Renzo Riboldazzi  
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SALVATORE SETTIS ALLA CASA DELLA CULTURA


Le ragioni di una conferenza, l'urgenza di un tema



Renzo Riboldazzi


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Martedì 12 dicembre, alle ore 18, Salvatore Settis sarà alla Casa della Cultura - in via Borgogna 3 a Milano - per una conferenza dal titolo Politiche della bellezza: Europa, Italia. Eccezionalmente introdotta da Salvatore Veca e puntigliosamente curata da Oriana Codispoti, l'iniziativa si inquadra nelle attività di Città Bene Comune - ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, il paesaggio e la cultura del progetto urbano, paesistico e territoriale prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano - ed è patrocinata dalla sezione lombarda di Aiapp, l'Associazione Italiana di Architettura del Paesaggio, e dalla Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori.

Perché parlare di bellezza? Perché parlarne qui, in questo particolare consesso che è Città Bene Comune dove abitualmente si discute di cultura del progetto urbano, paesistico e territoriale e sovente lo si fa, seppur pubblicamente, tra urbanisti, forse nella speranza o illusione che questo torni a essere di qualche interesse per la cosiddetta società civile? Perché parlarne con Salvatore Settis?

Il tema della bellezza, ma ahimè più spesso solo il sostantivo in quanto tale senza il portato del suo significato, compare con una certa insistenza nel dibattito pubblico e in molte cose della nostra quotidianità. È negli articoli di giornale. Nei titoli dei libri che ci capitano tra le mani nelle librerie. Al cinema - a partire dal celeberrimo film di Paolo Sorrentino fino al recente Il senso della bellezza diretto da Valerio Jalongo dove scienza e arte sembrano tornare a dialogare alla ricerca di un comune ideale estetico -. Ed è negli slogan pubblicitari o in quelli di manifestazioni dove non te lo aspetteresti. Nei discorsi di quei politici che affannosamente cercano di risvegliare qualche emozione in chi li ascolta ben sapendo che proprio questo vocabolo, per mille ragioni che sarebbe interessante indagare, qualche sussulto emotivo ancora lo provoca.

È assai meno frequente, invece, incontrare questo tema nella letteratura urbanistica italiana contemporanea, anche se non si può dire sia del tutto assente. In anni recenti, infatti, alcuni urbanisti si sono misurati con questo fondamentale aspetto del progetto della città e del territorio; hanno cioè riflettuto sul valore della bellezza delle città e dei luoghi urbani. Mi riferisco, per esempio, a Marco Romano che nel suo La città come opera d'arte del 2008, così come in altri successivi lavori, non solo ha dimostrato quanto, nei secoli, le città europee siano state espressione di una precisa volontà estetica collettiva, ma anche che "il linguaggio consolidato attraverso i secoli nella sfera estetica della città non è soltanto una declinazione artistica tra le tante ma il solo con il quale la civitas possa esprimere il sentimento della propria cittadinanza e il riconoscimento della dignità dei suoi cittadini"(1). Oppure penso a Giancarlo Consonni che nel suo La bellezza civile. Splendore e crisi della città del 2013 denuncia l'affermarsi di una "concezione che scioglie la trasformazione del mondo dai legami con l'abitare; manda all'aria la nozione di luogo e di città quali ambiti del vivere condiviso; toglie i legami che rendono la bellezza consustanziale alle opere"(2), mentre nel suo Urbanità e bellezza del 2016 ci ricorda che "nell'arte di costruire città l'Italia è stata maestra della bellezza d'assieme [e] ha inventato l'armonia complessa derivante dall'interazione dialogica degli organismi edilizi". Un'arte che oggi - prosegue Consonni - "il Bel Paese sembra aver dimenticato […], per divenire terreno di incursione di esibizionismi devastanti che allontanano l'ambiente costruito dall'urbanità"(3).

A parte questi e pochi altri casi, però, non si può certo affermare che il tema della bellezza, delle qualità estetiche dei luoghi urbani e dei paesaggi, sia, almeno in Italia, al centro della riflessione urbanistica. Appare infatti generalmente trascurato dalla letteratura scientifica corrente, nei corsi universitari di urbanistica e pianificazione, nella ricerca disciplinare o nei convegni dove invece ricorrono parole come 'resilienza', 'sostenibilità' o 'partecipazione'. Perché avviene questo? Perché, rispetto all'entità del tema, all'importanza che la bellezza dei contesti urbani, rurali o naturali ha nella qualità della vita delle persone, gli urbanisti evitano di affrontare adeguatamente o anche solo considerare la bellezza nella loro riflessione teorico-culturale?

