non tanto perché esaudisca il nostro desiderio ma perché lo riconosca.
I ragazzi che non sanno desiderare riducono l'attività psichica al livello elementare dei bisogni. Come tali sono incapaci di rinviare la soddisfazione e, sottraendosi all'attesa, inibiscono l'immaginazione che anticipa, con il pensiero strategico, la soluzione dei problemi. Con l'ingiunzione 'voglio tutto subito' il Principio di piacere distoglie dalla realtà e, mentre sembra metterci al riparo dall'infelicità, preclude la felicità che, se non si può pretendere, si può comunque propiziare.
5. Il viaggio della vita
Lasciare spazio al desiderio è quindi la condizione necessaria perché il soggetto in crescita transiti da ciò che non c'è più (l'infanzia) verso ciò che non c'è ancora (la maturità).
In quel vuoto acrobatico l'Io, libero dagli stampi costrittivi della famiglia e della scuola, può disegnare un'identità propria, che ingloba la sua storia e nel contempo la trascende in una nuova sintesi. Ma per far questo ha bisogno di sostegno affettivo, di fiducia, di speranza. Deve essere aiutato a conoscere il passato per proiettarlo nel futuro, non come necessità ma come libertà, ambito di scelte possibili perché relative, limitate e circoscritte.
L'onnipotenza, lasciata a se stessa, si traduce in impotenza e spesso, dietro sentimenti di noia paralizzanti troviamo, non il vuoto, ma il troppo pieno, l'incapacità di rinunciare al tutto per ottenere una parte di ciò che si vuole.
Perché il desiderio, uscendo dalla sfera dell'immaginazione si realizzi, è necessario che si connetta al senso di responsabilità, che il narcisismo adolescenziale riconosca il desiderio altrui come il proprio. Ma questo può avvenire soltanto nelle coordinate del tempo, procedendo verso un punto prospettico che unisce le traiettorie individuali. La soddisfazione dei nostri desideri consiste nel viaggio più che nella mèta.
Purtroppo quest'epoca, dominata dalla paura, non è la più favorevole all'elaborazione di un futuro possibile, alla trasformazione del destino impersonale in una narrazione autobiografica, dove il soggetto possa organizzare, in un discorso complessivo sensato e coerente, i segmenti d'identità che assume nei diversi ambienti frequentati. Come connettere in un unico Io, il bravo bambino, l'adolescente insofferente, lo sportivo super-incentivato, lo studente affaticato, l'amante frustrato e il membro di un gruppo di pari?
Poiché il compito di diventare se stessi è entusiasmante ma difficile, molti ragazzi si rifugiano nella realtà virtuale rimanendo impigliati nelle lusinghe della Rete, nei miraggi di Internet, ancor prima di aver imparato ad affrontare la realtà oggettiva e i rapporti sociali.
Cerchiamo di attrezzarli ad intraprendere il viaggio della vita prima di tutto motivandoli. In questo senso la scelta dell'indirizzo scolastico può essere un'occasione importante per riflettere su chi si è e su chi si vuole diventare, per tracciare una mappa del proprio percorso esistenziale.
Invece anche la fine della scuola media superiore, così come le tappe precedenti, è divenuta irrilevante. L' esame di maturità, che costituiva un tempo un vero e proprio 'rito di passaggio', ha perso di significato e di senso. Non rappresenta più una linea d'ombra da attraversare, la prova da superare per affrontare il rettilineo che connette l'adolescenza all'età adulta. Nel continuum di una biografia priva di cesure, di ostacoli, di verifiche, senza salti di qualità e conferme di valore, tutto si equivale e nulla merita di essere acquisito con sforzo e sacrificio. Non si tratta di reintrodurre, come in passato, esami massacranti e valutazioni selettive, ma di riflettere insieme sulla conclusione dell'adolescenza, di elaborarne il lutto (così come un tempo è stato fatto per l'infanzia) per poi entrare nell'età adulta, nella maturità intesa come una sfida da superare, non come una condanna da scontare.
Se consideriamo l'adolescenza, non tanto una condizione di crisi quanto una via d'accesso alla vita attiva, essa diviene un'opportunità da utilizzare e una risorsa da promuovere. Ma per far questo occorre che gli adulti sappiano innanzitutto reggere le incertezze dell'adolescenza, che siano capaci di attendere sospendendo il giudizio ed, evitando l'intervento sostitutivo, siano in grado di tollerare ragionevoli margini di rischio e di errore.
Insomma che l'adulto si comporti d'adulto senza pretendere di affiancarsi al figlio in una seconda, illusoria adolescenza.
Come ricorda Domenico Starnone: ho sentito molti padri asserire 'sono il miglior amico di mio figlio' ma non ho mai sentito un ragazzo affermare 'sono il miglior amico di mio padre'. Nella famiglia contemporanea troppo spesso il padre abdica alla propria posizione, rinuncia a una funzione normativa che richiede di fronteggiare l'ostilità più o meno manifesta dei figli, per garantirsi sempre e comunque il loro amore.
Le regole, che non sono comandi, non servono solo a proibire ma, se concordate, proteggono i ragazzi, aiutandoli a contenere l'impeto dell'età. Ricordo che le regole, per essere tali, per non ridursi a semplici suggerimenti, devono prevedere, se disattese, proporzionali sanzioni.
