Francesco Ventura  
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SU "LA STRUTTURA DEL PAESAGGIO"


Inutili le polemiche, riflettiamo sui contenuti



Francesco Ventura


altri contributi:



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Il paesaggio:
Uno spettacolo offerto al godimento della vista
Tradotto dalle arti in nutrimento del pensiero.
Un'alluvione di parole lo ha nascosto allo sguardo
Una valanga di norme lo ha reso impensabile.
(f. v.)

 

Mi associo all'invito rivolto da Anna Marson ai lettori di Città Bene Comune "ad approfondire la conoscenza del libro, della legge, del piano" da lei promossi nel ruolo appena trascorso di assessora all'urbanistica della Regione Toscana. È stato proprio questo l'intento del mio commento al suo La struttura del paesaggio. Una sperimentazione multidisciplinare per il Piano della Toscana (Laterza, 2016). Il dibattito tecnico scientifico è appropriato se riesce a evitare la pura polemica. Un rischio sempre in agguato nel campo dell'urbanistica, perché leggi e piani sono atti normativi condizionati da scelte politiche in cui, così come nell'insegnamento e nella ricerca scientifica, è essenziale la critica. Cercherò dunque di chiarire ulteriormente quanto, a mio avviso, sia infondata la convinzione di alcuni che la nuova legge e il nuovo piano della Regione Toscana siano tecnicamente idonei a difendere il territorio più di quanto - ed è ben poco - non siano riusciti leggi e piani precedenti.

Il governo del territorio riconfigurato per la terza volta in vent'anni dalla Regione Toscana riproduce - e non risolve - l'incoerenza tra scopo primario dichiarato e dispositivo normativo. Una costante delle leggi urbanistiche nazionali e successivamente regionali a iniziare dalla prima statale risalente al 1942. Ho già avuto modo nelle due occasioni legislative regionali precedenti di intervenire criticamente mettendo in luce e argomentando diffusamente tale incoerenza tecnica di fondo (1). Ciò che ogni volta varia è la narrazione con la quale lo scopo primario viene posto. Quello della Legge regionale 65/2014 - come già recitavano le precedenti - consiste nella volontà di "garantire lo viluppo sostenibile rispetto alle trasformazioni territoriali da esse indotte", così come - sulla scorta di direttive europee - "evitare nuovo consumo di suolo". La nuova Legge, detta anche "Marson", aspira inoltre a "salvaguardare e valorizzare il patrimonio territoriale". Patrimonio questo, che include il paesaggio, le cui norme statali di tutela sono raccolte nel Codice dei Beni Culturali e Paesaggistici. La narrazione con la quale tali fini sono posti è presente in modo diffuso nell'enorme quantità di testi e documenti grafici prodotti per la legge e per il piano, ed è ben radunata nel volume sopra citato. Nel commento per Città Bene Comune, pubblicato lo scorso dicembre, ho focalizzato la mia riflessione sul contributo di Alberto Magnaghi relativo alle cosiddette "invarianti strutturali" che sostanziano il cosiddetto "Statuto del territorio", strumenti già istituiti dalle due leggi regionali precedenti. Questo per tre ordini di motivi. Il primo perché la "Utopia concreta" - come Magnaghi stesso la chiama - è la più rilevante novità narrativa: il territorio letto, interpretato e raccontato nei suoi cicli storici come "un sistema vivente ad alta complessità". Il secondo perché, se si tiene presente lo scopo primario, le invarianti strutturali e lo Statuto costituiscono la parte più significativa e insieme più problematica di legge e piano rispetto all'altra parte detta "strategica". Il terzo perché la pluridecennale elaborazione teorica di Magnaghi trae motivo dalla consapevole volontà di fondare una "scienza del territorio" quale superamento radicale dell'urbanistica tradizionale. Tutti gli altri contributi tecnici e scientifici presenti nel volume hanno sì un ruolo rilevante, ma solo in quanto mezzi strettamente finalizzati alla costruzione di quella determinata legge e di quel determinato piano territoriale e paesaggistico. Ciascun apporto tecnico scientifico specialistico si avvale - com'è ovvio - del suo proprio autonomo fondamento, che è altro da quello della scienza territoriale che Magnaghi va tentando di costruire, istituzionalizzare nell'accademia e rendere operativa nella pratica della pianificazione.