In primo luogo sembra mancare una comune percezione della qualità estetica dei paesaggi urbani e rurali, un giudizio condiviso sugli esiti dell'azione urbanistica moderna e contemporanea nella costruzione e trasformazione delle città e del territorio. Eppure, stando a ciò che quotidianamente vediamo intorno a noi, pare piuttosto evidente che il tema della bellezza sia stato spesso dimenticato in questi processi. Ci riferiamo, per esempio, a ciò che - percorrendo l'Italia da nord a sud - scorgiamo dai finestrini del treno per lunghi tratti lungo le coste. Da quelli degli autobus in molte parti delle nostre città. O da quelli delle automobili ogni volta che, come può capitare di questi tempi, siamo trascinati da un centro commerciale all'altro e attraversiamo quelle parti di territorio dove - come ci ricordava Rosario Pavia in un bel libro di un paio d'anni fa (4)- non è più il passo a dettare le misure delle città. Dove cioè si è completamente persa di vista la scala umana - ovvero la dimensione del camminare e quella inderogabilmente dettata dalle possibilità percettive dei nostri sensi - e tutto è fatto in funzione delle quattro ruote, senza considerare che "la velocità con cui l'automobile ci abitua a vivere lo spazio aperto tra gli edifici concorre ad accentuarne l'incuria, a cancellare il suolo, a impedire la connessione sensata tra le cose"(5). Insomma, contribuisce significativamente a fare brutti i luoghi, a renderli meno ospitali.

Questo è quanto ci appare spessissimo. Naturalmente solo nel caso in cui sia rimasto in noi un minimo di sensibilità per il bello. Di senso critico rispetto a ciò che la nostra società produce. Di buona educazione, per non dire di responsabilità, verso il prossimo perché, per dirla con le parole di Renzo Piano, "se costruisci una cosa brutta resta lì, non solo alla tua vista, ma alla vista di tutti"(6)per molti anni. Se è rimasto in noi il desiderio di lasciare alle future generazioni qualcosa che potranno ammirare, che dica del nostro livello culturale e della nostra civiltà, dei valori etici ed estetici a cui abbiamo fatto riferimento. Del nostro senso del tempo. E del nostro innato desiderio del sublime. La realtà che ci circonda, al di là delle riflessioni di fantasiosi interpreti della contemporaneità che tendono, nella sostanza, a negare una condizione per molti versi oggettiva se non - osserva polemicamente Vittorio Gregotti - a tessere "le lodi […] dell'eccesso ridondante, della libertà senza regole e dell'espansione infinita che annulla ogni identità insediativa"(7), non va in questa direzione. Col risultato che - ha scritto proprio Salvatore Settis - le città italiane, quelle "che furono per secoli il modello d'Europa [tanto] per l'armonioso innestarsi di ogni nuovo edificio sul robusto, mirabile tessuto antico, [quanto] per una cultura urbana diffusa che vietava non alla mano, ma al cuore e all'anima di deturparne la bellezza"(8), in ciò che comunemente costruiamo oggi o che abbiamo costruito nell'ultimo mezzo secolo sembrano del tutto svanite. Forse irrimediabilmente perdute.

Un discorso analogo, altrettanto carico di dolente disperazione e forse anche di una diffusa assuefazione, potrebbe essere fatto per i paesaggi rurali e naturali. Oggi, in Italia - sostengono, per esempio, Paolo Pileri e Elena Granata - "è l'urbanizzazione dissipatrice ad avere inconsciamente e sistematicamente devastato il paesaggio naturale e agrario, con tempi e modalità inconcepibili cinquant'anni fa. [Ma soprattutto] l'erosione di quel paesaggio è tuttora in atto, scomposta in migliaia di azioni, politiche e strutture che feriscono irresponsabilmente la società e la natura"(9). Eppure - come ci ricordava Eugenio Turri già nel 1979 - "il paesaggio sarà sempre […] lo specchio ultimo, l'immagine più vera del nostro essere nel mondo, nel quale si raccordano il vivere e il rappresentare, il rappresentare e il costruire, quindi il rinnovarsi stesso degli individui e della società"(10). Per questo parlare di bellezza - tanto in termini generali quanto delle qualità estetiche dei tessuti urbani o dei territori trasformati dall'uomo ci sembra utile. Anzi necessario. E ci sembra importante farlo qui, alla Casa della Cultura, nell'ambito di Città Bene Comune, dove frequentemente quanti sono più direttamente coinvolti nel progetto o nel governo della città e del territorio si confrontano tra loro e con la società civile in un dibattito pubblico che faticosamente prova a essere aperto alle differenti posizioni culturali, che cerca almeno di incrinare certi steccati accademici, politici e culturali che finiscono col minare, agli occhi del mondo, la residuale credibilità di questa disciplina. Soprattutto ci sembra interessante farlo con Salvatore Settis, da anni impegnato in una battaglia civile in difesa dei valori della bellezza, della cultura, dell'identità delle città e del paesaggio.