Senza steccati è difficile procedere verso la maturità. La mancanza di guida può spingere i giovani a darsi da sé dei confini, affrontando come accade in molti sport e giochi estremi, il limite dei limiti: la morte. Ricordo che la seconda causa di morte dei giovani,di età compresa tra i 14 e i 24 anni, è la velocità. Oltre a questi induttori in un certo senso negativi, è importante che i più giovani possano riflettersi in adulti validi, in testimonianze credibili, in modelli che non siano soltanto la rock-star di turno, lo sportivo superpagato o il personaggio televisivo del momento, ma figure capaci di prefigurare una 'buona vita', una vita degna, nonostante le inevitabili difficoltà, di essere vissuta.
Vedo invece diffondersi il rischio che i genitori prendano il posto dei figli: che scelgono per loro la scuola, le lingue straniere, gli amici, lo sport, i viaggi, la professione, talora persino l'amore. Che centellinano i margini di autonomia dei ragazzi 'per il loro bene', naturalmente.
In queste famiglie la confusione tra il 'noi' e il 'loro' può indurre nei figli un ' male di vivere' non immediatamente visibile perché contraddistinto dalla passività e dalla contrazione dello spazio e del tempo, ridotti alle pareti della cameretta e all'oggi.
Il nuovo disagio si esprime come ritiro dalla competizione, inattività, isolamento, caduta del desiderio: una morte a piccole dosi. 'Dove ho sbagliato?' si chiedono allora i genitori senza trovare una motivazione convincente perché è difficile ammettere che anche l'amore può essere troppo.
Credo che l'antidoto alla paura di vivere consista nel concedere progressivamente ai più giovani fiducia, autostima ( senza inflazionare le lodi), libertà, autonomia, indipendenza, responsabilità. Si legge su un muro di periferia: ' POSSIAMO FARE A MENO DI TUTTO, NON DEL DOMANI'. E il domani è nelle mani dei giovani! Ogni generazione, anche nei momenti più difficili (es. dopoguerra) ha sempre trovato in sé le risorse per superare i problemi del proprio tempo. Non c'è ragione di considerare quest'ultima generazione come un'eterna minorenne che, non sapendo cavarsela da sé, deve essere affidata a un tutore. Se è difficile stare accanto a un bambino che cresce, è ancor più difficile lasciare che pian piano si allontani da noi, che diventi se stesso, magari diverso da come lo avevamo sognato e programmato. Cerchiamo piuttosto, in quanto adulti, di cedere ai giovani quote di futuro. Il futuro è una dimensione del tempo che non c'è: per esistere, prendere forma, deve essere animato dal desiderio e prefigurato dalla fantasia in vista di una sua possibile (anche se non garantita) realizzazione.
Ma per costruire il futuro occorre accettare l'attesa, sapere aspettare senza di-sperare. Purtroppo la pazienza non ha spazio nel mondo della fretta, è una virtù che non abita più qui. Eppure, come scrive Oscar Wilde: ' Se si dovesse costruire la casa della felicità, la stanza più grande sarebbe la sala d'attesa'-
Ma perché i giovani attendano, anche nel senso attivo di 'attendere a … ', di occuparsi in prima persona del loro futuro senza delegarlo ad altri, occorre che, nella staffetta della vita, gli adulti siano disposti a cedere il testimone, a consegnarlo nelle mani di chi proseguirà la corsa e che i riceventi, dal canto loro, ne accettino il carico e la responsabilità.
Questi ragazzi hanno avuto molto. Anche in questi momenti di crisi le famiglie fanno di tutto per metterli al riparo dall'indigenza garantendo loro, nei limiti del possibile, la migliore qualità della vita. Ora è giusto e opportuno che cerchino di restituire quanto gli è stato dato, in termini economici e culturali, dalle generazioni precedenti. Come ricorda Remo Bodei nel libro Generazioni, Laterza 2014, citando il De Monarchia di Dante: 'nella vita non bisogna soltanto prendere ma anche (e soprattutto) rendere.
SILVIA VEGETTI FINZI
(Già docente di Psicologia Dinamica all'Università di Pavia)
Per eventuali approfondimenti, si rinvia a:
Silvia Vegetti Finzi, 'Il bambino della notte, divenire donna divenire madre' (1990); 'Il romanzo della famiglia, passioni e ragioni del vivere insieme' (1992); ' Volere un figlio, la nuova maternità tra natura e scienza' (1999); 'Quando i genitori si dividono, le emozioni dei figli' ( 2005) ' Nuovi nonni per nuovi nipoti, la gioia di un incontro' ( 2008) Tutti reperibili negli Oscar Mondadori.
E, con Anna Maria Battistin, la trilogia:
'A piccoli passi. Psicologia dei bambini da zero a cinque anni'; 'I bambini sono cambiati. Psicologia dei bambini dai 6 ai 1O anni'; ' L'età incerta. I nuovi adolescenti', sempre Oscar Mondadori.
Inoltre, S.Vegetti Finzi, 'Parlar d'amore. Le donne e le stagioni della vita', Rizzoli; 'Silvia Vegetti Finzi dialoga con le mamme', Fabbri 2010.
'La stanza del dialogo', Casagrande Ed., Bellinzona 2011 e ultimo uscito:
'Una bambina senza stella. Le risorse segrete dell'infanzia per superare le difficoltà della vita', Rizzoli, Milano 2015.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 11 NOVEMBRE 2015 |