Sono piuttosto rari nel campo dell'urbanistica e dell'architettura i tentativi di elaborare teorie fondanti la disciplina. Ancora più raro è assistere allo sviluppo di un dibattito scientifico in grado di confutare gli argomenti che stanno alla base dei pochi costrutti teorici fin qui prodotti. È così che l'urbanistica resta un sapere povero e una tecnica piuttosto impotente. La teoria "tipologica" ispirata da Saverio Muratori è forse, tra i tentativi fondanti, la più strutturata. È presente diffusamente nelle pratiche in vari paesi europei, spesso senza che vi si faccia esplicito riferimento. E la si può rintracciare anche nell'opera teorica e nella pratica di Magnaghi. Il tutto in assenza di una seria e approfondita confutazione scientifica. Accade così che le teorie circolano come pure ideologie etico-politiche, andando a ingrossare una variegata mitologia del territorio. L'invito ai lettori di Città Bene Comune a leggere e, nel caso, intervenire va dunque esteso almeno al principale contributo teorico di Magnaghi: Il progetto locale. Verso la coscienza di luogo (Bollati Boringhieri, 2010). In particolare solleciterei i lettori a chiedersi quanto la teoria magnaghiana sia già così scientificamente matura e tecnicamente consolidata da illuminare un nuovo governo del territorio e una diversa pratica della pianificazione, tale cioè da superare la pianificazione urbanistica e la salvaguardia del paesaggio tradizionali. E ciò tenendo ben presente che il diritto urbanistico è rimasto quello della legge 1150/1942 e che nessuna legge regionale può modificarlo.

Ciò che vado argomentando da lungo tempo è che il diritto istituito dalla legge del 1942 limita fortemente la potenza del piano normativo, a tal punto da renderlo strumento utilizzabile quasi esclusivamente per le operazioni speculative di quegli immobiliaristi capaci di sfruttare le variazioni del valore dei suoli determinate dalle destinazioni urbanistiche decise dalla politica. Non sono contro la pianificazione, ma nei fatti credo che lo sia il diritto urbanistico istituito dalla legge del 1942, che nessuna legge regionale, né alcun piano possono mai eludere. Gli atti normativi detti impropriamente piani, che si praticano a livello regionale e comunale sono per lo più - al di là delle buone intenzioni - una parvenza di pianificazione, esclusivamente formale e burocratica, ampiamente sfruttata a scopo di profitto dagli speculatori. Che il diritto urbanistico istituito dalla legge del 1942 fosse un favore agli speculatori e un tradimento di ciò che la cultura urbanistica dell'epoca aveva tentato di proporre attraverso il neofondato INU, era già chiaro all'atto della sua approvazione e fu denunciato in sede di commissione dei lavori pubblici dall'urbanista Alberto Calzabini (uno dei fondatori dell'INU e dei corsi universitari di urbanistica). Nel ruolo politico di deputato non ebbe remore a dichiarare che quella legge avrebbe favorito accordi tra redattori del piano e privati proprietari di aree per accrescerne il valore di mercato di decine di volte (come a esempio mostra il film di Rosi Le mani sulla città). Spesso non è necessario sperimentare una legge per vederne le incoerenze, che sono innanzitutto logiche, ma con effetti concretissimi. Giovanni Ortolani, Ordinario di Diritto nell'Università di Roma, pubblica nel 1943 La nuova disciplina urbanistica rilevando tutte le crepe e le incongruenze della legge 1150 del 1942, soprattutto in relazione al problema delle aree edificabili, e insieme indicando i possibili rimedi. Un libro che gli urbanisti dovrebbero leggere e sul quale riflettere ancora oggi.

È questa la ragione di fondo per cui nel mio precedente articolo ho portato l'esempio di Lucca, per far emergere questa stessa incongruenza. I Piani strutturali, già istituiti dalla Regione Toscana nel 1995, altro non sono che distribuzioni all'ingrosso della edificabilità dei suoli. La distribuzione al dettaglio, particella per particella catastale, spetta ai successivi piani operativi. La Legge regionale 65/2014 da un lato persegue lo scopo di bloccare il consumo di suolo, dall'altro contiene una norma che ne consente il superamento. Il Comune di Lucca ne ha legittimamente approfittato per costituirsi una riserva di suoli, di proprietà privata, per possibili edificazioni, che altrimenti non avrebbero potuto essere urbanizzati. E, purtroppo, c'è da attendersi che altri sfrutteranno questa possibilità.