Certo, non tutte le responsabilità delle attuali condizioni dei contesti urbani e rurali possono essere attribuite agli urbanisti e all'urbanistica. Come ho già avuto modo di sostenere commentando un libro di Franco La Cecla del 2015 dove invece si veicolava questa tesi(11), non si può fingere di dimenticare che le trasformazioni urbane e territoriali sono, "soprattutto in questi ultimi decenni, ampiamente determinate da ragioni e forze economico-finanziarie indifferenti a qualsiasi ragionevole scelta pianificatoria. A qualsiasi proposito politico-amministrativo. A qualsiasi esigenza sociale. Forze che - scrivevo proprio in questa rubrica - rispondono prevalentemente a propri interessi di natura economica spesso in totale spregio di quelli generali. Forze rispetto alle quali l'urbanistica è stata [piuttosto] uno dei pochi argini"(12). Tuttavia, se è vero che sarebbe scorretto "fare d'ogni erba un fascio" - ovvero attribuire all'urbanistica responsabilità che invece la riguardano solo in parte - è altrettanto vero che - dal punto di vista della costruzione di una dimensione estetica accettabile della città e dei paesaggi rurali e naturali - qualche problema nella cultura del progetto urbano moderna e contemporanea c'è stato e probabilmente c'è tuttora. Dunque andrebbe chiarito o, per quanto possibile, almeno messo a fuoco.

Un secondo motivo per cui l'urbanistica contemporanea pare dimostrare una certa disattenzione verso il tema della bellezza riguarda, probabilmente, la possibilità che oggi abbiamo di individuare canoni estetici condivisi. Difficoltà che, effettivamente, potrebbe apparire insormontabile al punto da inibire a priori ogni tentativo di ricerca in tale direzione. Tuttavia, se - come sostiene Raffaele Milani - esiste "un'arte della città come prodotto delle comunità e dei singoli, degli architetti e degli artisti, dei progettisti e dei semplici lavoratori, dei cittadini e dei loro rappresentanti politici"(13) e se questa oggi è andata in crisi, anche per gli urbanisti - siano essi architetti o ingegneri, liberi professionisti o dipendenti della pubblica amministrazione o di aziende private impegnate nella trasformazione delle città - potrebbe essere utile tornare a riflettere per capire se e in che termini questa sia ancora possibile in una società come la nostra. Una società sempre più caratterizzata dall'intrecciarsi delle culture, dal progressivo indebolimento dei legami tra comunità e ambiti territoriali, da significativi processi di trasformazione urbana sganciati dalle istanze e dalle esigenze di un territorio perché esito di logiche economico-finanziarie che frequentemente nulla hanno a che vedere con i contesti in cui sono calati.

A questo proposito, Andrea Villani - in un contributo per Città Bene Comune del 2016 - insiste giustamente sulla "necessità di provare a cercare un minimo comun denominatore, [ovvero] quell'area dove i diversi modi di intendere la bellezza si sovrappongono"(14). Una ricerca che, evidentemente, non può prescindere dalla messa in campo di strumenti di analisi critica che consentano di esprimere un giudizio fondato sulla qualità estetica dei contesti che la nostra società produce. Questo anche e soprattutto nelle Scuole di Architettura "facendoli maturare in maniera fortemente correlata alle esigenze critiche dell'architettura"(15), dell'urbanistica, del disegno urbano: insomma di tutte quelle discipline che concorrono alla costruzione della città, alle trasformazioni del territorio, al ridisegno dei paesaggi. Per Villani, il fatto "che ci sia una pluralità di valori e di punti di vista sui fondamentali modi di sentire e di essere nella nostra società e nella nostra storia non significa affatto [li si possa considerare] tutti sullo stesso piano, ugualmente apprezzabili per una buona vita e per la costruzione di un buona società"(16). Al contrario, l'urbanista, in quanto "cittadino, intellettuale e pianificatore" è chiamato in causa affinché, responsabilmente, si adoperi per "far emergere quello che […] sembra grande, valido, giusto, bello, buono, apprezzabile, sublime: dovre[bbe] cioè agire - attraverso il progetto - affinché si affermi una sensibilità ampia e condivisa rispetto a certe forme architettoniche e urbane"(17).

Sulla stessa lunghezza d'onda, troviamo Lodovico Meneghetti che, in un altro articolo scritto per questa rubrica, afferma "di detestare lo slogan 'è bello ciò che piace', peggiorato magari dalla battuta senza senso 'non è bello ciò che è bello, è bello ciò che piace'"(18) . Dire "mi piace" o "è bello" non è la stessa cosa (19) così come una forma non equivale a un'altra. Per Meneghetti, in architettura e in urbanistica "il linguaggio non può che rappresentare il nostro tempo. Ma - sottolinea - non possiamo fissare le parole "giuste". [Dunque] a questa stregua s'impone la ragione della sensibilità, una sensibilità - ecco il punto - acquisita attraverso l'esercizio, il movimento di tutti i sensi che approda a identificare i due campi estremi della realtà formale, quello della bellezza e quello della bruttezza, inframmezzati dal terreno accidentato dell'ambiguità e dell'inganno, o dell'illusione"(20). Ecco, allora, emergere la necessità dell'esercizio. Che è esperienza diretta. Riflessione critica. Ricerca teorica. Sperimentazione progettuale. Durante la formazione, a qualsiasi livello di scolarità. Durante l'attività professionale. Nella vita. Tutte cose che, dalle scuole dell'obbligo all'università, piuttosto che nella tempesta di corsi di aggiornamento professionale o in quelli per il tempo libero che assediano le nostre caselle di posta elettronica, paiono abbastanza rare, per non dire assenti. L'educazione al bello è invece fondamentale perché - come ha osservato giustamente Salvatore Settis -, contrariamente a quello che comunemente si dice citando a sproposito l'Idiota di Dostoevskij, "la bellezza non salverà il mondo se noi non salviamo la bellezza"(21).

Franco Mancuso ha qui sostenuto che "il diritto alla bellezza della città sia uno dei diritti fondamentali dei cittadini"(22) intendendo con questa espressione "il diritto, per tutti gli individui e per tutti i gruppi sociali, di vivere in un luogo che essi riconoscano piacevole, attraente, stimolante; un luogo - ha scritto Mancuso - dove non sia opprimente trascorrere gli anni della propria vita: nella casa in cui si abita, negli spazi in cui ci si incontra, in quelli in cui si lavora, nei tragitti che si compiono spostandosi dagli uni agli altri"(23). Possiamo dargli torto? C'è qualcuno che, sadicamente, può sostenere il contrario? Sarebbe quantomeno curioso, ma se abbracciamo questa tesi non possiamo che concordare con Settis circa la necessità di "una più vasta e capillare presa di coscienza non solo della forma (estetica) del mondo, ma della forma (etica e politica) della società"(24). Produrre spazi pubblici belli e ospitali, dare corpo a città e paesaggi che offrano la loro bellezza a tutti i cittadini indistintamente dal loro reddito, ceto sociale o livello di istruzione - e dunque abbattere o almeno attenuare da questo specifico punto di vista le differenze tra centro e periferia, tra nord e sud del mondo, tra nativi e immigrati - è quasi un dovere morale per l'architetto e l'urbanista e, al tempo stesso, dovrebbe essere una richiesta politica non contrattabile per il cittadino, una bandiera per l'amministratore pubblico. In altre parole, "che si disegnino spazi pubblici ambiziosi, tenendo conto della qualità di quelli delle città che ci hanno preceduto, che si torni a ragionare sulle dimensioni del collettivo"(25). E che della bellezza delle nostre città e dei nostri paesaggi si faccia, non volgare mercimonio, ma - per chiudere con Settis - "uno strumento di conoscenza del mondo, di consapevolezza storica, di etica della cittadinanza"(26).