La pianificazione urbanistica moderna nasce nell'Ottocento con l'intento di favorire l'urbanizzazione, configurandone l'ordine e la forma tramite piani redatti dalle amministrazioni comunali. Tali piani sono atti normativi emanati in forza di legge e costituiscono dichiarazioni di pubblica utilità che danno la facoltà di espropriare i suoli in esso compresi. L'espropriazione ha svolto, tra l'altro, la funzione di liberalizzare il mercato dei suoli urbani, essenziale perché l'urbanizzazione divenisse appetibile e praticabile per l'economia capitalistica. Tuttavia, fin dalla prima legge nazionale urbanistica, la già citata n. 1150 del 1942, lo scopo primario dichiarato si presenta come contrasto all'urbanizzazione, in un dire che peraltro è indizio di contraddizione: "allo scopo - recita il testo - di assicurare, nel rinnovamento ed ampliamento edilizio delle città, il rispetto dei caratteri tradizionali, di favorire il disurbanamento e di frenare la tendenza all'urbanesimo". Dal dopoguerra, con questa legge in vigore e con la pianificazione basata sul suo diritto e in base a essa progressivamente imposta a tutti i comuni, l'urbanizzazione (in cui consiste essenzialmente il cosiddetto "consumo di suolo") è dilagata o no? Era necessario sperimentarla per rendersene conto? No. Al lettore attento e dotato di spirito critico non poteva sfuggire prima di qualsiasi sperimentazione. Ortolani, nel già citato libro, la rileva e vi si sofferma ampiamente (rinnovo l'invito a leggere quel testo illuminante). E invece, la cultura urbanistica, pur promuovendo per un certo tempo, senza successo, una riforma autentica del diritto urbanistico, si è prodigata in una smisurata dilatazione - e relative narrazioni e retoriche - degli scopi di tutela del patrimonio urbano, paesaggistico, ecologico, territoriale, molti dei quali già propri di leggi e strumenti normativi specifici, come fossero perfettamente perseguibili tramite la pianificazione territoriale e urbana. Come ho avuto modo in più occasioni di scrivere e argomentare diffusamente (2) con l'attuale diritto urbanistico, non solo la pianificazione normativa è impotente a conferire un ordine urbano diverso da quello della logica speculativa, ma è eversiva della tutela di qualsiasi "patrimonio" inteso come "bene comune". Stante l'attuale diritto urbanistico, per perseguire qualsiasi scopo di tutela occorrerebbe che, a esempio, il cosiddetto "Statuto del territorio" fosse atto normativo elaborato e deliberato secondo procedure del tutto separate dai contingenti atti di piano e a questi sovraordinato, come lo è - per intenderci - la Costituzione rispetto alle leggi particolari. Atti che hanno per scopo la tutela devono, a mio giudizio, contenere solo norme negative, ossia che proibiscono ciò che altrimenti è tecnicamente possibile, e non norme che positivamente promuovono determinate azioni e opere, spettanti invece agli atti di pianificazione. Ho avuto modo di discuterne qualche volta con Magnaghi e mi era sembrato convenisse sulla necessità di questa separazione che però non ritrovo nell'ultima legge urbanistica della Toscana. Se la riforma fosse andata in questa direzione non sarebbe stato consentito a nessuno di proporre - e far approvare in forza di inevitabili compromessi - la norma che permette di derogare al blocco del consumo di suolo, perché sarebbe stata fuori dall'oggetto legislativo.

Questo è il motivo per cui in chiusura del mio articolo di dicembre ho esemplificato con quale semplice norma, chiara ed efficace, si potesse perseguire lo scopo di impedire ulteriore consumo di suolo. Una norma che proibisca ai comuni di apportare varianti allo stato di diritto dei suoli qualora comportino nuova edificazione. E vi si potrebbe aggiungere che le previsioni edificatorie preesistenti non realizzate vadano cancellate. E ancora, ove siano necessari interventi di edilizia economica e popolare, si debba procedere innanzitutto al recupero patrimonio edilizio esistente e qualora fosse assolutamente necessario investire aree libere si debba procedere al loro preventivo esproprio ad evitare che gli interessi speculativi condizionino la loro scelta. Si potrà certo rilevare che simili proposte ben difficilmente troverebbero un adeguato consenso politico ma, a differenza della legge in questione, mi pare difficile obiettare che non siano tecnicamente valide e perfettamente coerenti allo scopo.

Francesco Ventura

 

 

Note
1) V. F. Ventura, Paesaggio e sviluppo sostenibile, in Il Ponte, n. 10, ottobre 1994, pp. 35-51; Id., Regolazione del territorio e sostenibilità dello sviluppo, Libreria Alfani editrice, 2003.
2) V., per esempio, La tutela delle bellezze naturali e del paesaggio, in F. Ventura (a cura di), Beni culturali. Giustificazione della tutela, Città Studi, 2001, pp. 34-79.

 

N.d.C. - Francesco Ventura, già professore ordinario di Urbanistica all'Università degli Studi di Firenze, ha pubblicato tra gli altri: L'istituzione dell'urbanistica. Gli esordi italiani (Libreria Alfani Ed., 1999); Statuto dei luoghi e pianificazione (Città Studi Edizioni, 2000); Sul fondamento del progettare e l'infondatezza della norma, in P. Bottaro, et al. (a cura di), Lo spazio, il tempo e la norma (Ed. Scientifica, 2008); La verità del falso ("Area, n. 105-2009); Il monumento tra identità e rassicurazione, in G. Amendola (a cura di), Insicuri e contenti (Liguori, 2011); La tutela e il recupero dei centri storici, in L. Gaeta, et al., Governo del territorio e pianificazione spaziale (Città Studi, 2013); La progettazione del passato ed il ricordo del futuro, in A. Iacomoni (a cura di), Questioni sul recupero della città storica (Aracne, 2014).

Per Città Bene Comune ha scritto: Urbanistica: tecnica o politica? (14 febbraio 2016); Lo stato della pianificazione urbanistica. Qualche interrogativo per un dibattito (1 aprile 2016); Urbanistica: né etica, né diritto (30 giugno 2016); Più che l'etica, è la tecnica a dominare le città (16 febbraio 2017), Antifragilità (e pianificazione) in discussione (28 luglio 2017); Così non si tutela né il suolo né il paesaggio, (1 dicembre 2017)

N.B. I grassetti nel testo sono nostri.

R.R.

 


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12 GENNAIO 2018

 

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