Renzo Riboldazzi

 

Note

1) M. Romano, La città come opera d'arte, Einaudi, Torino 2008, p. 111. Dello stesso autore, v. anche: Ascesa e declino della città europea, Cortina, Milano 2010; La piazza europea, Marsilio 2015.
2) G. Consonni, La bellezza civile. Splendore e crisi della città, Maggioli, Santarcangelo di Romagna (RN) 2013, p. 10. Dello stesso autore, v. anche: La difficile arte. Fare città nell'era della metropoli, Maggioli, Santarcangelo di Romagna (RN) 2008.
3) G. Consonni, Urbanità e bellezza. Una crisi di civiltà, Solfanelli, Chieti 2016, p. 8.
4) R. Pavia, Il passo della città. Temi per la metropoli futura, Donzelli, Roma 2015.
5) G. Tonon, Il paesaggio umiliato. Insostenibile bruttezza delle metropoli, Ogni uomo è tutti gli uomini, Bologna 2007, p. 13.
6) R. Piano, La responsabilità dell'architetto, conversazione con Renzo Cassigoli, Passigli Ed., Bagno a Ripoli (FI) 2010, p. 92.
7) V. Gregotti, Architettura e postmetropoli, Einaudi, Torino 2011, p. 41.
8) S. Settis, Paesaggio Costituzione cemento. La battaglia per l'ambiente contro il degrado civile, Einaudi, Torino 2010, p. 3.
9) P. Pileri, E. Granata, Amor loci. Suolo, ambiente, cultura civile, Cortina, Milano 2012, pp. 126-127.
10) E. Turri, Semiologia del paesaggio italiano, Longanesi, Milano 1979, p. XXIII.
11) F. La Cecla, Contro l'urbanistica. La cultura delle città, Einaudi, Torino 2015.
12) R. Riboldazzi, Perché essere 'pro' (e non 'contro') l'urbanistica, Città Bene Comune (www.casadellacultura.it) 20 gennaio 2016, ora in Id. (a cura di), Città Bene Comune 2016. Per una cultura urbanistica diffusa, Ed. Casa della Cultura, Milano 2017, pp. 54-61.
13) R. Milani, L'arte della città. Filosofia, natura, architettura, il Mulino, Bologna 2015, p. 7.
14) A. Villani, Arte e bellezza delle città: chi decide?, Città Bene Comune (www.casadellacultura.it), 9 dicembre 2016, ora in R. Riboldazzi (a cura di), Città Bene Comune 2016. Per una cultura urbanistica diffusa, Ed. Casa della Cultura, Milano 2017, pp. 380-387.
15) P. Panza, L'eredità ignorata di Vittorio Ugo, Città Bene Comune (www.casadellacultura.it), 6 ottobre 2017.
16) A. Villani, Arte e bellezza…, cit.
17) Ibid.
18) L. Meneghetti, Discorsi di piazza e di bellezza, Città Bene Comune (www.casadellacultura.it), 26 gennaio 2017.
19) Come ha osservato Gianni Ottolini "nel primo caso, si afferma qualcosa inerente al soggetto che formula il giudizio; nel secondo caso, si afferma una qualità oggettiva della cosa giudicata. G. Ottolini, Il magistero della bellezza, Ogni uomo è tutti gli uomini, Bologna 2008, p. 7.
20) Ibid.
21) S. Settis, Il mondo salverà la bellezza? Responsabilità, anima, cittadinanza, Ponte alle Grazie, Milano 2015, p. 19.
22) F. Mancuso, Il diritto alla bellezza. Forma e valore degli spazi urbani nella città contemporanea, Città Bene Comune (www.casadellacultura.it), 24 marzo 2017.
23) Ibid.
24) S. Settis, Architettura e democrazia. Paesaggio, città, diritti civili, Einaudi, Torino 2017, p. 137.
25) B. Secchi, La città dei ricchi e la città dei poveri, Laterza, Roma-Bari 2013, p. 78.
26) S. Settis, Cieli d'Europa. Cultura, creatività, uguaglianza, Utet, Torino 2017, p. 91.

 


© RIPRODUZIONE RISERVATA

08 DICEMBRE 2017

 

Politiche della bellezza:
Europa, Italia

conferenza di
Salvatore Settis

introduce
Salvatore Veca


a cura di
Oriana Codispoti

CITTÀ BENE COMUNE | CONFERENZE
cittabenecomune@casadellacultura.it

 


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